Le politiche di investimento infrastrutturale rappresentano l’unico strumento per affrontare il futuro ed evitare che i problemi di oggi vengano tramandati alle generazioni future. Ad una siffatta logica corrisponde la ratio della Next Generation Eu, a prescindere dall’essere considerato uno strumento ideato, finanziato con oltre 800 miliardi di euro, per sopperire ai danni, economici e sociali, causati dal Covid. Esso, infatti, è da ritenersi funzionale a concretizzare due transizioni fondamentali per competere: quella green e quella digitale. Ciò senza dare la corretta importanza alla ricostruzione, nel nostro Paese, del sistema della salute, invecchiato e demolito delle essenzialità che avevano fatto del nostro Ssn il migliore al mondo.
Com’era naturale che fosse, nell’attribuzione dell’UE dei circa 200 miliardi di euro, dei quali 70 a fondo perduto, una parte consistente (circa 20 miliardi) di essi era stata attribuita alla salute della persona, intesa come assistenza sociosanitaria. Da qui, la corretta denominazione di Recovery Fund, nel senso di essere strumentale a recuperare la efficienza di un tempo investendo sul territorio, abbandonate alle ortiche, e velocizzando l’impiego della telemedicina in senso lato, della quale tuttavia pare che se ne stia occupando solo la parte interessata al relativo business.
Sin dall’esordio dell’iniziativa europea e dalla confusione generata dai Governi Conte e Draghi - il secondo dei quali è da considerarsi quantomeno pavido nel non sottolineare le debolezze ereditate dagli esecutivi precedenti e quindi di mettere in campo le risorse umane e le soluzioni indispensabili per riprogrammare bene il da farsi – era evidente l’insufficienza dei fondi per realizzare il sogno. Anche perché la redazione del PNRR altro non era che la riproposizione di progetti infrastrutturali risalenti agli anni 1990, epoca Tremonti. Alla anzidetta carenza si è reso di porre rimedio attraverso l’individuato Piano nazionale degli investimenti complementari al Pnrr, il c.d. PNC. Uno strumento finalizzato ad incrementare con circa 31 miliardi di risorse ordinarie statali da investire sino al 2026.
Dunque, tra la rimodulazione del Pnrr decisa dal governo attuale (di cui al DL 19/2024) e risorse provenienti dal PNC ci si aspettava un rimpinguamento degli investimenti in salute, ma soprattutto di tutela della sicurezza degli impianti di ricovero e cura, in persistente rischio sismico.
Gli ottimisti hanno perso. Il pessimismo ha guadagnato il podio. Addirittura, si è registrato un taglio di 1,2 miliardi di euro nella messa in sicurezza delle strutture ospedaliere, lasciandole nello stato di precarietà in cui esse si trovano, con destinazione certa al peggio, attesa la loro edificazione risalente ai primi anni ’50 del secolo scorso, con punte risalenti a (molto) prima della Seconda guerra mondiale.
Tali decisioni sono il classico esempio dell’insipienza politica che caratterizza il modo di governare il Paese e di tutelare la salute della Nazione, impegnata a cercarsi con il lanternino una offerta dignitosa alla cura dei suoi mali. Da qui, le migrazioni dei malati, la facile e vincente concorrenza dell’offerta erogativa privata, ben curata dalla carenza di quella pubblica, nei confronti della quale c’è da nutrire più di un sospetto di complicità ad hoc.
Dal Piano nazionale complementare, la Nazione – specie quella del sud messa più male che altrove - si attende il dettaglio del progetto “verso un ospedale sicuro e sostenibile”, sperando che non sia finito anche esso tra le solite ortiche.
Ettore Jorio