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Regioni in deficit: come riorganizzare i servizi sanitari. La proposta Agenas


I reparti ospedalieri potrebbero essere ridotti del 10-20% e il personale di circa il 10%. La proposta, formulata dall’Agenzia per la riorganizzazione della sanità nelle Regioni vincolate ai Piani di rientro, indica parametri di riferimento per gli ospedali, per il territorio e per l’emergenza. Ma, come spiega il direttore Moirano in quest'intervista, potrebbe essere "valida per tutti".

14 APR - Non è un modello, ma una proposta. Non prescrive tagli, ma una riorganizzazione dell’offerta. Non è vincolante, ma indicativo. Fatte tutte queste premesse, resta il fatto che le indicazioni contenute nel documento pubblicato sull’ultimo numero della rivista Monitor faranno discutere. Si tratta, in sintesi, delle linee di indirizzo da utilizzare per organizzare “al meglio” la rete ospedaliera, la rete dell’emergenza-urgenza e la rete territoriale.
 
Riorganizzare il sistema per far quadrare i bilanci
Come scrive Fulvio Moirano presentando il documento, “per garantire l’equilibrio economico-finanziario delle Aziende sanitarie e l’intera spesa sanitaria entro i limiti previsti dal finanziamento stanziato annualmente, non è necessario solo operare dei tagli per spendere meno, ma, piuttosto, occorre riformulare i servizi nella logica dell’appropriatezza organizzativa e razionalizzare l’intero sistema”. E nell’intervista che pubblichiamo, lo stesso Moirano spiega che questa proposta di riorganizzazione non serve solo alle Regioni in deficit, ma è “valida per tutti”, tanto che anche regioni “virtuose”, come Sardegna, Basilicata e Liguria, hanno chiesto consulenze ai tecnici Agenas.
L’affiancamento delle Regioni sottoposte a Piani di rientro è tra i compiti assegnati all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) dal Patto per la salute 2010-2012. Questo vuol dire che l’Agenzia invia esperti e tecnici a lavorare in collaborazione con gli assessorati regionali per definire gli interventi necessari per far sì che la sanità di quella Regione rimetta in ordine il proprio bilancio, continuando a garantire i servizi sanitari ai cittadini. Almeno così si spera.
Per poter svolgere questo compito, Agenas ha predisposto il documento che viene pubblicato oggi integralmente su Monitor, la rivista dell’Agenzia, firmato da molti esperti di organizzazione sanitaria: Fulvio Moirano, Ragnar Gullstrand, Francesco Enrichens, Danilo Bono, Stefano Gariano, Pier Paolo Benetollo, Alba Maria Rosito, Maria Cristina Ghiotto e Daniela Marcer.
 
Le proposte per la rete ospedaliera
 
Al centro della proposta c’è l’adozione di un modello “hub e spoke”. La formula, che utilizza l’immagine di una ruota con al centro il mozzo (hub) da cui partono i raggi (spoke), prevede l’individuazione di strutture di eccellenza che facciano da fulcro (hub) in collegamento con altre (spoke), più numerose e più diffuse. Corollario naturale, ma difficile da realizzare, è la chiusura dei piccoli ospedali e, in alcuni casi, la loro trasformazione in strutture per post-acuzie o in servizi della rete territoriale.
Ma di quanti reparti di chirurgia ha bisogno un territorio? E di quante cardiologie? Per definire quale sia il fabbisogno ottimale a cui “tendere” il documento indica quale dovrebbe essere il bacino di utenza e il numero di posti letto di ciascuna “struttura complessa”. Facciamo qualche esempio: un reparto di cardiologia dovrebbe avere un bacino di utenza di 150/300mila persone, con 16 p.l. a disposizione. Un reparto di oncologia dovrebbe servire 800/400mila abitanti, sempre avendo a disposizione 16 p.l., anche perché “si ritiene possibile trasferire l’80% delle prestazioni di chemioterapia (DRG 410) in regime ambulatoriale, mantenendo la parte restante in ricovero ospedaliero per i soggetti particolarmente fragili”.
Utilizzando questi parametri, e confrontandoli con la realtà attuale, il documento indica che “in
tutte le Regioni studiate” si evidenzia “una possibilità di riduzione di strutture complesse anche nell’ordine di 10-20%”, tanto che nelle Regioni con piano di rientro ci sarebbe un “surplus complessivo di personale che supera il 10%”, se confrontato con quanto accade con le realtà più efficienti delle stesse Regioni.
Né va meglio con le strutture: “L’utilizzo delle sale operatorie nei presidi pubblici è, spesso, troppo basso con la conseguenza di un uso non efficiente del personale relativo. È opportuno, quindi, superare il 70% dell’utilizzo concentrando gli interventi per un uso migliore delle risorse”.
E qualche criticità si mostra anche nel rapporto tra pubblico e privato. “Si evidenzia – si legge nel documento – la possibilità di razionalizzare fortemente la presenza degli erogatori privati in modo di indirizzare il loro contributo al sistema sanitario in modo più coerente rispetto alle strutture pubbliche, eliminando le duplicazioni e gli eccessi di offerta”.
 
Tutto questo dovrebbe portare a quella razionalizzazione della rete ospedaliera, prevista dal Patto per la Salute 2010-2012, ottenuta attraverso il passaggio “dal ricovero ordinario al ricovero diurno, dal ricovero diurno all'assistenza in regime ambulatoriale e, in generale, dal ricovero all'assistenza territoriale e domiciliare”. Per ottenere questo risultato occorre innanzi tutto sorvegliare i Drg “ad alto rischio di inappopriatezza” e vigilare sui ricoveri impropri di lungodegenza ( “sono considerati non appropriati l'80% dei ricoveri ordinari non chirurgici in specialità per acuzie di persone da 65 anni in su e con degenza eguale o superiore a dodici giorni”).
 
Parametri indicativi anche per la riorganizzazione delle degenze post-acuzie, in parte da condividere con l’assistenza territoriale e dunque con i Distretti,e comunque da contenere in 0,7 p.l. per mille abitanti, di cui 0,5 per riabilitazione e 0,2 per lungodegenza post-acuzie.
 
Le proposte per la rete territoriale
 
“Attraverso la riorganizzazione della rete dell’emergenza-urgenza e ospedaliera si possono liberare importanti risorse umane e materiali da impiegare per un potenziamento della rete territoriale”. È questa la premessa alla parte del documento dedicata al territorio, il settore che certamente deve essere più sviluppato. Fulcro di questo sviluppo deve essere il Distretto, che “deve realizzare una reale e concreta presa in carico del paziente cronico, superando
lo storico atteggiamento autorizzativo”.
Muovendo dalla riconversione dei piccoli ospedali locali, il documento indica tre linee di intervento: potenziamento della residenzialità territoriale; implementazione dei Centri di Assistenza Primaria (CAP);  potenziamento delle cure domiciliari.
Per i CAP si ipotizzano due parametri: nelle aree metropolitane dovrebbe essercene uno ogni 20/50mila residenti, mentre nelle aree extra-metropolitane uno ogni 15/20mila residenti, con possibili deroghe nelle aree montane.
Particolare rilievo viene data alle forme associative della medicina primaria e all’integrazione tra medicina generale, assistenza specialistica territoriale, continuità assistenziale e rete dell’emergenza.
 
Le proposte per la rete dell’emergenza-urgenza
La rete dell’emergenza-urgenza è uno dei punti più sensibili del sistema sanitario, quello che fa scattare spesso le denunce per “malasanità”, quello che orienta le richieste di intervento e quello che, di frequente, supplisce ad altre carenze.
Il documento Agenas propone la creazione di una gamma differenziata di punti di pronto soccorso: si va dal Dea (Dipartimento di emergenza e accettazione)  di II livello inserito in un centro Hub – dovrebbe essercene uno ogni 500mila/1 milione di residenti –, al Dea di primo livello inserito in un ospedale Spoke  – uno ogni 150/300mila residenti –, al Pronto Soccorso semplice – con almeno 20mila accessi all’anno –, al Punto di Primo Intervento, al Pronto Soccorso in area disagiata.
Le disponibilità, professionali e strumentali, di queste strutture sono ovviamente diverse e diventa quindi strategico il ruolo del 118 e dei suoi mezzi di soccorso,  che hanno il compito di far arrivare ogni caso verso il centro più adatto alla specifica situazione.
E.A.

14 aprile 2011
© Riproduzione riservata


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