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Intelligenza Artificiale in medicina, opportunità e rischi

di Lorenzo Proia

Torino è stata scelta per l'Istituto Italiano per l'Intelligenza Artificiale ed è stato “virtualmente” inaugurato l'European Laboratory for Learning and Intelligent System - Ellis, comprendente anche un team dell'Università di Genova. Di cosa potrebbero occuparsi? Gli algoritmi sono strumenti utili in mano agli operatori sanitari, eppure non mancano le criticità

18 SET - Torino è stata da poco scelta dal Governo quale sede per l’Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale (I3A). L’I3A farà ricerca su manifattura e robotica, IoT, Sanità, mobilità, agrifoood ed energia, Pubblica amministrazione, cultura e digital humanities, aerospazio.

La Sindaca Chiara Appendino aveva dichiarato in quell’occasione: “Diamo subito due numeri per capire la portata di questa scelta. A regime saranno: 80 milioni di euro all’anno di budget, 600 persone impiegate nella sede di Torino”, mentre 1.000 saranno quelle complessive.
 
La diocesi torinese, plaudendo all’iniziativa, aveva anche auspicato che si potesse presto “condividere un manifesto valoriale ed etico a presidio della missione della nascente ed importante istituzione”.

Al contempo è nata proprio in questi giorni la Rete europea dell’Intelligenza Artificiale (European Laboratory for Learning and Intelligent System, Ellis) che nel corso di una cerimonia virtuale ha ufficialmente inaugurato i suoi 30 laboratori d’eccellenza distribuiti in 14 Paesi, coinvolta anche l’Università di Genova. Comprendere come funzionano e come possono interagire intelligenza artificiale e intelligenza naturale sarà il focus dell’unità di ricerca genovese, diretta da Massimiliano Pontil. Di cosa potrebbero occuparsi?

La robotica, innanzitutto, molti gli utilizzi in Italia. L’ultimo due giorni fa nel Lazio dove sono stati eseguiti dall’equipe chirurgica di Ortopedia generale del Presidio ospedaliero Cto (Asl Roma 2), diretta da Fabio Rodia, i primi due interventi di Chirurgia Protesica effettuati mediante sistema robotico. L’Assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato ha dichiarato: “Si tratta di una grande innovazione, grazie alla chirurgia robotica che opera mediante un braccio robotico, è consentita una pianificazione estremamente precisa degli interventi tenendo in considerazione l’anatomia specifica di ogni singolo paziente” (fonte Dire).

Ma i robot di ultima generazione sono anche dotati di autonomia, attraverso lo sviluppo della robotica intelligente o robotica cognitiva. In Italia sono in particolare i ricercatori dell'Icar-Cnr a sviluppare da alcuni anni algoritmi che consentono di ottenere un’interazione quanto più naturale possibile tra l’uomo e i robot. “La robotica cognitiva è la disciplina che si occupa di dotare i robot di forme di intelligenza in grado di apprendere dall'esperienza ed eseguire ragionamenti. È forse la più evidente manifestazione materiale dell'intelligenza artificiale”, spiegava l’esperto Umberto Maniscalco.

Nasce così “Pepper”, un robot dalle sembianze di un bambino, ed è insieme a lui che quotidianamente si studiano e migliorano gli algoritmi che replicano il sistema somatosensoriale dell’uomo. “La capacità delle macchine di riconoscere volti è ormai disponibile anche sui nostri smartphone”, per il ricercatore, “tuttavia, l'associazione di un volto al concetto di amico o nemico per un robot deve passare attraverso un ragionamento. Nel nostro caso, passa attraverso le sensazioni che ha provato quando ha interagito con quel volto. Abbiamo sviluppato un sistema somatosensoriale artificiale che, tramite centinaia di sensori presenti sul robot, è in grado di sintetizzare le cosiddette ‘roboception’ (in analogia alle sensazioni e alle emozioni umane) ovvero ‘sensazioni’ di dolore, piacere, ansia, benessere, etc. Quindi, il concetto di amico o nemico è legato all'esperienza positiva o negativa che il robot ha avuto con una specifica persona. Così come nella realtà umana gli amici potrebbero diventare col tempo nemici e viceversa”.
 
Non solo opportunità però. Uno studio, pubblicato su Science, ha dimostrato come l’algoritmo scelto dalla maggiore compagnia assicurativa degli Usa discrimini gli afro-americani. Il team di ricerca guidato da Ziad Obermeyer dell’Università di Berkeley spiega come non sia tanto la situazione di Salute del paziente ad essere presa in esame, quanto piuttosto i costi dell'assistenza sanitaria.
 
Una lettura “critica” non può che essere quella del professor Yuval Noah Harari che ha messo in guardia nei suoi tre best-seller (‘Sapiens. Da animai a a dèi: breve storia dell’umanità’, pubblicato in Italia nel 2014 ma scritto in Israele nel 2011; ‘Homo Deus. Breve storia del futuro’ 2017; ‘21 lezioni per il XXI secolo, 2018) dai rischi che il genere umano correrebbe nell’affidare all’Intelligenza Artificiale (IA) tutta una serie di informazioni delegando ad altri la propria identità, che rischierebbe di essere edulcorata o, addirittura, annichilita. E questo tanto da un numero ristretto di individui sia, in ipotesi futuristiche che nei testi non mancano, dall’IA stessa attraverso il processo di apprendimento automatico (machine learning). Harari sostiene che l’unico modo per “battere gli algoritmi” sia quello di conoscere se stessi.
 
Lorenzo Proia

18 settembre 2020
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