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Cerm: “Spesa sanitaria, nel 2030 pressione sul Pil oltre il 10%”


Un valore che sarà raggiunto soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno. Mentre in Italia l’incidenza sul Pil crescerà mediamente tra l’1 e l’1,8% a seconda del livello di efficienza, attestandosi intorno all’8%. Questi i risultati del nuovo report del Cerm “La sostenibilità dei sistemi sanitari regionali”.

16 FEB - La spesa sanitaria del Ssn eserciterà pressioni crescenti sul Pil. A normativa invariata (in particolare, livelli essenziali e universalismo assoluto), nel 2030, dopo un trend continuo, l’aumento di incidenza sarà compreso tra 1 e 1,5 % se si considera la spesa efficiente (standard), e tra 1,3 e 1,8% se si tiene conto degli attuali livelli di inefficienza. E la pressione sul Pil nelle Regioni inefficienti raggiungerà punte superiori all’11%. Una dinamica in linea con i risultati di Ecofin, Ocse e Fmi che, riferiti a un perimetro di spesa più ampio e inglobante anche la voce di assistenza ai non autosufficienti, suggeriscono un potenziale raddoppio della spesa sanitaria sul Pil nei prossimi cinquant’anni.
 
È questo in estrema sintesi il quadro emerso del nuovo report del Cerm “La sostenibilità dei sistemi sanitari regionali”. Il report, curato da Fabio Pammolli e Nicola Salerno, riunisce quattro aspetti cardine del dibattito sulle policy: il benchmarking tra Ssr, le proiezioni a medio-lungo termine, della spesa standard e lorda delle inefficienze; le proiezioni e sulle fonti di finanziamento, e le proiezioni sui flussi di redistribuzione territoriale
 
Uno scenario a tinte fosche soprattutto per alcune Regioni. La pressione sul Pil, secondo il Cerm, supererà soglie critiche proprio in quelle Regioni che oggi mostrano le maggiori sacche di inefficienza e i più gravi gap di qualità delle prestazioni. Nel 2030, nel Mezzogiorno l’incidenza della spesa standard sarà almeno pari al 10%, con punte sopra l’11%. E senza risultati di efficientamento, bisognerà mettere in conto un peggioramento di almeno mezzo punto percentuale, con picchi sino a un punto percentuale.
 
Altre criticità emergono affiancando alle proiezioni della spesa quelle del finanziamento. Si ipotizza che tutte le Regioni concorrano al finanziamento della spesa standard con una percentuale omogenea del Pil, pari all’incidenza della spesa standard nazionale sul Pil nazionale. Si costruisce la matrice dei flussi di redistribuzione che così si attiverebbe. La massa redistributiva passerebbe da circa 10 miliardi di euro a circa 13 nel 2030; valori impegnativi, pari a quasi lo 0,7% del Pil e all’8-9% della spesa standard.
 
La maggior parte dei flussi partirebbe dal Nord a beneficio del Mezzogiorno. Ma con un quadro frastagliato. Alcune Regioni, Umbria e Marche in testa, saprebbero mettere a frutto la redistribuzione che ricevono, perché sono efficienti nella spesa e di qualità nelle prestazioni. Queste due Regioni sono d’esempio anche per un altro motivo. Riescono così bene pur con un livello di infrastrutturazione medio, lontano dai valori più elevati del Nord (l’Umbria addirittura sotto la media Italia). Una testimonianza probabilmente del fatto che gli sforzi di investimento non debbano puntare tout court sull’ospedale e sui ricoveri ordinari, ma spostarsi sulla prevenzione, sull’assistenza domiciliare, sull’integrazione socio-sanitaria, sull’adattamento delle prestazioni alle esigenze del territorio e alla casistica soggettiva/familiare.
 
Le Regioni del Mezzogiorno appaiono (in gradi diversi) non “meritare”, sic stantibus rebus, la redistribuzione di cui beneficiano. Troppo bassa la qualità che offrono, e sprechi equivalenti al 20, anche al 40% del supporto che ricevono dalla collettività nazionale. Bisogna cambiare, affinché la coesione resti sostenibile.
 
Poi ci sono Regioni “ricche”, come il Lazio, la Valle d’Aosta, e le due Province Autonome di Bolzano e Trento, che, nell’ipotesi di finanziamento adottata, dovrebbero concorrere positivamente alla redistribuzione, mentre invece ricevono risorse: il Lazio attraverso i prestiti sanitari negoziati con lo Stato (ma non l’unica Regione con sindrome dei soft budget constraint); le altre Regioni attraverso la fiscalità speciale. La contraddizione è amplificata dal fatto che sono tutte inefficienti nella spesa: il Lazio mostra lo spreco maggiore in valore assoluto (oltre 1 miliardo di Euro); le altre hanno gli sprechi percentuali più alti (rispettivamente, 21, 23 e 17%).
 
La maggior parte delle Regioni “ricche” riesce a centrare il binomio di efficienza/qualità e contribuzione alla redistribuzione territoriale (in primis Emilia Romagna, Lombardia, Toscana). Anche a proposito di queste Regioni, tuttavia, non si deve sottovalutare che, attraendo mobilità, esse ricevono i relativi flussi finanziari che si muovono prevalentemente dal Mezzogiorno. Il controvalore complessivo della mobilità è di circa 1 miliardo all’anno, più del doppio della capienza del Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze nella sua breve vita del 2008 e del 2009, e oltre il 6,6% degli investimenti fissi lordi annui di tutta la PA. Posto che la mobilità deve rimanere una garanzia di cittadinanza nazionale, le Regioni del Nord dovranno provarsi efficienti e di qualità anche senza contare sulle risorse della mobilità, e le Regioni del Mezzogiorno dovranno migliorare efficienza e qualità anche per valorizzare endogenamente quelle risorse che ora son drenate.
 
Le sfide sono tante, sottolinea il Cerm, ed è per questo che, nonostante il rallentamento imposto dalle urgenze della crisi, l’agenda delle riforme non deve essere trascurata. Anche se tutte le Regioni fossero pronte, la dinamica della spesa standard porrebbe comunque interrogativi di sostenibilità che rimandano direttamente ai temi della selettività dell’universalismo, della regolazione lato domanda e offerta, della diversificazione del finanziamento tra pay-as-you-go e accumulazione reale. Tre fronti di policy in Italia aperti ormai da tanti anni.
 
Come superare i gap di efficienza e di qualità? Secondo gli analisti del Cerm “è necessario fissare in maniera chiara le regole di standardizzazione della spesa e quelle per il suo finanziamento integrale, con l’obbligo per le Regioni che sovraspendono di attivare la loro leva fiscale con la tempistica e per gli importi compatibili con un sano andamento dei conti pubblici”.

16 febbraio 2012
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