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Se ad ogni ondata Covid ci troviamo con le stesse difficoltà

di Dario Manfellotto

14 LUG -

Gentile direttore,
non posso che concordare con quanto affermato nella sua intervista a Quotidiano Sanità dall’amico prof. Sergio Harari, illustre internista e pneumologo, quando dice di “provare ad immaginare di creare delle ‘bolle’ all’interno dei reparti 'puliti' per fornire assistenza a tutti quei pazienti positivi. In questo modo potremmo, ad esempio, accogliere all’interno della ‘bolla’ di ortopedia un paziente positivo che si è rotto una gamba. E così via per gli altri reparti”.

Da quando è iniziata la pandemia, noi medici internisti - che ricordo hanno assistito e assistono nei loro reparti il 70% dei pazienti Covid ricoverati -   evidenziamo come sia fondamentale oggi e per il futuro creare degli ospedali che si possano modificare a fisarmonica a seconda delle necessità, con trasformazione della Unità operativa da spazio fisico a unità funzionale, e abbiamo lanciato la proposta delle “bolle” di isolamento.  Su questo tema la Federazione dei Medici Internisti (FADOI) ha elaborato vari progetti in molte sedi istituzionali.

In queste settimane, a causa della variante Omicron, stiamo assistendo ad una nuova impennata di contagi e purtroppo i nostri ospedali stanno tornando a riempirsi. Le difficoltà sono enormi, perché i posti nei reparti Covid non sempre sono disponibili, e perché è una grande responsabilità continuare ad assistere il paziente positivo nei reparti comuni, col rischio di esporre al contagio gli altri pazienti, per quante precauzioni vengano prese.

Ecco perché la proposta delle “bolle” in cui assistere un paziente Covid positivo (che magari è stato individuato all’accesso in ospedale o durante il ricovero, pur essendo ricoverato per un altro problema) può essere una di quelle soluzioni “duttili” e pratiche che possono contribuire a garantire migliori cure ed evitare la diffusione del virus nei reparti.

Una soluzione potrebbe essere, ad esempio, la costruzione di “bolle” di area (medica, chirurgica e ostetrico-neonatologica) alle quali afferiscano pazienti delle specialità affini. La “duttilità” del sistema dovrebbe però permettere, in caso di emergenza e di esplosione dei ricoveri, di tornare immediatamente ai reparti dedicati. 

Certo, in Italia paghiamo a caro prezzo la vetustà delle nostre strutture ospedaliere e la lentezza nell’impiegare le risorse (vi sono ancora 10 mld non spesi per l’edilizia sanitaria come ci ha evidenziato la Corte dei conti qualche settimana fa) che non agevolano questa auspicata flessibilità strutturale.

Però, come più volte abbiamo denunciato, esistono soltanto delle disposizioni operative interne agli ospedali, e mancano protocolli ufficiali, condivisi, dedicati proprio a questo tipo di malati che non trovano posto nei reparti Covid, che in molte strutture sono stati chiusi prima di questa nuova, imprevista ondata.  Vi sarebbe bisogno invece   di raccomandazioni operative nazionali per indicare come selezionare i pazienti e come isolarli dagli altri, come organizzare le “bolle” e con quali modalità e dotazioni. 

E poi è ormai sotto gli occhi di tutti che la carenza di personale rende tutta la situazione ancora più complicata. Purtroppo però queste lezioni che il Covid ci sta consegnando ancora fatichiamo a metterle in pratica, con la facile profezia che alla prossima ondata rischieremo di trovarci a commentare le stesse difficoltà, come in parte sta accadendo in questo momento.

Dario Manfellotto

Presidente nazionale FADOI



14 luglio 2022
© Riproduzione riservata

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