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Speciale. La salute al tempo della crisi. A rischio anche i Paesi "ricchi"


All’Oms ci si comincia a chiedere in quale misura e per quanto tempo ancora la crisi finanziaria e il ciclo economico recessivo influenzeranno la salute pubblica globale. Il rischio è di bruciare i progressi fatti negli ultimi decenni e di rendere gli Obiettivi del millennio soltanto delle dichiarazioni di intenti. Ma non sono soltanto i paesi a basso reddito che rischiano di pagare un prezzo troppo alto per la crisi. Le conseguenze cominciano a sentirsi pesantemente anche nella parte più ricca del mondo

22 FEB - Margaret Chan, il grande capo dell’Organizzazione mondiale della sanità, da più di due anni non perde occasione per ripeterlo: nonostante la crisi economica, non possiamo tirarci indietro e ridurre gli investimenti in salute globale. O si rischia buttare alle ortiche il lavoro di anni.
L’ultima volta lo ha fatto lo scorso 17 gennaio di fronte all’executive board dell’Oms. Annunciando l’avvio di una vasta campagna di vaccinazione contro la meningite in Burkina Faso, Mali e Niger, ha ribadito come questa sia solo una goccia nel mare e come il “calo dei fondi disponibili comprometta un po’ dappertutto campagne sanitarie essenziali”. Un calo generalizzato, che investe “la maggior parte delle organizzazioni attive nel settore della salute, come il Global Fund, la Global Alliance for Vaccines and Immunisation, la stessa Oms”.
È una situazione, ha spiegato, “che solleva una domanda che si è ripetuta in tutto l’anno passato e continua a riecheggiare anche oggi: quanto la crisi finanziaria e il ciclo economico recessivo influenzeranno la salute pubblica, sia su scala internazionale, sia all’interno dei singoli paesi?”
All’Oms si comincia a pensare che le sue conseguenze non saranno di breve termine. La lista delle cose da fare è lunga: “le zanzariere contro la malaria devono essere cambiate”, elenca la Chan. “La terapia antiretrovirale contro l’Aids è un’àncora di salvataggio da offrire per tutta la vita; la diagnosi e il trattamento della tubercolosi devono essere intensificate; tutte le generazioni di bambini devono essere protette contro le malattie prevenibili”. E la coperta troppo corta per onorare tutti gli impegni: “lo scorso anno abbiamo lanciato una nuova strategia aggressiva per eradicare la polio. Ma la comunità internazionale ha la forza e le risorse per raggiungere questo obiettivo? Riusciremo a completare questo lavoro?”.
Il timore, poi, è che si stia sprecando un’occasione importante in un momento decisivo: che proprio adesso che sono disponibili armi contro le epidemie globali si sia costretti a lasciarle nel cassetto in attesa di tempi migliori. “Potenti innovazioni come il vaccino per la meningite, quello per prevenire diarrea e polmonite, come i nuovi test diagnostici per la tubercolosi, riusciranno a esprimere i loro potenziali?”, si chiede l’esponente dell’Oms.
La posta in gioco è alta.
 
SUCCESSI A RISCHIO - La buona disponibilità di risorse ha consentito nei decenni passati di raggiungere obiettivi di salute pubblica che, seppur parziali, sono imponenti. I casi di poliomilelite sono passati da 350.000 del 1988 (anno di lancio della Global Polio Eradication Initiative) ai 1604 del 2009. Il numero di decessi dovuti alla malaria si è ridotto del 22 per cento in 10 anni tra il 2000 e il 2009 e, tra il 1990 e il 2008, la mortalità materna è scesa di un terzo. Ancora, alla fine del 2009 quasi 5 milioni e mezzo di persone Hiv positive riceveva la terapia antiretrovirale nei paesi a basso e medio reddito. Rappresentano soltanto un terzo dei 15 milioni che ne avrebbero bisogno, ma è pur sempre qualcosa.
E questi non sono che alcuni dei tanti possibili esempi. È vero, gli Obiettivi del Millennio restano ancora lontani, ma se il rubinetto dei fondi si continuerà a stringere, allora potrebbero rimanere sulla carta, come buoni propositi fatti in un’epoca di prosperità.
Il rifinanziamento lo scorso ottobre del Fondo globale contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria con quasi 12 miliardi di dollari rimane l’ultimo grande successo nelle iniziative di salute pubblica globale. Tuttavia, sebbene si tratti di un fiume di quattrini, resta insufficiente. Per il Global Fund servirebbero almeno altri 3 miliardi di dollari per finanziare soltanto i progetti già approvati. Fondi che per ora all’orizzonte non si vedono. La stessa amministrazione Obama, che con 4 miliardi è stata il più generoso finanziatore di questa tornata, non ha mantenuto le promesse della vigilia tagliando di un terzo la spesa preventivata che sarebbe dovuta essere di 6 miliardi. L’Italia, da parte sua, per ora si è tirata completamente fuori.
 
L’INCERTEZZA CHE UCCIDE. ANCHE TRA I RICCHI - Ma non sono soltanto i paesi a basso reddito che rischiano di pagare un prezzo troppo alto per la crisi. Le conseguenze cominciano a sentirsi pesantemente anche nella parte più ricca del mondo.
Già nel luglio 2009, uno studio pubblicato su The Lancet, che aveva analizzato la correlazione tra mortalità e condizioni economiche nei precedenti 30 anni, prevedeva che in Europa per ogni 1% di aumento del tasso di disoccupazione si sarebbe registrata una crescita dello 0,79 per cento dei tassi di suicidi e omicidi. Per il momento, non è dato sapere se la previsione si sia avverata nel nostro continente. Di certo qualcosa di analogo è accaduto in Corea del Sud durante la crisi economica che ha investito il paese a fine anni 90. Uno studio pubblicato sulla rivista World Psychiatry nei giorni scorsi e che ha seguito per un decennio quasi 30.000 persone ha mostrato quanto le diseguaglianze economiche (che si acuiscono nei periodi di crisi economica) incidano sulla salute mentale: nel periodo considerato, i tassi di suicidio, pensieri suicidari e suicidi sono raddoppiati nella fascia più povera della popolazione. Un dato che ha indotto i ricercatori a ribadire “la necessità dell’espansione di politiche di protezione sociale per la popolazione più vulnerabile e del rafforzamento della rete di protezione per la salute mentale”.
Non troppo diversi i risultati di uno studio pubblicato sul Canadian Journal of Psychiatry e che invece guardava proprio al periodo dell’attuale crisi economica. Nella regione di Alberta, la diffusione della depressione maggiore tra il settembre 2008 e l’ottobre 2009 è passata dal 5,1 per cento al 7,6 per cento. Quella della distimia (una forma più lieve di depressione) dall’0,4 all’1,5 per cento.
Intanto, un po’ dappertutto, cresce la paura che possano sfuggire al controllo le malattie infettive. Per il 2010 era attesa una recrudescenza della tubercolosi nelle repubbliche baltiche come conseguenza del peggioramento delle condizioni economiche e di quelle igieniche. Mentre, soprattutto nei paesi a medio reddito, si teme che la scarsa disponibilità economica si traduca in stili di vita ancor meno salutari, mandando all’aria quel po’ di prevenzione primaria per tumori e malattie cardiovascolari che negli anni era riuscita ad attecchire.
E questo avviene in un momento in cui “le malattie croniche non trasmissibili si stanno estendendo dalle popolazioni ricche a quelle povere e svantaggiate”, ha sottolineato Margaret Chan lo scorso venerdì in occasione di un simposio sull’accesso ai farmaci. “Malattie come quelle cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete e il cancro ormai pesano per l’80 per cento sui paesi a basso e medio reddito. E la maggior parte di questi pazienti avrà bisogno di un accesso a lungo termine ai farmaci”.
Una nuova sfida, insomma, che la crisi economica potrebbe farci perdere. 

22 febbraio 2011
© Riproduzione riservata

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