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I farmaci immunosoppressori potrebbero proteggere dal morbo di Parkinson

di Maria Rita Montebelli

E’ l’ipotesi alla quale è giunto uno studio osservazionale americano, assai intrigante ma ancora tutta da verificare. Ad attirare l’attenzione dei ricercatori americani sono soprattutto i farmaci della classe degli inibitori di IMDH. La speranza è che queste terapie possano non solo prevenire, ma anche la rallentare la progressione del Parkinson nei pazienti già diagnosticati. Su questa ipotesi è già in corso uno studio proof-of-concept.

01 GIU - I  pazienti in terapia con immunosoppressori potrebbero essere protetti dal morbo di Parkinson. E’ quanto suggerisce uno studio della Washington University School of Medicine, pubblicato su Annals of Clinical and Translational Neurology.
 
“E’ da tempo – afferma Brad Racette, Professore di Neurologia presso la WU - che si sospetta un ruolo importante del sistema immunitario nella genesi del danno neurologico alla base del Parkinson. In questo studio abbiamo evidenziato che alcune classi di immunosoppressori riducono il rischio di sviluppare questa patologia. C’è una classe particolare di questi farmaci che sembra particolarmente promettente; ma per stabilire con certezza se sia in grado anche di rallentare la progressione di malattia saranno necessari studi ad hoc”.
 
Il gruppo di Racette è arrivato a questa conclusione esaminando milioni di cartelle cliniche e sviluppando un algoritmo per prevedere quali soggetti avrebbero sviluppato la malattia. Scavando in questa immensa mole di dati, i ricercatori americani hanno scoperto che i pazienti con varie tipologie di malattie autoimmuni, compresa la rettocolite ulcerosa, avevano minori probabilità rispetto al resto della popolazione di sviluppare il morbo di Parkinson.
 
Le malattie autoimmuni sono un vasto gruppo di patologie in grado di influenzare diversi organi e apparati e causate da svariate ‘malfunzioni’ del sistema immunitario. Ma tutte hanno una cosa in comune: il loro trattamento consiste nell’utilizzare farmaci immunosoppressivi.
 
A questo punto gli autori dello studio sono andati a spulciare i registri relativi alle prescrizioni farmacologiche del sistema Medicare, relative a 48.295 pazienti con diagnosi di Parkinson e di 52.324 persone senza questa patologia. In questo modo sono riusciti ad individuare 26 farmaci immunosoppressivi, appartenenti a 6 diverse classi terapeutiche. Sono dunque andati a vedere a quali persone di questi due gruppi di pazienti fossero state somministrate queste terapie un anno, o prima, rispetto alla diagnosi del Parkinson. I risultati dimostrano che le persone in terapia con varie tipologie di questi farmaci immunosoppressori risultato a rischio significativamente inferiore di sviluppare morbo di Parkinson. In particolare, le persone in trattamento con cortisonici quali il prednisone, presentavano un rischio ridotto di Parkinson del 20% mentre in quelle trattate con inibitori della inosina monofosfato deidrogenasi (IMDH), il rischio si riduceva di un terzo.
 
Questi risultati suggeriscono che ridurre la risposta immunitaria con queste classi di farmaci potrebbe aiutare a ridurre il rischio di sviluppare la malattia. Di certo però non senza il rischio di effetti indesiderati, cancro e malattie infettive in particolare, tipici della terapia con immunosoppressori. Nessun medico dunque prescriverebbe mai a tappeto gli immunosoppressori nel tentativo di ridurre il rischio di ammalarsi di Parkinson, anche perché non c’è modo ad oggi di prevedere chi sta per sviluppare questa patologia.
 
“Abbiamo tuttavia bisogno di terapie – riflette Racette – per le persone che abbiano appena ricevuto la diagnosi di questa malattia, così da cercare di rallentarne l’evoluzione. E’ solo un’ipotesi, ma sembra ragionevole pensare che, se un farmaco è in grado di ridurre il rischio di sviluppare questa malattia, probabilmente è anche in grado di rallentarne l’evoluzione. Ed è quello che stiamo cercando di verificare con gli studi attualmente in corso.”
 
Ad attirare l’interesse del gruppo di Racette sono in particolare gli inibitori di IMDH, poiché un trattamento prolungato con corticosteroidi sarebbe gravato da effetti indesiderati eccessivi. “Il nostro prossimo passo sarà uno studio proof-of-conceptsu pazienti con Parkinson neo-diagnosticato, per vedere se questi farmaci hanno l’effetto sperato sul sistema immunitario. E’ ancora troppo presto per pensare a trial clinici per valutare se siano in grado di modificare la malattia, ma di certo l’ipotesi è intrigante”.
 
Lo studio è stato finanziato dalla Michael J. Fox Foundation, dal National Institute of Environmental Health Sciences e dal National Institute of Neurological Disorders and Stroke dell’NIH, dall’American Parkinson Disease Foundation e dal Center for Pharmacoepidemiology Research Training.
 
Maria Rita Montebelli

01 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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