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Glioblastoma: negli Usa si sperimenta un vaccino terapeutico 

di Maria Rita Montebelli

Combattere il tumore con il proprio sistema immunitario. Adesso ci si prova con un ‘vaccino’ anti-glioblastoma, in sperimentazione clinica alla Jefferson University di Philadelphia. E la chemioterapia dovrà avere una sua tempistica, per non mettere i bastoni tra le ruote al vaccino, deprimendo la risposta immunitaria.

13 NOV - E’ la forma più comune di tumore primitivo del cervello ed è molto aggressiva. I soggetti affetti da glioblastoma infatti presentano una sopravvivenza media di circa 4 mesi, se non trattati e di 15 mesi con il trattamento.
 
Una patologia insomma con grandi unmet needs sul fronte della terapia, ma per la quale è allo studio un vaccino terapeutico che sfrutta le potenzialità del sistema immunitario per combattere il glioblastoma.
 
La notizia viene dai ricercatori della Thomas Jefferson University che hanno pubblicato su Cancer Immunology, Immunotherapyle prime fasi della ricerca.
 
“Solo negli ultimi anni – ricorda Craig Hooper, Professore del dipartimento di Biologia Tumorale alla Thomas Jefferson University di Philadelphia -  ricercatori e pubblico hanno cominciato a realizzare il ruolo svolto dal sistema immunitario nella prevenzione e nel trattamento dei tumori. Il sistema immunitario ha un enorme potenzialità nell’aiutarci a lottare contro i tumori. E questo studio apre la strada ai vaccini del futuro contro i tumori del cervello”.
 
Il lavoro riporta i risultati della seconda parte di un trial di fase 1, che ha dimostrato una riduzione della massa tumorale in 8 dei 12 pazienti affetti da glioblastoma trattati con il vaccino. Il ‘vaccino’ viene ricavato a partire dal tumore stesso. Più in dettaglio, attraverso un intervento, i neurochirurghi (lo studio è stato condotto da David Andrews, Professore di Neurochirurgia alla Jefferson) rimuovono il tumore e ne isolano dei frammenti, che vengono cimentati per qualche ora con degli oligodeossinucleotidi anti-senso (AS-ODN). Successivamente i frammenti di tessuto tumorali così trattati, vengono messi in una camera di diffusione grande come una moneta, che viene quindi posizionata all’interno della cavità addominale del paziente, consentendo un facile contatto con le cellule del sistema immunitario.
 
Gli AS-ODN bloccano la formazione di un recettore, l’IGF-R1, che stimola la crescita di questo tumore e la formazione di metastasi. Ricerche condotte in passato hanno dimostrato che bloccare questo recettore può causare l’autodistruzione delle cellule tumorali. Le molecole derivanti dalla necrosi delle cellule tumorali, fuoriescono dai pori della camera di diffusione e attivano le cellule del sistema immunitario nell’addome; da qui, le cellule immunitarie attivate arrivano con la circolazione al cervello dove ‘rintracciano’ e uccidono le parti di tumore non rimosse con l’intervento chirurgico.
 
Lo studio appena pubblicato su Cancer Immunology, Immunotherapyha individuato negli esosomi, piccole particelle legate alle membrane, gli antigeni responsabili dell’attivazione del sistema immunitario. Gli esosomi sono particelle sufficientemente piccole da poter attraversare i pori della camera di diffusione, che attraversano in maniera lenta ma continua, fornendo dunque una fonte costante di attivazione del sistema immunitario.
 
In un’altra parte dello studio, i ricercatori americani hanno prelevato questi esosomi e li hanno somministrati a modelli murini di tumore cerebrale; in questo modo è stato possibile dimostrare che gli esosomi di per sé sono in grado di rallentare la crescita del tumore.
 
Ma anche le molecole AS-ODN, utilizzate per uccidere le cellule tumorali, sarebbero in grado di attivare il sistema immunitario. “Riteniamo – spiega Larry Harshyne, professore associato di neurochirurgia alla Jefferson – che il trattamento conAS-ODN modifichi la qualità e la quantità degli esosomi, rilasciati dalle cellule tumorali”.
 
Il vaccino è stato testato inoltre su un altro gruppo di 12 pazienti con recidiva di glioblastoma; in questo caso solo metà dei pazienti ha mostrato una risposta alla terapia. “La mancata risposta - spiega Hooper – potrebbe essere imputabile al fatto che questi pazienti erano immunocompromessi a seguito del trattamento chemioterapico. Il miglior predittore di una risposta al vaccino è infatti un sistema immunitario intatto”.
 
La prossima fase del trial clinico, che partirà il prossimo gennaio, prevede il trattamento dei pazienti, subito all’indomani dell’intervento chirurgico e prima dell’inizio della chemioterapia. “In queste condizioni ci aspettiamo che i pazienti possano trarre i massimi benefici da questa terapia sperimentale – afferma Hooper – Cercheremo inoltre di potenziare la risposta immunitaria al vaccino, così da renderlo ancor più efficace”.
 
Maria Rita Montebelli

13 novembre 2014
© Riproduzione riservata

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