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Sclerosi multipla: l’approccio di Agenas pecca di trasparenza e di prove convincenti

di Maria Grazia Celani

22 FEB - Gentile Direttore,
l’8 febbraio 2022 l'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali ha pubblicato un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) specificamente dedicato alle persone affette da Sclerosi Multipla (SM). Il documento, promosso da AGENAS e redatto grazie alla collaborazione di un gruppo di esperti di alta qualificazione, nasce dal concreto obiettivo di “porre la persona con SM al centro delle attività assistenziali, delineando un percorso che preveda, grazie a un preciso assetto organizzativo, l’accesso alle migliori competenze possibili e ai più avanzati servizi in campo diagnostico, terapeutico e riabilitativo”.
 
Il PDTA pubblicato ha lo scopo di “promuovere la progettazione e soprattutto l’implementazione” omogenea di analoghi documenti regionali - al momento ne risultano 14 - offrendo indicazioni e suggerimenti per rendere i servizi per la Sclerosi Multipla “contemporaneamente più equi, relativamente alle condizioni di accesso e di qualità sotto il profilo dell’appropriatezza clinica e organizzativa.”
 
Gli intenti sono ottimi: l’equità, il diritto alla diagnosi, alla cura e al reinserimento e supporto sociale rappresentano diritti fondamentali di ciascuna persona ammalata e soprattutto di chi, spesso giovane, è colpito da una malattia dominata dall’incertezza e spesso dalla incessante progressione verso una dipendenza da altri. Anche chi si occupa di questa patologia cronica, spesso progressiva, disabilitante, frustrante ha bisogno di un supporto logistico e relazionale, anche con i colleghi di altre discipline, per riuscire a fare una buona presa in carico della persona colpita.
 
I rilievi critici:
• I ricercatori ed i clinici delle singole regioni si interrogavano da tempo sulla necessità di confrontare il proprio PDTA regionale con quello prodotto dalle altre regioni, proprio per la consapevolezza che la costruzione di questi percorsi di cura rappresentano necessariamente l’applicazione delle migliori evidenze alle logiche locali organizzative.
 
E un invito da parte di Agenas a ciascun rappresentante dei singoli gruppi multidisciplinari che hanno lavorato nei PDTA regionali sarebbe stato ben accolto per arricchire il confronto e riflettere sulle differenti strategie, creandone una possibilmente comune. Il panel che ha redatto questo PDTA nazionale invece è costituito, oltre che da rappresentanti di Agenas, da neurologi esperti di SM, prevalentemente accademici e da un solo rappresentante apicale delle associazioni dei malati, senza decisori, senza i sanitari delle altre discipline (fisiatri, palliativisti, farmacisti ecc.) e senza la figura del metodologo clinico che indicasse la forza delle raccomandazioni poste ed i livelli di evidenza (es. esperti GRADE, membri del gruppo internazionale Cochrane Sclerosi Multipla e/o Cochrane Neurosciences, Cochrane Affiliate Centres).
 
Non vi è rispetto del lavoro dei colleghi nelle 14 regioni dove ciascun PDTA era stato costruito e verosimilmente implementato prima di essere distrutto dalle logiche devastanti della pandemia. Gli autori addirittura affermano che “la comparazione tra i PDTA appare complessa per via dei differenti approcci metodologici adottati”. Quale migliore occasione ci sarebbe per omogeneizzare i differenti approcci attraverso un confronto rigoroso tra operatori? Ed ancora, perché si dovrebbe costituire una commissione regionale SM (CrSM) focalizzata sull’aderenza rispetto a quanto scritto a livello nazionale? Nel documento inoltre non è citata la modalità di composizione del panel, non vi è alcuna dichiarazione dei conflitti di interesse dei partecipanti.
 
• La metodologia clinica, a trent’anni dall’introduzione dell’EBM in Italia, grazie ad Alessandro Liberati e tanti altri sostenitori è stata sostituita nel documento dalla seguente frase che ricorre più volte “buona pratica clinica= medicina basata sull’evidenza+ esperienza su grandi numeri”. È doveroso ricordare che già la Medicina Basata sulle Prove si basa sulle migliori prove di efficacia fornite dalla letteratura scientifica coniugate con l’esperienza dei clinici e le preferenze dei pazienti. Il processo adottato sembra piuttosto evitare deliberatamente l’uso di una metodologia trasparente, di cui l’Agenas dovrebbe farsi invece promotrice, promuovendo un decalogo basato sulle decisioni di un consesso di esperti senza un puntuale riferimento alle prove disponibili, alla loro qualità e trasferibilità. Sembra, purtroppo, di ripercorrere le righe satiriche scritte nel 2004 da Andy Oxman, Iain Chalmers e Alessandro Liberati sul numero natalizio del BMJ, dove si stigmatizzava il ruolo degli esperti in una sorta di “opinion based medicine”
 
• Il documento sarebbe sicuramente stato più ricco se avesse tenuto conto della molteplicità dei documenti regionali, anche nella selezione degli indicatori. Ci sarebbe molto da dire infatti sulla scelta degli indicatori di processo se si tengono in mente le evidenze scientifiche, la pratica clinica e le preferenze dei pazienti.
 
In particolare, il tempo di inizio terapia entro 90 giorni sembra essere un indicatore del tutto inadeguato in quanto il limite temporale scelto è arbitrario. Non sempre è necessario/possibile iniziare entro il periodo di tempo scelto, e non è questo quello che spesso vogliono i pazienti che hanno bisogno di tempo per riflettere. Oltretutto un indicatore di quel tipo è in palese contraddizione con l’obiettivo (come recita il documento) di un percorso personalizzato – la scelta del farmaco più efficace sulla base delle caratteristiche della malattia e del paziente": indicando una soglia di 90 giorni per tutti i pazienti, il riferimento alla medicina personalizzata rischia di essere uno slogan del tutto privo di contenuti.
 
Altri indicatori il cui razionale è contestabile sono il numero delle risonanze magnetiche all’anno indipendentemente dal periodo di malattia (es. l’utilità in una SM secondariamente progressiva in fase di stabilità), la presa in carico equiparata con il sottoporsi ad un esame strumentale (e qui torniamo su quanto il documento critica, l’utilizzo di outcome surrogati), gli eventi avversi che non considerano eventi severi quali cancro, morte, linfocitopenia.
 
• Date le premesse ci si aspettava una conseguente volontà di esporsi con le agenzie regolatorie auspicando la necessità di migliorare il più possibile la qualità degli studi. E invece risuona quantomeno inopportuna la sollecitazione di superare, all’interno di un documento nazionale, quelle che sono definite “limitazioni prescrittive dettate dalla nota 65” dove queste limitazioni sono esplicitamente supportate da un’analisi critica delle prove disponibili, con un esercizio di trasparenza che invece manca clamorosamente in questo documento (per altro privo di riflessione sulla sostenibilità).

In conclusione è necessario riconoscere nel documento AGENAS la apparente buona intenzione di superare le usuali misure di efficacia e sicurezza utilizzate nei trial registrativi, valutate a breve termine e con indicatori surrogati (RM, recidive e variazione della scala variamente misurata), pertanto incapaci di catturare l’efficacia a lungo termine, gli eventi avversi e la qualità della vita delle persone affette.
 
La teoria utilizzata dagli esperti che hanno redatto il documento è fondata su dati che, dietro l’intrigante definizione di “real life”, derivano comunque da registri di casistiche ambulatoriali valutate retrospettivamente. Si tratta di dati utili perché integrano quelli degli studi randomizzati grazie a follow-up più lunghi e a una maggiore rappresentatività per quanto riguarda le casistiche e gli approcci terapeutici, ma certamente non possono definire quale sia la strategia terapeutica ottimale, considerando gli importanti bias di selezione di cui soffrono gli studi di tipo osservazionale.
 
La scelta della strategia induction vs escalation rappresenta a tutt’oggi solo un punto di vista personale da validare in studi randomizzati e controllati anche in base alla letteratura citata dagli autori di studi in corso che utilizzano obiettivi primari purtroppo ancora discutibili quali ad esempio l’atrofia cerebrale.
 
Un accento posto maggiormente sulle incertezze anziché sulle certezze nella gestione delle persone affette da questa malattia favorirebbe la nascita di studi clinici indipendenti (finanziati a livello ministeriale) con il coinvolgimento anche dei pazienti nella stesura dei protocolli e nella scelta delle misure di esito. Questi studi avrebbero come ricaduta anche una maggiore omogeneizzazione dei comportamenti dei sanitari coinvolti e la crescita di interesse di operatori e decisori nella costruzione di percorsi di malattia.
 
Maria Grazia Celani
Presidente dell'Associazione Alessandro Liberati, neurologa clinica e membro del gruppo che ha redatto il PDTA SM Umbro

22 febbraio 2022
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