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Malattia di Huntington. I pazienti sono soli nell’affrontarla?


Almeno 5000 i malati, di cui 1000 solo in Lombardia, e oltre 15 mila le persone a rischio: eppure questi pazienti sfuggono al sistema sanitario nazionale, e scelgono cure private. Il problema sarebbe la carenza di personale medico e sanitario specializzato nell’assistenza

01 FEB - Almeno 5000 malati di Còrea di Huntington e 15mila persone a rischio in Italia, e nonostante i numeri ancora pochi gli strumenti in mano al sistema sanitario nazionale: questo l’allarme lanciato dalla più recente ricerca condotta dall’Osservatorio e Metodi per la Salute (OsMeSa) dell’ Università di Milano-Bicocca , e dall’ Associazione Italiana Còrea di Huntington - AICH Milano Onlus su questa patologia degenerativa che colpisce il sistema nervoso distruggendo i neuroni. Secondo l’indagine presentata presso l’Università di Milano-Bicocca in occasione del convegno “La chiamano danza ma si pronuncia malattia”, buona parte dei pazienti non passerebbe affatto dal Sistema sanitario nazionale, e nonostante solo in Lombardia siano circa 1000 i malati, sono pochi gli strumenti che il sistema sanitario nazionale ha adottato per aiutare le persone affette da queste patologia e per sostenere le loro famiglie. Con costi sociali altissimi.
 
L’Huntington, conosciuta anche con l’acronimo MH, è una malattia rara. Una patologia genetica degenerativa del sistema nervoso centrale a carattere ereditario che si manifesta sia a livello fisico e motorio sia a livello mentale e porta al decesso del malato. La sua comparsa altera gli equilibri familiari in quanto insorgono problemi che vanno dall'accettazione della malattia a problemi legati alla modifica dei rapporti affettivi e comportamentali del malato alla cura del malato stesso. Un insieme di caratteristiche che sfida le relazioni familiari, le istituzioni sociosanitarie, le scelte etiche. La mancata conoscenza della malattia comporta grandi difficoltà nel reperimento di professionisti competenti in grado di agire nella sua complessità.
 
Lo studio ha coinvolto 20 famiglie di malati di Huntington, indagando su quelli che sono i bisogni del malato e di chi lo assiste. Tutti hanno invocato una maggiore supporto da parte della rete assistenziale. “Un bisogno generalizzato è quello di ritrovare del tempo per sé e per le relazioni sociali, totalmente annullate dall’assistenza alla persona malata”, ha spiegato Mara Tognetti, direttrice dell’osservatorio e responsabile della ricerca. “Non dimentichiamo inoltre che si tratta di una patologia che fa saltare il patto fra le generazioni e il patto genitori figli. Si tratta di una malattia che colpisce l’individuo e le sue relazioni familiari, una malattia che necessita di maggior consapevolezza, conoscenza, ricerca”, ha continuato. “Le famiglie non possono essere lasciate sole. Bisogna pensare a una rete di servizi complessa tra struttura e presa in carico del malato, pensiamo a personale paramedico che possa supportare la famiglia del malato e a centri che possano aiutare, anche psicologicamente, a gestire la malattia”.


“La malattia trova origine in un gene nato milioni di anni fa e che è cambiato nel tempo per il bene delle specie, per istruire sistemi nervosi sempre più complessi”, ha spiegato Elena Cattaneo, neuroscienziata dell’Università degli Studi di Milano e autrice di uno studio pubblicato su Nature Neuroscience sulla storia del gene che è alla base dell’Huntington. “Questa evoluzione ha comportato l'inserimento nel gene di alcune lettere inaspettate - i CAG - arrivate anche a noi umani. Pensiamo che l'Huntington non sia "solo" una tragica malattia da vincere, ma una storia che parla anche di noi, come esseri umani”.
A chiudere la conferenza un intervento artistico del musicista Shel Shapiro con un video sui valori della costituzione e un momento artistico dedicato al valore di Woody Guthrie, cantante folk statunitense, morto a causa della dell’Huntington.
 

01 febbraio 2013
© Riproduzione riservata


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