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La salute nelle carceri. Per il Cnb la situazione è allarmante. Ecco le raccomandazioni per il Ssn


Non basta la cura. Per il Consiglio nazionale di bioetica con il passaggio al Ssn (di cui si lamentano i ritardi) la sanità dovrà farsi carico anche di altri aspetti. Dal sovraffollamento, alla salute di genere. Dall'inadeguatezza delle condizioni igiencihe alle specificità dei tossicodipendenti. Il testo del parere: “Salute dentro le mura”.

15 OTT - Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha pubblicato il parere La salute dentro le mura”, approvato in seduta plenaria il 27 settembre 2013. Il documento è stato elaborato dalla Prof.ssa Grazia Zuffa, coordinatrice del gruppo di lavoro.
 
Il documento individua alcune aree di intervento come: l’istituzione di una cartella sanitaria nazionale informatizzata; lo sviluppo della telemedicina; la salute mentale (garantendo non solo personale sanitario specialistico adeguato, ma la riduzione dei fattori di stress ambientali); la prevenzione del suicidio e dell’autolesionismo; una maggiore attenzione alle donne detenute, sotto l’aspetto della differenza di genere; il completo adeguamento dei programmi in carcere agli standard dei servizi sul territorio per le persone  dipendenti da sostanze psicoattive; la prevenzione della trasmissione della infezione Hiv e il trattamento adeguato delle persone sieropositive; la parità di trattamento per i migranti; la chiusura dei Centri di Identificazione ed Espulsione, o quanto meno la loro riduzione a misura eccezionale, con prestazioni sanitarie erogate a cura del Ssn.
 
Nelle raccomandazioni, il Cnb, prendendo spunto dalla condanna dell’Italia a causa del sovraffollamento carcerario da parte della Corte Europea di Strasburgo del gennaio 2013, ribadisce il valore della prevenzione, affinché sia assicurato ai detenuti e alle detenute un ambiente rispettoso dei diritti e dei principi di umanità. Infine, invita a sorvegliare affinché un settore come il carcere, che abbisogna di molti sforzi per raggiungere standard accettabili di vivibilità, non abbia al contrario a soffrire per la contrazione delle risorse.
 
Per ciò che riguarda i detenuti e le detenute, il diritto alla salute acquista rilievo etico particolare, per molteplici ragioni: in primo luogo, perché la popolazione detenuta rappresenta un gruppo ad alta vulnerabilità bio-psico-sociale, il cui livello di salute, ancor prima dell’entrata in carcere, è mediamente inferiore a quello della popolazione generale. Inoltre, il principio della pari opportunità (fra detenuti e liberi) all’accesso al bene salute da un lato incontra ostacoli nelle esigenze di sicurezza, dall’altro entra in contraddizione con una pratica di detenzione che produce sofferenza e malattia. Ne consegue per tutte le autorità competenti, ad iniziare da quelle sanitarie, un dovere di sorveglianza e verifica dell’effettivo rispetto del diritto alla salute dei detenuti.
 
In linea con gli organismi internazionali e col dettato della riforma sanitaria in carcere del 2008, il diritto alla salute, anche e soprattutto in carcere, non si esaurisce nell’offerta di prestazioni sanitarie adeguate: particolare attenzione deve essere prestata alle componenti ambientali, assicurando alle persone ristrette condizioni di vita e regimi carcerari accettabili, che permettano una vita dignitosa e pienamente umana. Perciò, problemi quali il sovraffollamento, l’inadeguatezza delle condizioni igieniche, la carenza di attività e di opportunità di lavoro e di studio, la permanenza per la gran parte della giornata in cella, la difficoltà a mantenere relazioni affettive e contatti col mondo esterno, sono da considerarsi ostacoli determinanti all’esercizio del diritto alla salute: il Servizio Sanitario dovrebbe farsi carico di questi aspetti, al fine di combatterli in un’ottica preventiva.
 
Il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale ha rappresentato un passo importante verso l’obiettivo del raggiungimento della parità dei livelli di salute fra detenuti e liberi. Tuttavia, a distanza di cinque anni, diverse problematiche rimangono aperte, dalla carente programmazione sanitaria in base alle peculiarità della popolazione detenuta, ai differenti livelli di prestazioni sanitarie fra regione e regione che inficiano il diritto del detenuto alla continuità delle cure, quando sia trasferito da un carcere all’altro; alle carenze nel rapporto col medico di base o di reparto; all’inadeguata informazione al paziente e ai suoi parenti; al rispetto della privacy, non sempre assicurato. Ancora più grave, si registrano ritardi nelle visite specialistiche e negli interventi che devono essere eseguiti fuori dal carcere, fino a casi di persone con gravi patologie cui non viene riconosciuta, o viene riconosciuta troppo tardi, la incompatibilità con la detenzione.

15 ottobre 2013
© Riproduzione riservata

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