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Legge Concorrenza. Incrementare l’uso di farmaci equivalenti e meno limiti per le pubblicità sanitarie. Le proposte dell’Agcm

di G.R.

E sulla vendita dei prodotti dieto-terapeutici per celiaci,  l’Autorità ritiene che in tutte le regioni d’Italia debbano essere uniformemente realizzati sia il massimo allargamento possibile del numero e della tipologia dei negozi in convenzione con le Asl dove è consentito l’utilizzo del contributo pubblico, allargandolo anche alla grande distribuzione; sia una adeguata razionalizzazione, semplificazione e dematerializzazione delle procedure di accreditamento. LE PROPOSTE

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L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel suo bollettino, interviene con alcune proposte per la legge sulla concorrenza 2023 toccando anche alcuni temi di interesse sanitario. A cominciare dall'acquisto di farmaci tornando nuovamente a puntare su un maggiore ricorso ai biosimilari. Vengono poi limitate le restrizioni vigenti in tema di pubblicità sanitaria e, per i prodotti dieto-terapeutici per celiaci, si chiede una normativa più uniforme tra le diverse ragioni e un allargamento dei negozi nei quali sia possibile il loro acquisti in convenzione con le Asl.

Misure volte a incrementare la competitività delle gare pubbliche per l’acquisto dei farmaci
L’Autorità ha da sempre ritenuto necessario promuovere le dinamiche competitive nel mercato dei farmaci biologici, dal momento che questi pesano in maniera significativa sulla spesa sanitaria pubblica, in particolare attraverso lo stimolo all’uso dei c.d. biosimilari, come strumento in grado di ampliare la platea dei pazienti che possono accedere a tale tipologia di farmaci e di contribuire alla sostenibilità dei sistemi sanitari europei.

L’Autorità reitera l’opportunità dell’adozione di una disciplina che faccia leva, anche nel caso dei farmaci biosimilari con principi diversi, sul criterio dell’equivalenza terapeutica, la quale, tuttavia, deve essere declinata tenendo conto delle specificità che caratterizzano questa tipologia di medicinali. In merito all’assimilazione di composti biologici occorre, infatti, tenere a mente che essendo i farmaci biologici dei composti complessi prodotti a partire da un organismo vivente o da esso derivati, non si può parlare di vera e propria “equivalenza” terapeutica, più correttamente riferibile soltanto ai farmaci a sintesi chimica, ma piuttosto di “sovrapponibilità”. Ciò detto, tuttavia, l’esperienza clinica dimostra che vi sono ipotesi concrete di sovrapponibilità terapeutica tra alcune tipologie di biosimilari. Pertanto, il terzo periodo del comma 11-quater appare eccessivamente e ingiustificatamente restrittivo nel vietare in maniera assoluta la messa gara nel medesimo lotto di farmaci biosimilari con principi attivi differenti, anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche.

Come già riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, appare possibile contemperare l’obiettivo di tutela della salute dei pazienti con quello di riduzione del costo delle cure attraverso la realizzazione di gare pubbliche per l’acquisto dei farmaci biosimilari che mettano in concorrenza tra loro anche principi attivi differenti, commercializzati per le medesime indicazioni terapeutiche, sulla base di motivate e documentate decisioni sulla sovrapponibilità terapeutica previamente espresse dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ai sensi dell’articolo 15, comma 11-ter, del richiamato decreto legge 6 luglio 2012, n. 95. Nell’ottica di un incremento della competitività nelle gare pubbliche si ritiene, dunque, che la citata previsione di cui all’articolo 15, comma 11-quater vada abrogata in maniera da far confluire il tema dell’equivalenza terapeutica dei farmaci biologici nella disciplina generale di cui all’articolo 15, comma 11-ter, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95. L’Autorità, pertanto, reitera quanto già auspicato al riguardo in passato.

Pubblicità sanitaria

Il comma 525 dell’articolo 1 della legge n. 145/2018 ha reintrodotto, secondo l'Autorità, delle ingiustificate limitazioni all’utilizzo della pubblicità nel settore delle professioni sanitarie, in controtendenza rispetto al trend di liberalizzazione che ha contraddistinto l’evoluzione del settore, peraltro non motivate né proporzionate all’interesse generale di tutelare il consumatore. Circoscrivere il contenuto legittimo di una “comunicazione informativa” all’unico fine di “garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari” rende inefficace lo strumento pubblicitario. Non è la pubblicità a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, quanto piuttosto le misure in tal senso concretamente adottate dai professionisti nell’esercizio della propria attività, misure peraltro imposte dalla disciplina di settore e dalla dovuta diligenza professionale.

Misure volte ad armonizzare e migliorare l’accesso ai canali di vendita dei prodotti dieto-terapeutici per celiaci
A parere dell'Autorità risultano sussistere significative differenze tra le diverse regioni in relazione alle concrete modalità di accreditamento e di fruizione del contributo pubblico da parte dei soggetti cui venga diagnosticata e certificata la celiachia. In particolare, in alcune regioni è previsto l’utilizzo di buoni cartacei mensili che vengono forniti dall’ Azienda sanitaria locale (ASL) di appartenenza dietro presentazione del certificato medico attestante la malattia celiaca, in altre si utilizzano buoni dematerializzati accreditati direttamente sulla tessera, in altre si richiede l’utilizzo della ricetta rossa, mentre in altre ancora viene fornita in dotazione a tutti i soggetti celiaci una carta magnetica ricaricabile. Le diversità tra le regioni nelle modalità di accreditamento e di fruizione dei contributi riguardano in alcuni casi anche i canali presso i quali tali contributi sono spendibili: in particolare, in alcune regioni, i buoni - siano essi cartacei o digitali - risultano spendibili esclusivamente presso le farmacie (e/o le parafarmacie e/o gli esercizi commerciali specializzati), ma non in altri punti vendita dove sarebbe parimenti possibile reperire i medesimi prodotti. Tra questi, in particolare, i punti vendita della grande distribuzione organizzata (GDO), dove sono presenti, con le rispettive linee di prodotti senza glutine, anche gli stessi operatori della GDO con i propri marchi privati (c.d. private label) e le industrie alimentari.

Come già sottolineato in passato, l’Autorità ritiene che la restrizione dei canali distributivi ove possono essere utilizzati i contributi destinati all’acquisto di prodotti gluten free sia idonea a determinare un‘ingiustificata restrizione della concorrenza. Appare, inoltre, di fondamentale importanza, anche ai fini di una migliore accessibilità dei prodotti da parte dei pazienti affetti da celiachia, che si realizzi in tutte le regioni una piena razionalizzazione e informatizzazione delle modalità di accredito del contributo pubblico, tale da garantire sia una rendicontazione trasparente e automatica sia modalità di rimborso agevoli e tempestive per qualunque tipologia di esercizio commerciale.

In conclusione, l’Autorità ritiene che in tutte le regioni d’Italia debbano essere uniformemente realizzati sia il massimo allargamento possibile del numero e della tipologia dei negozi in convenzione con le ASL dove è consentito l’utilizzo del contributo pubblico, sia una adeguata razionalizzazione, semplificazione e dematerializzazione delle procedure di accreditamento.

G.R.



11 luglio 2023
© Riproduzione riservata
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