Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Giovedì 02 MAGGIO 2024
Lavoro e Professioni
segui quotidianosanita.it

Dopo la sentenza della Consulta sulle Rems restano troppi vuoti ancora da riempire

di S. Ferracuti; G. Nicolò

La Sentenza della Corte Costituzionale pone un punto fermo su una situazione estremamente complessa relativa ad una popolazione di pazienti psichiatrici particolarmente gravi. Tuttavia evidenzia anche diverse criticità, a partire dal tema dei trattamenti senza consenso per questa popolazione: la sentenza ammette la possibilità di trattare coattivamente le persone internate, ma non offre indicazioni puntuali sugli strumenti normativi per esercitarla

01 FEB - La recente Sentenza della Consulta n.22 del 27 gennaio 22 relativa alla complessa problematica delle REMS ha evidenziato numerose criticità derivanti dalla stratificazione disordinata delle norme seguite al Dpcm del 1.4.2008 e alla successiva chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, invitando il legislatore a precedere ad una legge quadro che consenta una gestione razionale dei soggetti destinatari di una misura di internamento. A prescindere dalle innumerevoli insufficienze e contraddizioni che la sentenza esamina analiticamente, riteniamo che alcuni passaggi della sentenza siano meritevoli di una riflessione immediata.
 
La normativa di istituzione delle REMS era stata ritenuta inefficiente e inadeguata da operatori, professionisti esperti e magistrati, per via di una impostazione fortemente ideologica, con bilanciata dal confronto con la comunità scientifica e le esperienze europee. Siamo stati testimoni degli sforzi fatti dalla Regione Lazio per ottenere in quel periodo storico un congruo numero di posti letto. La proposta iniziale era stata di 20 posti, per poi arrivare a 60, e oggi 100 posti sono ancora insufficienti, come fotografato dalla Consulta.
 
La sentenza evidenzia alcune criticità:
1) i posti letto nelle REMS sono insufficienti ed è necessario investire su queste strutture
2) le REMS non sono strutture solo sanitarie
3) Il DAP (dipartimento della amministrazione penitenziaria) è direttamente coinvolto nella gestione delle REMS
4) I pazienti possono/devono essere trattati anche contro la loro volontà
 
È evidente che i posti letto in REMS sono insufficienti, ma questo dato era assolutamente palese già all'inizio del percorso valutando i dati epidemiologici degli internati negli OPG. Il problema è risolvibile solo con l'aumento dei posti letto in REMS, ma richiede l’effettiva attivazione delle articolazioni sanitarie negli istituti di pena. Va anche posto il problema della formazione in psichiatria forense, migliorando la appropriatezza delle valutazioni peritali, nel tentativo di impostare dei criteri valutativi condivisi e attinenti ad una precisa prativa psichiatrico forense.
 
Un altro punto rilevante è la necessità urgente di rivedere le dotazioni di personale delle REMS, colpevolmente sottodimensionate, e soprattutto la necessità di riconoscere stipendi maggiorati a chi vi lavora. È estremamente difficile reperire personale per le REMS dal momento che lo stress ambientale e il rischio di aggressioni è decisamente elevato.
È bene considerare che in Italia la spesa più rilevante per le REMS è per la vigilanza affidata a ditte private che non hanno certo le stesse prerogative della polizia penitenziaria. Questa osservazione risponde al punto 2, ovvero, come ha rilevato la Corte costituzionale, le REMS non sono strutture solo sanitarie, ma anche deputate a misure di protezione sociale. Quindi la gestione dei temi relativi a problematiche giudiziarie e la gestione della pericolosità non può ricadere sui sanitari. Tecnicamente, in questo momento, se un utente internato si allontana da una REMS nessuno dei presenti ha giuridicamente il diritto di fermarlo coercitivamente, né le guardie giurate né tantomeno i sanitari.
 
Il punto 4 suscita interrogativi in chiunque abbia consuetudine con le problematiche delle misure di sicurezza detentive dal momento che afferma: “L’assegnazione in parola consiste, anzitutto, in una misura limitativa della libertà personale – il che è evidenziato già dalla circostanza che al soggetto interessato può essere legittimamente impedito di allontanarsi dalla REMS. Durante la sua esecuzione possono essere praticati al paziente trattamenti sanitari coattivi, ossia attuabili nonostante l’eventuale volontà contraria del paziente. Essa si distingue, peraltro, dal trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale disciplinato dagli articoli da 33 a 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833” perché l’internamento è disposto dal magistrato, presuppone una infermità mentale, l’aver commesso un fatto reato e una valutazione di rischio di recidiva ed è supervisionata da un giudice di Sorveglianza.
 
Tenendo conto dell’autorevolezza della fonte riteniamo che non vi sia ragione di dubitare della affermazione, tuttavia, abbiamo difficoltà a comprendere quale sia il fondamento normativo che possa rendere possibile esercitare trattamenti, farmacologici, psicoterapeutici o di altra natura, agli internati, in assenza di loro consenso. Prima dell’entrata in vigore della L.180/78 l’internamento in manicomio (civile o penale) comportava, ai sensi dell’abrogato art. 420 del cc, la nomina di un tutore provvisorio e, nel caso non vi fosse richiesta da nessuna parte, l’istanza di interdizione del soggetto internato da parte del pubblico ministero. Non è perciò, allo stato alcun automatismo che limiti civilmente la capacità di agire, e specialmente la capacità di esprimere consenso informato al trattamento, della persona a cui è applicata una misura di sicurezza derivante da un giudizio di infermità di mente, totale o parziale, per aver commesso un reato. Ne deriva che è perciò impossibile considerare un internato, solo perché destinatario di una misura di sicurezza detentiva, come una persona su cui si possano attuare trattamenti in assenza del suo consenso.
 
È certamente vero che molti internati, proprio per la cronica gravità delle condizioni psicopatologiche, sono incapaci di fornire un consenso informato ai trattamenti ed è parimenti vero che molti internati sono beneficiari di provvedimenti di amministratore di sostegno dotato dei poteri di esprimere consenso informato nell’interesse del paziente. Tuttavia - e questo è solo uno degli innumerevoli problemi di questa speciale popolazione di pazienti - che molti internati in REMS, pur avendo un amministratore di sostegno con facoltà di esprimere consenso informato al trattamento, o addirittura essendo interdetti, rifiutano lo stesso le cure. In questi casi non è pratica di nessun servizio psichiatrico a noi noto intervenire coercitivamente, a meno che non sussistano le condizioni per il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Come è noto il TSO, peraltro accuratamente distinto nella sentenza in oggetto, è praticabile solo in condizioni di acuzie clinica, ed ha come unica finalità l’esigenza di cura nell’interesse della persona. Si è perciò privi di strumenti giuridici per trattare persone affette da gravi condizioni di malattia mentale, croniche, spesso senza consapevolezza di malattia, che necessitano di trattamenti di media-lunga durata, come è frequentemente il caso degli internati. La sottopopolazione psichiatrica che è internata nelle REMS è composta da un elevato numero di pazienti psichiatrici gravi, molti farmaco resistenti, che necessitano esattamente di periodi di cura intensiva protratti.
 
Se la finalità della cura in REMS è la riduzione della pericolosità sociale, intesa come rischio di recidiva derivante alla malattia mentale (grave) allora vi è necessità di disporre di procedure per il trattamento obbligatorio di media lunga durata, tali da consentire di tutelare adeguatamente questi pazienti. Vi sono soggetti che sono ospiti delle REMS senza assumere terapia perché la rifiutano, o che accettano solo parte dei trattamenti, ma non sono in acuzie clinica e non è praticabile un TSO e sono pazienti clinicamente gravi se non severi. Il rifiuto è spesso dettato dalla mancanza di consapevolezza di malattia. È, tuttavia, possibile che la persona effettui il periodo di internamento (che tranne per i reati sanzionati con l’ergastolo non può superare il massimo della pena edittale) senza compiere un percorso di cura adeguato per via del suo rifiuto. In questi casi, a nostro parere, la misura di sicurezza detentiva è del tutto priva di scopo, riducendosi a mera misura di controllo sociale, senza finalità terapeutica alcuna. Per queste persone il ricovero in REMS senza trattamento sarebbe inutile.
 
La Suprema Corte afferma che in misura di sicurezza detentiva possono essere attuati trattamenti coattivi degli internati, tuttavia questo, attualmente non avviene, per quanto a nostra conoscenza, anche perché non si dispone di alcuna procedura alterativa al TSO, né si comprende come si possa attuare una simile modalità di intervento in assenza di regole chiare, precise, attente e fortemente protese alla tutela del paziente. Per nostra esperienza è proprio la mancanza di percorsi chiari, tanto più necessari per pazienti così gravi e problematici, che potrebbe consentire mancanze ed errori professionali se non veri e propri abusi. Va affrontata, nella auspicata normativa complessiva di questa delicata materia, anche la modalità di trattamento cronico di persone incapaci di fornire consenso informato al trattamento e che necessitano di terapia sia per le loro condizioni cliniche, sia perché proprio la loro cura è la garanzia migliore della riduzione del rischio di recidiva, ovvero della possibilità che si possano avere di nuovo altre vittime di reati compiuti da persone gravemente malate di mente. Solo in questa prospettiva la misura di sicurezza andrebbe effettivamente a divenire una forma di cura che, seppur imposta proprio in relazione alle fattispecie criminali attuate, consentirebbe un percorso evolutivo proteso a tutelare sia la persona sia la società.
 
La Suprema Corte ha perciò messo le basi per una nuova auspicabile normativa rispettosa delle norme giuridiche e dei ruoli specifici. Ha riconosciuto il valore del grande lavoro fatto con l'impegno di tutti gli attori, nonché la necessità di garantire un'alta intensità di cure a chi è affetto da gravi disturbi psichiatrici all’interno di una prospettiva realistica e non determinata da concezioni utopiche che deve necessariamente trovare una mediazione tra cura e limitazione della libertà personale, proprio nella prospettiva che la cura consenta un futuro incremento di libertà personale per persone che hanno compiuto reati in una condizione mentale che la legge ritiene causa di non punibilità.
 
Stefano Ferracuti
Professore Ordinario di Psicopatologia Forense, Sapienza Università di Roma
 
Giuseppe Nicolò
Direttore Dipartimento Salute Mentale e delle Dipendenze Asl RM5

01 febbraio 2022
© Riproduzione riservata

Altri articoli in Lavoro e Professioni

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy