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Disabilità al femminile. Guidi: “Donne sottoposte a doppio disagio”


Lunedì prossimo a Roma si terrà un convegno su "Disabilità al femminile tra coraggio e violenza". Abbiamo intervistato il promotore dell'iniziativa Antonio Guidi, che ha l'incarico di collaboratore alle Politiche per la Disabilità al Comune di Roma. "Essere donna con disabilità non è neutro, implica delle difficoltà in più. Le donne disabili, di fatto, sono sottoposte a una doppia disabilità. Per la quale servono proposte e interventi innovativi".

06 MAG - Differenza di generi: questo tema ha attraversato il percorso politico e culturale dei nostri ultimi decenni. Eppure la distanza tra uomo e donna resta grande. Anche quando si parla di disabilità. In questa intervista, Antonio Guidi, collaboratore alle Politiche per la Disabilità al Comune di Roma, fa il punto sulle condizioni della donna disabile e sulle possibili soluzioni per abbattere le barriere che ancora la rendono troppo fragile all’interno della comunità. Questioni che saranno affrontate nel corso del convegno "Disabilità al femminile tra coraggio e violenza" che si terrà a Roma il prossimo 9 maggio e che, oltre a Guidi, vedrà la partecipazione di Irene Pivetti, Learn To Be Free Onlus, Carlo Romeo, responsabile Segretariato Sociale Rai, e Francesca Pasinelli, direttore generale Telethon.

Dottor Guidi, come nasce l’idea di questo convegno e dunque la volontà di applicare un’ottica di genere sulla disabilità femminile?
Nasce dalla mia esperienza, prima al sindacato e poi al Governo. Nel corso di questi anni non ho potuto fare a meno di notare l’esistenza di una specificità femminile trasversale a tanti problemi come ad esempio quello del lavoro o della carriera che riguardano tutte le donne, ma che si enfatizzano ancor di più nel caso di persone con disabilità. Non dobbiamo dimenticare anche la condizione di madre con figli disabili, in quanto è soprattutto la mamma a farsi carico della maggior parte dei problemi, lasciando ‘risucchiare’ la sua intera esistenza nell’assistenza al proprio figlio. In questo caso la madre, spesso lasciata in condizione di totale solitudine, finisce per dedicare tutto il suo tempo al proprio figlio, non riuscendo a lavorare e ad affermarsi.

Possiamo quindi dire che in questo caso i problemi della femminilità e della donna sono ancora più critici?
Assolutamente. Carriera, autodeterminazione, gestione dei figli e della propria vita sono alcuni dei casi in cui la disabilità funziona da lente d’ingrandimento ingigantendo questi problemi spesso del tutto ignorati. Bisogna far conoscere meglio l’eroismo della quotidianità di queste persone. Tutte quelle problematiche che si trovano a dover affrontare e che, più che non viste, possiamo dire che non vogliono esser viste.

E per quanto riguarda le dinamiche delle donne con disabilità?
Esser donna con disabilità non è neutro, implica delle difficoltà in più. Difficoltà nella gestione del proprio corpo, ad esempio. A maggior ragione in una società dove l’accudimento delle persone più gravi non rispetta la differenza di genere. Nell’assistenza in casa, nel trasporto o nella scuola, quante volte abbiamo assistenti maschi che senza essere scelti accudiscono le donne. Questa è una violenza rispetto alla privacy. A Roma solo un consultorio familiare su decine è adattato per le barriere architettoniche, ed una donna che vuole avere una visita ginecologica o richiedere anticoncezionali, non solo va incontro a difficoltà logistiche, ma anche a barriere culturali e di pregiudizio.

Ci sono quindi enormi le differenze tra uomini e donne in rapporto alla disabilità?
Esattamente, e di fronte all’evidenza di questi fatti dobbiamo affermare con forza che se siamo tutti uguali dal punto di vista dei diritti e doveri, allo stesso tempo dobbiamo rimarcare le differenze esistenti nella richiesta di provvedimenti e servizi.

Sul tema della violenza, anche qui le differenze sono più marcate?
Rispetto la sicurezza non dobbiamo nasconderci, una donna disabile può difendersi meno. Per fare un esempio semplice, una persona non vedente non può fare l’identikit del suo aggressore. Con questo non voglio dire che il disabile non possa uscire di casa, ma vanno evidenziate tutte quelle situazioni delicate che la espongono maggiormente a rischi di vario genere.

Quali sono le vostre proposte?
Potenziare servizi come il telefono rosa, magari con un numero specifico per le persone disabili. Mettersi maggiormente in rete, anche con i consultori familiari pubblici. Un assistenza più mirata dal punto di vista psicologico, già dalla violenza più grande che è quella della prima notizia di avere un figlio con handicap per la donna partoriente. E, infine, tutta una serie di servizi: per la madre, una scuola materna e un’assistenza domiciliare per renderla più libera; per la donna con disabilità, un’assistenza alla persona che le permetta di poter scegliere con chi andare e dove andare.
 
 
Giovanni Rodriquez

06 maggio 2011
© Riproduzione riservata

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