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Vaccini Covid. I risultati delle prime sperimentazioni a confronto

di Gennaro Ciliberto

Si tratta di vaccini ottenuti con tecnologie innovative nelle quali predomina l’apporto della Biologia Molecolare. In altre parole non si tratta di vaccini ottenuti come in passato attraverso l’inattivazione del virus oppure con la generazione di virus attenuati. Sono vaccini in cui una sola e specifica componente del coronavirus, considerata come il bersaglio principale se non unico della risposta immunitaria che si vuole generare, e cioè la super-gettonata proteina spike, viene inserita in un diverso contesto attraverso l’impiego di metodologie di biologia molecolare

21 LUG - Nell’ultima settimana sono stati pubblicati i risultati delle sperimentazioni cliniche (tutte finora condotte all’estero) di ben quattro diversi vaccini contro Sars-CoV-2. Sono i vaccini in fase più avanzata di sviluppo e si può ritenere che per la primissima ondata di vaccini che verranno sfornati la sfida si sta restringendo a questi. Nonostante possiamo prevedere subito dopo una seconda ondata, proviamo per ora a concentrarci su questi, e fare il punto della situazione cercando di mettere i dati a confronto.
 
Innanzitutto si tratta di vaccini ottenuti con tecnologie innovative nelle quali predomina l’apporto della Biologia Molecolare. In altre parole non si tratta di vaccini ottenuti come in passato attraverso l’inattivazione del virus oppure con la generazione di virus attenuati. Sono vaccini in cui una sola e specifica componente del coronavirus, considerata come il bersaglio principale se non unico della risposta immunitaria che si vuole generare, e cioè la super-gettonata proteina spike, viene inserita in un diverso contesto attraverso l’impiego di metodologie sviluppate negli ultimi due-tre decenni e provenienti, ripeto, dalla biologia molecolare.
 
I quattro vaccini in questione in questo sono simili. Ci sono sì piccole differenze nelle varianti sul tema della proteina spike ma a questo stadio queste sono probabilmente più importanti per assicurare una diversa, indipendente e distintiva copertura brevettuale, che realmente importanti nell’assicurare più o meno forti risposte immunitarie.
 
Dal punto di vista tecnologico i vaccini sono assimilabili in coppie a due tipologie:
a) vaccini a RNA, quelli delle ditte Moderna (pubblicato sulla rivista New England Journal Of Medicine) e BioNTech/Pfizer (pubblicato su MerRxiv), molto semplici dal punto di vista della informazione genetica veicolata anche se, per assicurare la protezione del RNA dalla degradazione sono inglobati all’interno di nanoparticelle di lipidi;
 
b) vaccini con vettori Adenovirali quelli del Jenner Institute dell’Università di Oxford, in partnership con la Ditta Astra Zeneca e della ditta Cinese CanSino Bio rispettivamente, pubblicati ambedue ieri sulla rivista Lancet.
 
Non commenterò i dati del vaccino cinese, nonostante siano gli unici provenienti da una sperimentazione di più ampia scala e su gruppi randomizzati di soggetti per due motivi. Il primo è che il vettore adenovirale usato, Adeno5 di origine umana, non è il vettore ideale per il vaccino perché buona parte della popolazione adulta (circa il 50%) è stata già esposta durante la sua vita ad Adenovirus tipo 5, ha sviluppato anticorpi contro il virus, e questi hanno la capacità di neutralizzare anche il relativo vettore e diminuirne l’efficacia. Quindi buona parte della popolazione non se ne potrebbe giovare.
 
Per ovviare a questo problema il vaccino dell’Università di Oxford si basa sull’uso di un vettore Adenovirale isolato dagli scimpanzè e con cui la popolazione umana non è venuta in contatto in precedenza.
 
Il secondo motivo è che, con molte altre opzioni disponibili non ritengo sia un vaccino di interesse per il mondo occidentale. Infatti non è stato proprio considerato nel progetto americano Warp Speed. Nel quale ci sono gli altri tre vaccini in questione.
 
Innanzitutto qualche nota tecnica riguardo alle rispettive dimensioni dei trials e alle dosi di vaccino. Il trial del vaccino di Moderna (mRNA-1273) ha riguardato 45 soggetti divisi in tre gruppi di 15 a cui sono state date dosi di 25, 100 e 250 microgrammi iniettati in due tempi a distanza di quattro settimane. La dose di 100 microgrammi è quella con il migliore bilanciamento tra effetti collaterali e risposta immunitaria ed è stata scelta per il trial registrativo di fase 3.
 
Il vaccino di BioNTech (BNT162b1) è stato somministrato a 60 partecipanti divisi in gruppi di 12 a cui sono state somministrate dosi incrementali da 1 a 60 microgrammi, iniettate sempre in due tempi a distanza di tre settimane. In questo caso la dose che ha dato il migliore bilanciamento tra effetti collaterali e risposta immunitaria è quella di 50 microgrammi.
 
Il vaccino della Oxford University (ChAdOx1 nCoV-19) è stato dato ad un maggior numero di partecipanti, 543, con un gruppo di analoghe dimensioni che è stato esposto ad un altro vaccino di controllo. Il vaccino è stato somministrato in un’unica dose del vettore adenovirale, con l’eccezione di soli 10 soggetti a cui sono state somministrate due dosi a distanza di qualche settimana l’una dall’altra. Tuttavia la risposta immunitaria nel lavoro pubblicato ha riguardato solo una quarantina di soggetti vaccinati, quindi non tutti.
 
Quattro sono i parametri che sono stati misurati e per i quali possiamo cominciare a fare un confronto per quello che è possibile. Primo parametro la sicurezza; tutti i vaccini, in maniera simile, sono abbastanza ben tollerati, con effetti collaterali quali febbricola, mal di testa, indolenzimento muscolare, brividi, di breve durata e comunque gestibili con anti-infiammatori in breve tempo.
 
Il secondo parametro è la risposta anticorpale misurata come IgG contro la proteina spike. Il valore viene solitamente indicato come la diluizione massima del siero alla quale si vede ancora la reattività contro la spike. In questo caso si cominciano a notare delle differenze. Il vaccino di Moderna arriva ad avere titoli fino a 1:100.000, quello di BioNTech fino a 1:17.000, quello di Oxford viene misurato in modo diverso, cioè in unità ELISA, che arrivano a circa 1.000.
 
E’ da tenere presente che i test sono stati fatti in laboratori diversi e quindi non si può essere certi se queste differenze siano reali o dovute alle diverse tecnologie.
 
Il terzo parametro è la capacità dei sieri prelevati dopo la vaccinazione, di neutralizzare il coronavirus nella sua capacità di infettare, moltiplicarsi ed uccidere cellule umane in provetta, e di paragonare questa capacità con quella dei sieri di convalescenti dalla malattia da coronavirus usati come controllo.
 
Il vaccino di Moderna è molto più potente in media nella capacità neutralizzante rispetto ai sieri dei convalescenti, quello di BioNTechleggermente più potente in media, quello di Oxford equipotente in media rispetto sieri dei convalescenti. Non è chiaro, ripeto, se queste siano delle differenze reali oppure se siano date da diversità tra laboratorio a laboratorio.
 
Infine, l’ultimo parametro è la risposta immunitaria cosiddetta Th1 che si ritiene sia importante in combinazione con gli anticorpi neutralizzanti per sconfiggere l’infezione virale. In questo caso tutti e tre i vaccini descrivono una risposta positiva anche se i dati più corposi e maggiormente convincenti sono quelli di BioNTech.
 
In sintesi, si può concludere che tutti questi vaccini vanno nella direzione giusta. Forse i vaccini a RNA per motivi ancora da chiarire potrebbero stare dando risposte immunitarie, soprattutto neutralizzanti, quelle a mio parere tra le più significative, di maggiore entità. Se queste corrispondano ad una maggiore capacità protettiva dall’infezione è tutto da vedere. Infatti ancora non abbiamo un’idea precisa dei correlati immunologici di protezione dall’infezione. Per definirli bene occorrerà ancora del tempo. Inoltre anche per dire come la risposta immunitaria si mantenga nel tempo e quindi possa essere protettiva non solo subito dopo la somministrazione del vaccino, bensì per un lungo arco di tempo.
 
Fatto sta che i tre vaccini hanno soddisfatto i criteri per poter procedere nella sperimentazione su più grande scala ed infatti i rispettivi trials di fase 3 per la registrazione del vaccino sono già iniziati o stanno per iniziare a breve. Per questa fase i tempi non saranno brevissimi e dipenderanno dalla capacità di arruolamento di volontari in regioni del mondo dove il virus circola attivamente, al fine di valutare con calcoli statistici accurati e su migliaia di soggetti, la capacità protettiva del vaccino.
 
Ovviamente, ripeto, tanti altri vaccini sono in sviluppo in fasi più precoci ma non per questo meno promettenti e soprattutto nei prossimi mesi ci aspettiamo anche l’inizio di sperimentazioni in Italia di vaccini dal brand interamente italiano.
 
Gennaro Ciliberto
Direttore scientifico Istituto Nazionalle dei Tumori Regina Elena, Roma

21 luglio 2020
© Riproduzione riservata

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