Costi standard. Finalmente abbiamo capito il bluff. La soluzione? Finanziamento in base agli esiti
di Ivan Cavicchi
Anche le Regioni sembrano averlo compreso. Nel documento della Toscana passato alla Conferenza dei Presidenti si intravede il cambiamento verso un sistema di indicatori che premi più la qualità che l’economicità in assoluto. Ma non basta. I costi standard vanno archiviati e si deve guardare finalmente agli esiti delle cure
18 NOV -
Mauro Quattrone ci ha dato la possibilità di conoscere il parere autorevole di
Robert Kaplan, sui costi standard e sui drg (QS 11 novembre). La questione di fondo che Kaplan ha evidenziato è la necessità di inventare un metodo di rimborso per le prestazioni sanitarie che superi i Drg, consci del fatto che i metodi che premiano i “
volumi dei trattamenti” e non i “
risultati medici” prodotti, alla fine risultano inappropriati e quindi paradossalmente responsabili della crescita degli stessi costi sanitari che si vorrebbero governare. La critica non è estranea alle nostre esperienze del passato.
Ogni qual volta il rimborso andava a retribuire un volume il volume automaticamente si dilatava per accrescere le possibilità di rimborso accrescendone i costi. Mi limito a ricordare che in Italia alla base della crescita abnorme dei posti letto, vi è stata in passato una forma di retribuzione dei primari ospedalieri proporzionata al numero di posti letto. Una cosa analoga è avvenuta quando i medici di famiglia erano pagati a notula.
Più recentemente con i costi standard ospedalieri abbiamo scoperto che in rapporto ai costi dei ricoveri essi crescono mediamente del 2% soprattutto a causa dei ricoveri ad alta complessità. Non diversa è la situazione dei Drg per i quali si registra una significativa differenza tra la tariffa riconosciuta dal Ssn e i reali costi sostenuti dall'ospedale. Il famoso problema, che io stesso avevo evidenziato parlando degli “
scostamenti” fra valori standard e valori effettivi (QS 2 aosto).
Per evitare gli scostamenti alla fine gli operatori mettono in atto strategie che di fatto selezionano i drg più remunerativi, o ricorrono alla pratica dei ricoveri ripetuti. L’idea di Kaplan, e che personalmente cerco di perseguire da anni, è quella diuna modellizzazione dei processi sanitari rapportati ad una metrica adeguata di valutazione degli “
esiti” di degenza e post-degenza ma aggiungo io anche di produzione di salute in una comunità. Vorrei sottolineare il significato di fondo della proposta di Kaplan:
la profittabilità finisce con il dipendere dai risultati e dagli esiti, per cui è conveniente accrescere non più i volumi ma i risultati.
Questo ragionamento non è diverso da quello che ispira le mie proposte anche recenti “
sull’autore” (autonomia in cambio di responsabilità sulla base di una verifica degli esiti), sulla distinzione tra “
retribuzione” e “
attribuzione”, quindi sulla possibilità di definire un “
salario di esito o di risultato” ecc.
Ciò detto e ringraziando Mauro Quattrone, considero interessante il
documento presentato dalla Toscana e approvato dalla Conferenza dei Presidenti sui c.d. “
costi standard”. In esso si teorizza la possibilità di ottenere il “
contenimento dei costi di produzione attraverso il miglioramentogenerale dei processi produttivi”. Ho apprezzato la critica che ha legato la valutazione delle best practice in via prioritaria alcriterio economico svalutando quello della qualità dei servizierogati. Che in fin dei conti è tanto una critica al marginalismo che all’economicismo.
La proposta della Toscana quindi prova a percorrere un’altra strada e solo per questo bisognerebbe incoraggiarla. In questo tentativo essa è quasi costretta ad abbandonare di fatto la logica dei icosti standard basata sul benchmark, prevedendo in alternativa un metodo che definisca “
attribuzione di risorse” a “
standard di qualità” per ciascun livello assistenziale.
Ma se è così, allora bisogna dire con chiarezza che la partita dei costi standard in sanità è impraticabile e fare il passo successivo cioè parlare chiaramente di “
esiti”. Se gli
input sono le risorse e gli
output sono le definizioni intermedie di qualità,
l’outcome deve essere l’esito. Se i costi standard sono pericolosi input ,per superarli non basta passare agli output si deve spostare l’attenzione sugli outcome. Il rischio che dobbiamo evitare è quello di risolvere la vecchia questione del finanziamento razionalizzando le attuali forme di ponderazione con altre ponderazioni, che certamente sono meno peggio dei costi standard, ma che non cambiamo sostanzialmente lo stato delle cose.
Non credo che il tirare a campare aiuti il sistema sanitario pubblico. Da tempo propongo di passare dalla mera redistribuzione capitaria del fondo alle Regioni, ad una vera e propria politica di allocazione delle risorse orientata agli esiti e ai risultati. Faccio notare, seguendo il ragionamento di Kaplan, che la quota capitaria ponderata rientra nella logica dei volumi, come i costi standard e i drg.
Recentemente anche su questo giornale, ho proposto di uscire dalla contrapposizione “
contro riformatori”/ “anti riformatori” lavorando ad una riforma della tutela intendendo per tutela “
l’uso e il consumo” di prestazioni mediche. Ebbene ogni problema di allocazione prevede un elenco di risorse produttive disponibili in date quantità e un criterio di scelta fra vari “
modi di uso” delle risorse stesse. La scelta allocativa di risorse deve essere orientata al miglior risultato tanto di salute che di economicità.
Quindi al miglior uso.
Il salto logico è notevole: non si tratta più di definire il minimo costo a prescindere dai risultati di salute come si vuole fare con i costi standard ,ma di fare salute con un “
uso” diverso delle risorse e quindi combattere la cronica anti economicità del sistema. L’allocazione comporta il massimo di risultato di una funzione di salute in più variabili del sistema dei servizi e ogni variabile misurerà un “
certo uso” delle risorse quindi un “
certo modo di fare tutela”.
Le variabili su cui agire per ottenere risultati sono certo “
l’uso delle organizzazioni” ,ma soprattutto sono “
l’uso degli autori” rispetto a ben altre organizzazioni, cioè del lavoro e delle professioni, da retribuire per gli impegni che profondono in ragione dei risultati che raggiungono. I costi standard non sono per noi. La vera sfida è riformare l’idea di tutela e attraverso politiche allocative
impegnare gli operatori nel miglior uso possibile delle loro competenze e delle loro abilità.
Ivan Cavicchi
18 novembre 2013
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