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Catania: "Tecnologie sono chiave per superare frammentazione della sanità pubblica"

di Fonda, Bettanini

24 LUG - Intervista a Elio Catania, presidente Confindustria digitale
 
Il patto porta l'Italia verso una direzione secondo lei giusta? E quanto potrà essere volano per l'economia del suo comparto?
Il Patto per la Sanità Digitale non solo va nella direzione giusta, ma rappresenta un passaggio strategico fondamentale per la creazione di un sistema sanitario nazionale integrato e interoperabile mirato, da un lato, a produrre servizi efficienti al cittadino e dall’altro ad assicurare standard di economicità. In questo modo sarà possibile cogliere le opportunità di ritorno economico e di qualità, significative e a breve termine, che gli investimenti in ICT portano al settore della sanità e dei servizi pubblici in generale. Com’è noto, il problema della Sanità italiana non è certo quello di spendere troppo – sulla spesa pro-capite siamo ben al di sotto della media Ocse - ma di spendere male. In particolare, per digitalizzare la sua Sanità, nel 2012 l’Italia ha speso circa 21 euro per abitante, cifra che è circa la metà di quanto speso dalla Francia e dalla Gran Bretagna e meno di un terzo di quanto sborsano i paesi scandinavi. Nel 2013 la spesa italiana nella Sanità digitale è addirittura diminuita del 4,6%. La principale criticità della nostra Sanità pubblica sta nella grande frammentazione del sistema gestionale, da cui derivano sprechi, squilibri territoriali, mancanza di controllo sulla spesa e soprattutto l’incapacità di realizzare progetti che abbiamo una massa critica tale da ottenere cambiamenti sostanziali e benefici tangibili. Il Patto si pone proprio l’obiettivo di giungere alla completa digitalizzazione del sistema sanitario, attraverso lo sviluppo di un modello integrato di governance dell’innovazione tecnologica e di processo, con la novità di aprire al partenariato con i privati fin dalle prime fasi di implementazione. La previsione di investimento è di circa 4 miliardi nell’arco di tre anni, il che significherà aumentare almeno del 50% la spesa ICT complessiva della Sanità. Ma soprattutto, la nuova logica va nella direzione giusta perché sposterà il focus dalla spesa corrente - che attualmente vale il 75% della spesa delle strutture sanitarie in ICT - alla spesa per investimenti – che passerà dal 25% al 66% e quindi verso la realizzazione di progetti innovativi.
 
Nel patto è specificato: “Non è l’innovazione tecnologica di per sé stessa a generare efficienza ed economia di gestione, ed è concettualmente sbagliato (e pericoloso, in termini di sovradimensionamento delle aspettative) lanciare slogan in questo senso: le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (ICT), rappresentano solo uno strumento – il principale – attraverso il quale può essere profondamente ridisegnato un modello organizzativo di Sanità pubblica”. Insomma la tecnologia che ruolo può davvero avere in Sanita?
Il ruolo dell’ICT in Sanità è enorme e passa dal monitoraggio/controllo della spesa, alla spending review, all’efficienza delle strutture assistenziali, alla creazione di servizi evoluti e facilmente accessibili ai cittadini fino ai servizi di telemedicina/telemonitoraggio. Si pensi che solo sul fronte dei risparmi, secondo l’eHealth Action Plan (2012-20) predisposto dalla Commissione Europea, le economie complessive conseguibili in Italia con investimenti in tecnologie ammonterebbero all’11,7% della spesa sanitaria nazionale (111 mld di euro nel 2012) e la sola introduzione delle prescrizioni mediche in formato elettronico consentirebbe un risparmio di circa 2 mld di euro al Ssn. Le tecnologie digitali costituiscono lo strumento fondamentale di innovazione della Sanità , ma a patto di considerare che “digitalizzare” oggi significa confrontarsi con la dimensione innovativa delle tecnologie di rete – web, cloud, mobile, internet delle cose, ecc. La digitalizzazione della Sanità richiede, dunque, un’operazione di reingegnerizzazione dei processi, delle procedure e degli assetti organizzativi, in una logica di piena integrazione dei linguaggi tecnologici, delle esperienze, dei dati e degli standard. Ed è esattamente questa la strada che intende intraprendere il Patto della Sanità digitale.
 
Lo stato sta avviando un percorso di innovazione, le aziende italiane saranno all'altezza di questa sfida? E quale è lo stato di salute del vostro settore?
Le aziende sono pronte. Il settore ICT italiano non solo possiede competenze e skills in grado di affrontare le problematiche proprie della Sanità sia a livello locale che centrale, ma grazie alla radicata presenza delle imprese multinazionali è anche in grado di trasferire al nostro paese le best practices di Sanità digitale che si verificano a livello internazionale. Come tutta l’economia italiana anche il settore ICT ha subito i contraccolpi della crisi, registrando in questi anni un pesante calo del fatturato. Tuttavia, all’interno dell’ICT italiano si registrano trend in netta crescita, del tutto allineati con i trend internazionali, riferiti alle componenti più innovative del mercato legate ad un uso diffuso e avanzato del web, cloud, servizi mobili, pagamenti elettronici, e-commerce, sicurezza, Internet delle cose, soluzioni di integrazione estesa in rete, piattaforme di gestione avanzate. Le tecnologie, cioè, che rappresentano oggi la chiave per superare la frammentazione della Sanità pubblica, consentendo di raggiungere alti livelli di efficienza e realizzare funzionalità avanzate a tutti i livelli centrali e locali.
 
I modelli di Project financing sono una strada secondo lei percorribile come auspicato dal patto?
Nell’attuale contesto di finanza pubblica, è evidente che lo Stato non può affrontare da solo questo grande cambiamento. Così come l’industria, per crescere e competere, ha bisogno di una PA efficiente e semplificata, che non freni ma sia un traino per le imprese.
Per cambiare e digitalizzare il Paese è indispensabile che pubblico e privato collaborino e convergano verso gli stessi obbiettivi strategici. La partnership pubblico-privata è quindi un fattore fondamentale per ampliare la gamma delle fonti di risorse finanziarie, ma anche per apportare know-how e competenze specializzate. Gli investimenti necessari si possono ricavare coprendoli con i risparmi ottenibili, costruendo un business plan pluriennale in una logica di PPP (partenariato pubblico-privato) e considerando tutte le sue possibili varianti in termini operativi: dal “project financing” a forme di “performance contracting”, dove il privato affronta l’investimento venendo poi remunerato per un certo numero di anni sulla base dei risparmi ottenuti.

Raffaella Fonda e Carlotta Bettanini 

24 luglio 2014
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