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Rapporto Crea. Al Sud spesa sanitaria procapite fino al 50% più bassa che al Nord. Rischio razionamento per farmaci innovativi

di Gennaro Barbieri

Smentito il luogo comune che vedrebbe un Nord sanitario efficiente e parsimonioso e un Sud spendaccione e inefficiente, almeno per quest'ultimo dato. Enorme anche il gap tra Italia e Paesi EU14: spendiamo  il 25,2% in meno. I nuovi farmaci di fatto razionati per ritardi nelle autorizzazioni al rimborso e così ne usufruiamo molto meno degli altri Paesi UE. IL RAPPORTO IN SINTESI

29 OTT - E’ sempre più diffusa nel dibattito pubblico italiano l’equazione secondo cui in sanità laddove c'è più efficienza, c'è anche minore spesa. Gli stessi esponenti politici, anche di differente colore, e analisti che sostengono questa tesi plaudono alle Regioni settentrionali, ritenendole più virtuose di quelle meridionali. Si tratta però di un teorema che viene smentito seccamente dai dati contenuti nel ‘X Rapporto Sanità’ dell’Università di Tor Vergata di Roma, realizzato dal Crea e presentato oggi alla Camera.

Le cifre indicano come, a livello regionale, la spesa totale pro-capite più elevata si rilevi in Valle D’Aosta e nelle due Province Autonome di Trento e Bolzano, con subito a ruota il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna. Al contrario, i valori minori di spesa si registrano nelle Regioni del Sud. Emblema della voragine che divide in due il Paese è il confronto tra Valle d’Aosta e Campania: il differenziale di spesa è del 53,8%, poiché gli indicatori si attestano rispettivamente su 3.169 euro e su 2.061 euro. E, anche eliminando l’aspetto demografico, il trend viene comunque confermato: il differenziale di spesa è del 48,3% (euro 3.184 vs euro 2.147).

Una dinamica ancor più evidente sul fronte della spesa sanitaria privata: il valore medio pro-capite in Italia nel 2012 è pari a 487,91 euro, ma sale a 612,08 nelle Regioni del Nord (+25,45%), a 491,16 in quelle centrali (+0,67%), mentre si ferma al di sotto di 330 (-33,96%) nell’area Meridionale. In particolare, la spesa privata è più alta in Valle d’Aosta, Veneto ed Emilia Romagna, e all’opposto, è minima in Campania e Sicilia, con 283,73 euro pro-capite nella prima e 286,34 pro-capite nella seconda. Riscontri che rivelano come la crisi abbia inciso in tono maggiore nel Meridione, erodendo consistentemente la possibilità di accesso alle prestazioni.

Indicativo è anche il gap che emerge dal raffronto fra spesa pro-capite italiana e Paesi EU14: nel 2012, rispetto al 2002, si è allargato del 5,7%, arrivando così al 25,2%. Un divario che si allarga ulteriormente disaggregando l’Italia a livello geografico: le Regioni settentrionali hanno un gap verso EU14 del 20,1% (a fronte di un gap di Pil a favore del Nord del 4,0%), mentre in quelle meridionali il gap esplode raggiungendo il 33,3% (a fronte di un gap di Pil del 42,1%).

All’interno di questo quadro, un ruolo importante potrà essere giocato dal Patto per la Salute. Federico Spandonaro, professore all’Università di Tor Vergata e curatore del rapporto, riconosce positivamente gli sforzi profusi per la definizione del Patto e le rassicurazioni in esso contenute riguardo le risorse destinate al Ssn, che non vengono tagliate in termini nominali. Allo stesso tempo, però, osserva come si rimandi ancora una volta la ridefinizione dei Lea. “La vera essenza del Patto, che sarebbe dovuta essere l’accordo sul punto di equilibrio fra risorse disponibili e assistenza garantita, resta ancora sospesa”.

Per quanto concerne gli assetti organizzativi e istituzionali, Spandonaro sottolinea come il federalismo, sotto un profilo puramente finanziario, “non è stato oggettivamente un fallimento”. Per suffragare questa tesi osserva come il disavanzo “sia stato ridotto di circa il 75% dopo l’intervento dei piani di rientro”. D’altra parte è evidente come il federalismo in Italia “sia stato inaugurato frettolosamente e, quindi, è anche normale prevedere un graduale superamento dei fattori critici, primo fra tutti il coretto equilibrio tra autonomia regionale e unitarietà del sistema”.

Anche su un altro versante emerge l’impatto positivo delle politiche sanitarie tese alla razionalizzazione del sistema: la riduzione nell’ultimo decennio di 28.738 posti letto ospedalieri in acuzie è stata pari al 20,0%. Contestualmente, però, la razionalizzazione degli organici è avvenuta soltanto parzialmente: “si sono ridotti solo del 9,0%, ed in larga misura per effetto naturale del blocco delle assunzioni, più che per radicali reingegnerizzazioni”.

Nel complesso Spandonaro riconosce all’attuale ministro di aver coraggiosamente sottolineato che “in sanità non ci sono più spazi per tagli, e che i recuperi di inefficienza devono rimanere in ambito sanitario”. Tuttavia un interrogativo resta aperto: se recuperi di efficienza sono possibili, e lo sono, perché non dovrebbero trasformarsi in risparmi? Secondo il curatore del rapporto, la risposta al quesito, “che stenta ad essere pronunciata chiaramente, è che le inefficienze già oggi implicano razionamenti impliciti dei Lea e quindi diventa un dovere etico ripristinare prioritariamente le corrette condizioni di esigibilità dei diritti”.

In sostanza Spandonaro sostiene che, qualora si voglia che la spending review in atto porti risparmi, mantenendo trasparente il patto sociale, “vanno rimodulati esplicitamente i Lea, presumibilmente riducendo alcune coperture: scelta politicamente difficile, che ci fa tornare alla spiegazione della, altrimenti inspiegabile, assenza dell’aggiornamento dei Lea nel Patto della Salute”.

Altro aspetto nodale da rimarcare è la carenza di investimenti in prevenzione che caratterizza il nostro Paese. “Se consideriamo la modesta performance italiana sul fronte della dinamica di alcuni indicatori attinenti a fattori di rischio (specie obesità infantile e riduzione del consumo di tabacco), considerati qui indicatori di esito delle politiche di promozione della salute, quel che si evince è l’effetto del disinvestimento in corso, che peraltro si scontra con uno dei capisaldi, ancora pienamente moderno, della legge istitutrice del Ssn”.

Come già sottolineato in Italia vi sono enormi disparità territoriali. Una delle principali ragioni di tali sperequazioni è il diverso ricorso delle famiglie alle spese out of pocket. Queste, osserva Spandonaro, sgravano il sistema pubblico da oneri, aiutando a mantenerne la sostenibilità: è il caso dei farmaci di classe A (quindi eleggibili al rimborso pubblico) acquistati direttamente dalle famiglie; fra il 2009 e il 2013, tale spesa è aumentata del 37,8%, incidendo oggi del 6,1% sulla spesa della Regione Liguria (€ 25,5 pro-capite), contro lo 0,8% della Regione Molise (€ 3,0 pro-capite).

Il rapporto evidenzia che in Italia per la non-autosufficienza nel 2012 si spendono circa 27,7 mld, di cui il 28,5% per prestazioni sanitarie e il resto per quelle sociali e in denaro, mentre la spesa privata si attesta al 7,7%. Nel complesso si tratta dell’1,8% del Pil, valore simile alla media europea. Tuttavia permane lo spinoso problema dell’eccesso di frazionamento dei fondi e delle relative responsabilità. Le varie prestazioni in molti casi si sovrappongono e, spesso, rispondono a requisiti per l’accesso disomogenei: alcune sono legate al reddito e altre ne sono del tutto indipendenti, con il rischio di generare razionamenti in alcune aree e privilegi in altre.

Il Ssn necessita strutturalmente di far posto alle innovazioni “che premono per entrare nella pratica clinica” e per raggiungere questo obiettivo “è certamente necessario eliminare dai Lea le prestazioni obsolete o non più dotate di evidenza e di appropriatezza”. Ma, all’interno di questo processo, gioca un ruolo fondamentale anche “la dimensione degli attuali razionamenti, ovvero delle prestazioni inserite, ma per le quali rimangono barriere all’accesso da rimuovere”. In altri termini, “per poter predire se il processo di revisione possa realizzarsi a costo zero, contano non solo le sostituzioni, ma anche l’effettivo livello di risposta attuale”. E, quindi, il rischio di razionamenti dovrebbe “essere maggiormente monitorato, anche perché, quando coinvolge le innovazioni, ha un impatto rilevante sullo sviluppo industriale e in prospettiva sulla ripresa del Paese”.

E il rischio di razionamenti, che si traduce in barriere all’accesso ai servizi, si manifesta con particolare intensità nel comparto farmaceutico. I consumi italiani dei nuovi farmaci autorizzati a livello europeo (EMA) negli ultimi 5 anni sono infatti assai inferiori a quelli medi di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Il trend è particolarmente evidente per l’area terapeutica relativa al sangue e agli organi emopoietici: il consumo italiano è pari al 29,3% di quello di ‘Big Ue’. Si sale leggermente (35,7%) per gastrointestinali e metabolismo, poi i farmaci per il sistema nervoso centrale (43,9%), quindi antineoplastici e immunomodulatori (46,6%). Gli unici che reggono il confronto con lo standard europeo sono gli antimicrobici che si attestano al 79,1%. Scarti così rilevanti verso altri Paesi sono in larga parte dovuti ai ritardi di autorizzazione al rimborso.

L’elemento di sistema più in sofferenza appare sempre la capacità di investimento, specialmente nel settore pubblico. E, senza investimenti, per Spandonaro il Ssn rischia di implodere a medio termine. Una conferma viene dalla spesa farmaceutica, “dove a fronte della perdurante stagnazione economica, la crescita nominale del budget farmaceutico (regolato dal tetto e sulla base di una credibile ipotesi di invarianza rispetto al Pil) per i prossimi anni è destinata a essere davvero minima, dell’ordine di € 150 e 300 mil annui”.

La strada da intraprendere per imprimere una svolta al sistema e per garantirne la sostenibilità sembra quindi la ridefinizione delle priorità degli interventi pubblici. E, in quest’ottica, risulta evidente “il valore sociale di garantire l’accesso alle innovazioni (veramente tali), essendo per lo più costose, e di contro la limitata meritorietà dell’erogazione gratuita di terapie a basso costo, magari a cittadini di alto censo”. Per Spandonaro la selettività passa quindi attraverso una radicale riforma delle esenzioni e delle compartecipazioni: le prime lasciandole solo per colore che davvero non possono destinare alcuna somma per le proprie cure, e per le seconde prevedendo una franchigia fissa sul consumo articolata per reddito o, in generale, su un indicatore della condizione economica.

Ma l’aspetto dirimente, alla base del ragionamento, risiede nella capacità di sanare l’annosa questione dell’evasione perché il Ssn “è certamente la scelta più equa in condizioni di accertamento credibile dei mezzi, ma diventa profondamente iniquo se i più poveri pagano con le proprie imposte la sanità gratuita ai più ricchi”. Poiché la rimozione di questa stortura può comportare tempi lunghi, vengono suggeriti anche interventi di delisting del prontuario. Nel settore farmaceutico, nel 2013 il 36,7% del consumo di classe A è a fronte di confezioni con prezzo inferiore a € 10. Si tratta di un consumo che ammonta a circa € 3,25 mld. (di cui € 1 mld. per le confezioni sotto € 5) di cui basterebbe ‘selezionare’ la metà per garantire ampia sostenibilità alle innovazioni in arrivo sul mercato.

Terminata l’analisi, Spandonaro passa alla pars costruens, quella delle proposte. I punti qualificanti da inserire nell’agenda delle politiche sanitarie sono:

1. l’opportunità di avere un quarto LEA per la prevenzione, estrapolandolo dall’Assistenza Collettiva e ricongiungendoci tutte le attività collegate, in modo da garantire che ci sia un vincolo di destinazione delle risorse e una possibilità di controllo sulla destinazione degli investimenti (urgentissimi in tema di stili di vita e prevenzione primaria);
2. la riforma strutturale e in una logica selettiva, delle esenzioni e delle compartecipazioni, lasciando l’esenzione solo alle famiglie in assoluto più fragili e modulando la compartecipazione in base alla condizione economica, estendendola a tutte le prestazioni;
3. la creazione di un fondo vincolato per l’innovazione, in particolare quella farmaceutica, la cui governance è molto stretta, alimentabile con le compartecipazioni o al limite con il delisting delle terapie a bassissimo costo;
4. la riforma e il coordinamento degli istituti che comportano erogazioni per i non-autosufficienti, riunificando le regole di accesso (ad esempio con regole comuni relative alla valutazione multidimensionale) e garantendo una governance unica del sistema;
5. il potenziamento degli strumenti di valutazione delle performance, specialmente qualitativa, allargando la partecipazione alle valutazioni a tutti gli stakeholder del sistema, e integrandone poi i risultati nelle regole di accreditamento, in modo da condizionare la permanenza sul mercato delle strutture, oltre che all’equilibrio finanziario, anche all’eccellenza assistenziale e organizzativa (fra cui l’uso della ICT), il tutto misurato secondo le regole della revisione fra pari;
6. il ripensamento dell’aziendalizzazione, garantendo l’omogeneità delle valutazioni delle performance aziendali e, quindi, una maggiore accountability dell’attività dei Direttori Generali e delle Aziende; rianalizzando anche gli impedimenti normativi all’esplicarsi della reale autonomia aziendale e ripensando un modello che di fatto non prevede sanzioni di mercato per le strutture inefficienti;
7. un maggiore e più coordinato investimento nei sistemi informativi, sia per ciò che riguarda le aree ancora scoperte (residenziale, domiciliare, etc.), sia per quanto concerne l’armonizzazione dei dati al livello nazionale e internazionale.
 
Gennaro Barbieri
 


29 ottobre 2014
© Riproduzione riservata


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