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Non bastano i Lea per un buon funzionamento del Ssn

di Roberto Polillo, Mara Tognetti

Il problema del nostro SSN è la mancanza di una serie di condizioni strutturali: la messa in atto di buone pratiche di valorizzazione della risorsa umana; un reale e concreto processo di presa in carico e accompagnamento dei pazienti, da realizzare con l’implementazione di nuovi modelli assistenziali di tipo reticolare; una rivisitazione con relativo rafforzamento della governance nelle diverse strutture e nei diversi servizi favorendo la partecipazione ai diversi livelli

12 GIU -

Analizzando l’ultimo rapporto sui LEA emerge un quadro di Italia, seppur con delle specificità regionali, non così distante e differenziata fra Nord e Sud.

Abbiamo Regioni e Provincie non in linea con la completa applicazione dei LEA sia al Nord che al Sud. Abbiamo Regioni più virtuose e qualche Regione distante anni luce da una performance minimale, ma quel che emerge è che in generale l’applicazione dei LEA non è una garanzia generalizzata e non è una garanzia per un Sistema Sanitario Nazionale universalistico il cui ruolo è la tutela della salute dei propri cittadini.

I dati che mergono con evidenza
Nel 2021 si registra un significativo arretramento generalizzato per quanto riguarda l’area della prevenzione. Prendendo infatti ad esempio le coperture vaccinali in età pediatrica si vede chiaramente come queste non raggiungono, a livello nazionale, con riferimento ai valori degli indicatori, il valore soglia fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), pari al 95%; nello specifico, la copertura vaccinale nei bambini a 24 mesi per ciclo base contro polio, difterite, tetano, epatite B, pertosse e Hib (P01C) raggiunge la soglia in 8 Regioni, mentre la copertura contro morbillo, parotite e rosolia (P02C) supera il 95% in 6 Regioni.

Per quanto riguarda invece il complesso delle aree (prevenzione, assistenza ospedaliera) emerge che sono solo 14 le regioni (Piemonte, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Puglia e Basilicata) che registrano un punteggio superiore a 60, cioè la soglia di sufficienza in tutte le macro aree.

Sono invece 7 le Regioni che risultano sotto soglia in una o più macro-aree:

Con l’attribuzione della maglia nera a due realtà territoriali agli antipodi del Paese: Valle d’Aosta e Calabria. Un quadro che non può non generare grande preoccupazione e che ci porta a sottolineare come ancora una volta non sono sufficienti mere procedure standardizzate per rendere efficace ed efficiente un SSN a garantire la salute dei cittadini.

Un sistema disarticolato e diseguale

La cifra complessiva è dunque quella di un sistema che appare: sempre più disarticolato, con una distribuzione di servizi di base e specialistici assai differenziata sul territorio italiano e non infrequentemente in presenza di vistosi vuoti operativi; fortemente pervaso da una diffusa cultura burocratica sia fra i cittadini che fra gli operatori e non ultimo soffocato dalla persistenza di logiche burocratiche troppo distanti dal reale bisogno di salute dei cittadini. Tutti elementi che non possono essere sottovalutati in nome di un sistema di LEA che conferma e rafforza un processo recepito prevalentemente nella sua sola dimensione amministrativa e burocratica.

La ricomposizione necessaria tra le diverse aree
Abbiamo più volte sottolineato come il nostro SSN sia vittima di una deprivazione strutturale (risorse umane e finanziarie) e culturale al contempo (visioni, rapporti istituzionali tra Stato e regioni, modelli organizzativi, ruolo del personale e degli utenti)

Non è dunque solo il pesante definanziamento degli ultimi anni a pesare come di quelli attuali nella certificazione dell’ultimo DPEF in cui il rapporto rispetto al PIL si assesterà a un misero 6,2% e che solo il Ministro Schillaci sembra non vedere.

Pesa poi l’incapacità dello Stato centrale e delle stesse regioni nel riuscire a delineare un sistema di cure in cui vi sia una reale integrazione tra ospedale e territorio e in cui siano garantiti livelli uniformi ed integrati di intensità ed estensività assistenziale.

Un sistema reticolare e fortemente interconnesso
Un moderno sistema sanitario riconosce nella "legge di potenza” di Barabasi il modo per riuscire a garantire una effettiva esigibilità dei livelli di assistenza, collegando centro e contesti periferici in un network altamente interconnesso tra Hub e spoke.

E’ la mancanza di una effettiva interconnessione tra i diversi punti della rete, tra MMG/ specialista ambulatoriale e ospedale e tra ospedale a bassa intensità assistenziale e ospedale di livello superiore, a produrre le gravi lacune evidenziate dal documento dei LEA.

Il nostro sistema sanitario è non solo acefalo per la mancanza di una sapiente regia da parte del Ministero della salute e delle sue agenzie (in primis AGENAS priva di effettivi poteri di indirizzo) ma anche de-afferentato per la mancanza di connessioni tra il primo punto di accesso al servizio (livello ambulatoriale) e l’ospedale o centro di riferimento di livello avanzato.

La deafferentazione ovvero l’impossibilità di un sistematico livello di integrazione è determinata in larga misura dalla mancanza di un sistema di reti cliniche territorio-ospedale in mancanza del quale il paziente è sostanzialmente abbandonato al proprio destino e deve cercarsi in totale autonomia le soluzioni che il primo livello di assistenza non riesce a fornire. Conseguentemente solo chi dispone di un capitale sociale e culturale adeguato riesce a trovare le risposte al proprio problema. E tra coloro che si trovano in tale condizione di privilegio sono sicuramente i politici e i loro familiari indipendentemente dallo schieramento di appartenenza.

E’ ormai aneddotica la scelta dell’uomo più potente e ricco d’Italia: Gianni Agnelli, di farsi ricoverare presso le Molinette e non in una struttura privata, accreditata o a convenzione obbligatoria come gli Istituti religiosi o privati, diventati oggi l’unico punto di cura per quelli che appartengono a ceti sociali e culturali abbienti.

Le reti cliniche come unica garanzia di eguaglianza tra i cittadini
Non può esistere equità tra i cittadini se non trova implementazione un sistema di cure basato sulle reti cliniche. Le reti cliniche per le patologie ad alta prevalenza sono l’unico modo attraverso cui il cittadino, indipendentemente dal suo status sociale, che prende contatto con il punto molecolare del sistema (MMG o specialista ambulatoriale) viene inserito in un percorso formalizzato a complessità crescente. I protocolli di invio tra i diversi nodi della rete superano la necessità del ricorre al fai da te per avere risposte sanitarie commensurate al problema di cui si è afflitti. Le reti vengono costruite intorno al paziente e considerano ininfluente ai fini del risultato il punto di acceso al sistema.

La filosofia delle reti infatti obbedisce alla legge di Potenza e crea dei network formali e gerarchizzati in cui gli Hub hanno multipli di interconnessioni con tutti gli altri punti della rete.

Un bisogno di salute che non trova risposta a un qualsiasi livello di accesso diventa di competenza del livello superiore.

Paradossalmente è proprio un sistema fortemente gerarchizzato a dare la massima garanzia di eguaglianza; esattamente quello che non sembra interessare il decisore pubblico.

L’AGENAS come punto di riorganizzazione delle reti cliniche
L’agenzia che istituzionalmente è chiamata a svolgere il compito di implementare un sistema diffuso di reti cliniche, realizzato con la condivisione attiva delle regioni, è l’AGENAS, se solo si riuscisse a vincere l’ostracismo occulto che viene riservato a tale gemmazione da parte del Ministero della Salute.

La revisione del DM 70 sugli standard ospedalieri, invece di concentrarsi sui numeri relativi ai posti letto (che nessuno rispetta) dovrebbe invece generalizzare il sistema di reti cliniche. Conseguentemente la valutazione della loro effettiva implementazione da parte delle regioni, che hanno condiviso il percorso di redazione, dovrebbe essere vincolante e sottoposto a verifica con tanto di penalizzazioni in caso di inadempienza.

Conclusioni
Ancora una volta si evince che il problema del nostro SSN, che ha radici ancora solide e profonde, è la mancanza di una serie di condizioni strutturali: la messa in atto di buone pratiche di valorizzazione della risorsa umana; un reale e concreto processo di presa in carico e accompagnamento dei pazienti, da realizzare con l’implementazione di nuovi modelli assistenziali di tipo reticolare; una rivisitazione con relativo rafforzamento della governance nelle diverse strutture e nei diversi servizi favorendo la partecipazione ai diversi livelli.

Un modo di concepire e far progredire il SSN senza il quale i LEA e la sua applicazione, diventano una formalità che le stesse Regioni pur virtuose riescono a rispettare con difficoltà. Chiudiamo il nostro contributo ricordando le parole di K. Stanislavskij “ciò che non evolve può solo regredire”.

Roberto Polillo, Mara Tognetti



12 giugno 2023
© Riproduzione riservata


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