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Moirano (Agenas): “Occorre riorganizzare la rete dell’offerta”


14 APR - La parola chiave è “dimensionamento”. La proposta Agenas per le Regioni in Piano di rientro ruota tutta intorno a questo concetto, come spiega il direttore dell'Agenzia Fulvio Moirano: “Abbiamo osservato l’esistente e poi abbiamo cercato di valutare come riorganizzare la rete dell’offerta, dando dei parametri per il dimensionamento delle strutture ospedaliere, dell’emergenza-urgenza e del territorio”. In estrema sintesi: tot abitanti, tot reparti di chirurgia, Pronto Soccorso, Rsa, ecc. E questa proposta, che è assolutamente vietato chiamare “modello” e che è già utilizzata come base di partenza per i Piani di rientro in diverse Regioni, oggi viene pubblicata interamente sul nuovo numero di Monitor, la rivista dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.

Dottor Moirano, come nasce questa ricerca?
Diciamo subito che non è una ricerca, ma piuttosto il frutto di una lavoro comune di osservazione dell’esistente compiuto dagli esperti Agenas in collaborazione con i tecnici di diverse Regioni, che ci ha consentito di definire l’articolazione e i parametri ottimali della rete dell’offerta dei servizi e delle prestazioni, articolata per rete ospedaliera, rete dell’emergenza urgenza, rete territoriale. Poi ci sono anche molti altri aspetti, la spesa farmaceutica o protesica, il sistema della formazione. Ma noi prevalentemente ci siamo occupati di questo.
 
Questo lavoro è stato realizzato per le Regioni in deficit di bilancio e vale solo per loro?
È un lavoro che può essere valido per tutti, perché risponde a esigenze generali di ammodernamento del nostro sistema sanitario, ma che è particolarmente urgente realizzare nelle Regioni che hanno i bilanci in rosso e dunque sono sottoposte a Piani di rientro.
Come Agenas, infatti, abbiamo affiancato le Regioni con Piani di rientro (Sicilia, Calabria, Abruzzo, Piemonte, ecc.), sulla base di quanto previsto nel Patto per la Salute 2009. Ma abbiamo dato consulenza anche a Regioni che non hanno i Piani di rientro, come la Sardegna, la Basilicata e la Liguria.
 
Che situazione avete trovato nelle diverse Regioni?
Ci siamo trovati spesso in presenza di programmazioni vecchie, datate. E in qualche caso la programmazione non era proprio stata fatta. Quando le reti dell’offerta non sono ben programmate, o non sono programmate affatto, ti trovi a constatare che le strutture, gli ospedali e non solo, sono cresciute in maniera estemporanea, sulla base di interessi specifici dei politici locali, dei professionisti locali o altro. Così ci sono reti di offerta che non hanno un bacino adeguato: questo vuol dire che le strutture non sono pienamente utilizzate e anche che non possono raggiungere l’eccellenza, in mancanza di una “massa critica” adeguata.
 
Quali difficoltà avete incontrato nell’applicare i vostri parametri?
Bisogna chiarire che non si tratta di applicare dei parametri: la nostra è una proposta indicativa, ed è scritto chiaramente che non ha valore di vincolo. Le Regioni hanno davanti il quadro dell’esistente, la nostra proposta, ma poi alla fine sono loro che devono approvare le delibere. Non si può pensare di cambiare tutto in pochi mesi.
Certo, per quanto riguarda la rete ospedaliera e quella dell’emergenza si tratta quasi sempre di operare un ridimensionamento, essendo nate in maniera non programmata e rivelandosi dunque tendenzialmente ridondanti. E, nel ridimensionamento, c’è un problema della politica nel resistere alle sollecitazioni locali e professionali, anche legittime, facendo valere una programmazione forte, che chiede subito tagli e che darà vantaggi solo più avanti.
Un pungolo è lo spauracchio del disavanzo, che determina aumento della tassazione Irpef e Irap, ticket, fino ad arrivare al commissariamento. Per evitare tutto questo, i politici delle Regioni in Piano di rientro devono compiere scelte coraggiose.
 
A proposito di commissariamento, crede che sia positivo affidare il ruolo di commissario al presidente della Regione?
Dal punto di vista puramente tecnico, qualche difficoltà questo sistema la crea. Perché il conflitto con le comunità locali ha più effetto su chi, come il presidente, è parte della struttura politica regionale, mentre un commissario di Governo avrebbe sicuramente meno vincoli. Ma è da valutare il contesto, perché un commissario non può realizzare quasi niente, se è solo contro tutti.
 
I risultati si calcolano solo sotto il profilo dei bilanci?
Non solo: si deve da una parte rientrare e dall’altra riqualificare, andando a recuperare risorse dagli ospedali per portarle sul territorio. Una strada che è difficile ma che dà buoni risultati.
 
La rete territoriale non deve essere “ridimensionata”, ma se mai sviluppata. Qual è la vostra proposta?
In molte realtà l’ospedale vicariava le funzioni di una struttura territoriale e anche quelle della lungodegenza: aveva costi altissimi, ma dava alcuni servizi. Ora bisogna trovare il modo per offrire questi servizi in modo razionale, e per questo la parte territoriale è quella dove si deve innovare di più. Penso alla riconversione di alcuni piccoli ospedali, che non hanno più ragion d’essere, in strutture di ricovero a bassa intensità o in punti di Primo intervento, anche coinvolgendo i medici di medicina generale.
Sulla base della nuova convenzione nazionale, si stanno realizzando convenzioni regionali che prevedono la creazione di gruppi di Cure Primarie, che garantiscono, in integrazione con la Continuità Assistenziale, l’assistenza continuativa per un certo bacino d’utenza. Non si tratta di creare tanti “piccoli” Pronto Soccorso, ma di garantire una risposta ai bisogni dei cittadini. E i gruppi di Cure Primarie possono offrire anche diagnostica di base e strumentazioni che è quasi impossibile pensare di trovare nello studio del singolo medico di famiglia.
 
Nel vostro documento è scritto chiaramente che l’obiettivo non è tanto ridurre il numero dei posti letto, ma piuttosto ridurre il numero delle strutture. Questo vuol dire che ci saranno tagli del personale medico e sanitario?
Bisogna essere seri. In molte Regioni, in questi anni, si sono ridotti i posti letto in maniera parcellizzata, levandone due qua e due là. In questo modo non si sono ridotti i costi, ma si sono soltanto rese più inefficienti le strutture.
Detto questo, il taglio del personale nel servizio pubblico non si può fare, visto che non si possono fare licenziamenti. Al massimo si può utilizzare il blocco del turn over, ma personalmente credo che un blocco del turn over totale non sia realizzabile e che sia più appropriato invece pensare a percentuali di blocco che consentano alle amministrazioni di gestire la situazione: ci sono dei “cessati” che si può benissimo non sostituire, mentre altri vanno sostituiti per non creare problemi ai servizi.
E.A.

14 aprile 2011
© Riproduzione riservata

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