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Assofarm: “Grave sbaglio sospendere per i Comuni il diritto di prelazione”


13 FEB - “Il riconoscimento delle farmacie comunali viene innanzitutto dall’Europa che avvalla non solo il diritto di prelazione sull’esercizio della metà delle sedi farmaceutiche vacanti o di nuova istituzione, ma nel contempo distingue l’esercizio delle farmacie comunali da quello di ogni altro servizio pubblico locale”. Per questo Assofarm ritiene “un grave sbaglio sospendere per i Comuni il diritto di prelazione sulle farmacie di nuova istituzione alla luce dell’abbassamento del quorum attuale. Dovrebbero riflettere su questo punto quelle forze politiche che hanno trascurato questo diritto in occasione della presentazione degli emendamenti. Dal nostro punto di vista occorre un sistema di riforme ben più articolato di quanto è contenuto nel Decreto Cresci Italia, che sembra aver inteso la liberalizzazione come semplice equazione tra maggior numero di farmacie e minor prezzo dei farmaci”.

“Sul fatto che il settore farmaceutico abbia bisogno di riforme e liberalizzazioni, Assofarm non ha mai avuto dubbi”, afferma il presidente dell’associazione delle farmacie comunali, Venanzio Gizzi, secondo il quale “è fondamentale rivedere i meccanismi di accesso alla farmacia da parte dei giovani professionisti, snellendo i concorsi e garantendo l’effettiva apertura di farmacie”. Inoltre “è’ auspicabile legare il numero di farmacisti al fatturato per garantire prestazioni professionali di qualità. È ineludibile migliorare il sistema di remunerazione del farmacista al fine anche (ma non solo) di ridurre il prezzo di vendita dei farmaci e stimolare la qualità della prestazione sanitaria”. Ed ancora, secondo Gizzi, “è certamente possibile un aumento del numero delle farmacie, a patto che questo venga incontro alle esigenze particolari di alcuni territori, e che non venga mortificato lo specifico ruolo delle farmacie comunali”.
Su quest’ultimo punto “siamo stati molto chiari in occasione della nostra audizione in Senato: il sistema farmaceutico italiano – ribadisce Gizzi - è rappresentato in Italia dal sottoinsieme comunale del sistema farmacia pianificato sul territorio che si pone in parallelo al sottoinsieme privato che garantisce lo stesso servizio pubblico e sociale a tutela della salute (art. 32 della Costituzione) e, in questa suddivisione, sono già contenuti i principi di liberalizzazione dettati dalla teoria classica. A sostegno di questa tesi abbiamo sottolineato come nelle località dove sono presenti le farmacie comunali il servizio farmaceutico è migliore, proprio per la maggiore concorrenza che si determina tra farmacie pubbliche e private a tutto vantaggio dei cittadini”.
Il Decreto Cresci Italia, invece, secondo Gizzi, “sembra aver inteso la liberalizzazione come semplice equazione tra maggior numero di farmacie e minor prezzo dei farmaci. Assofarm non condivide questa posizione per diverse ragioni”. La prima riguarda i “rischi sanitari connessi alla liberalizzazione del settore farmaceutico, e trae spunto dall’esperienza dell’unica liberalizzazione che ha funzionato nel nostro Paese, quella della telefonia. Riforma, questa, che ha stimolato lo sviluppo di una pluralità di soggetti in una competizione di mercato più aperta e ha prodotto un reale abbassamento dei costi per l’utenza. Questo caso di successo ha però un risvolto abbastanza inquietante. Complice la straordinaria accelerazione del progresso tecnologico – osserva però Gizzi -, il mercato liberalizzato della telefonia ha prodotto un aumento vertiginoso dei bisogni indotti da parte della popolazione. Oggi pochi nostri concittadini hanno solo un contratto per la rete fissa, o solo un telefono cellulare con carta prepagata. Ma altrettanti pochi italiani hanno realmente bisogno di connessione mobile ad internet, tablet, smartphone, eccetera”.

Secondo il presidente di Assofarm, “de questo accadesse anche a seguito della liberalizzazione delle farmacie, se cioè la disponibilità di più punti vendita dei farmaci portasse ad un loro maggiore consumo, ad un loro bisogno indotto dalla competizione del mercato, ci troveremmo davanti ad un vero e proprio disastro sanitario”.

Questa riflessione, secondo Gizzi, ne fa seguire un’altra. “L’aumento delle farmacie sul territorio italiano non risponde ad una necessità di maggiore accesso al farmaco. Un problema che, per quanto non drammatico, esiste realmente ma solo in alcune aree rurali del paese (e per il quale Assofarm da tempo avanza proposte). Né peraltro può essere l’aumento dei consumi la leva sui cui fa forza questo intento liberalizzatore”.
Infine, secondo Gizzi “ogni osservatore con un minimo di conoscenza del nostro settore conviene sul fatto che il prezzo di vendita dei farmaci non potrà subire grandi abbassamenti, pena il fallimento delle farmacie stesse. Rimane quindi come ultima triste ragione possibile, quella di un movente per così dire ideologico: colpire una categoria considerata, con molte ragioni ma anche con qualche torto, fino ad oggi assai privilegiata, senza prima studiarne la reale situazione e senza distinguere il bene dal male che essa contiene. Invece che attentare la sopravvivenza stessa di tutta la farmacia italiana, non sarebbe più opportuno sviluppare efficienze di sistema che salvino ciò che di buono ha il servizio farmaceutico, cancellando invece quei singoli meccanismi generatori di iniquità e dannosi per le tasche della cittadinanza? Alcune nostre proposte ormai ‘vlassiche’ come la diversa remunerazione del farmacista e la possibilità di proprietà della farmacia anche a soggetti non farmacisti, sono la migliore risposta a questa domanda”.

“Speriamo – conclude Gizzi - che a più farmacie nel nostro Paese corrisponda anche una più diffusa conoscenza del nostro settore, in particolare quello della farmacia pubblica, caratterizzato da innovazione del servizio all’utente, oculata gestione e generazione di risorse pubbliche, creazione di posti di lavoro. Aspetti, questi, che sembrano sfuggire agli esperti dei think tank ascoltati da Ministri tecnici e politici, troppo presi dalla pedissequa applicazione delle loro teorie macro-econimiche per comprendere la specificità del sistema-farmacia, sempre a metà tra mercato e servizio sanitario pubblico. Se in passato l’elemento di servizio pubblico ha generato privilegi e inefficienze, oggi rischiamo che un’eccessiva passione per il mercato travolga quanto di buono la farmacia fa a favore della salute dei cittadini”.
 
 

13 febbraio 2012
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