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L’autarchia delle competenze e dei ruoli in sanità

di Calogero Spada

15 LUG -

Gentile Direttore,
interessante la lettera di Pietro Cavalli relativa a quell’associazionismo che ho avuto il piacere e l’onore di codificare come “dominanza medico-forense”. Dominanza un pò frustrata ed in crisi, a quanto si possa leggere ed intelligere.

A margine degli elementi della consegnata analisi forense, corre obbligo ricordare che anche precedentemente alla richiamata legge n. 3 del 2018, i requisiti affinché si potesse configurare l’ipotesi di reato di “esercizio abusivo di professione” (ex art. 348 c. p.) erano:

  1. Assenza del titolo di studio abilitante ad uno specifico “esercizio professionale” (il che comprende anche la fattispecie del diplomato o laureato e/o abilitato in altro paese, ma con titolo non riconosciuto dallo Stato Italiano);
  2. Mancata iscrizione all’Albo/Ordine, o sua irregolarità per sospensione o radiazione dallo stesso;
  3. Altre particolari disposizioni di legge per specifica attività, che stabiliscano “aggiuntivi” requisiti oggettivi e soggettivi per l’esercizio di determinate professioni.

Ossia i medesimi di ora.

Ciò che ha reso in questo paese l’esercizio abusivo (comprese le supposte “sovrapposizioni” di differenti competenze professionali sanitarie) un vero spauracchio – o una strada senza ritorno – non è stato tanto il fatto che la sanzione prevista dal previgente ordinamento alla citata novella l. 3/2018 fosse qualcosa di così aleatorio (ovvero risibile) da poter anche essere considerata, ammesso si arrivasse al terzo grado di giudizio, alla stregua di una tassa annuale (multa da 103 € a 516 €) alternativa alla reclusione fino a sei mesi, ma sono state le ahimè mai mutate estreme abitudini da “laissez-faire” tipiche Italiche, visto che il reato in questione – ormai dotato di un impianto sanzionatorio davvero più efficace – non è nemmeno soltanto perseguibile a querela ma lo è soprattutto d’ufficio (i.e. : chiunque può denunciare questo illecito, anche colui che – senza peccato – non ha avuto direttamente a che fare con l’autore del delitto), visto anche che la perseguibilità è integrata anche da atti “tipici” pur se svolti anche gratuitamente; pur tuttavia è un reato che potrebbe essere del tutto depenalizzato vista la sua alta frequenza di commissione (parafrasando Cavalli) nell’indifferenza di tutti (Cavalli compreso).

Tanto a premessa, risulta evidente che la spinosa questione della c.d. “task shifting” non è conseguente ad uno o più difetti normativi (indipendentemente anche dalla sanzione, il reato de quo non è perseguito oggi al pari di ieri), ma da un mero difetto culturale tutto italico: la assenza di denunce.

E visto che possiamo scialare nei difetti culturali, se ne richiama immediatamente uno in particolare, spesso oggetto delle proposte epistolari di questa rubrica perché tipico dei laureati in Medicina e Chirurgia: quello dell’ansia da perdita di titolarità.

L’esempio spesso proposto – tanto singolare quanto significativo – è quello che con grave danno ha investito i professionisti radiographer, che da un giorno all’altro, all’alba del 7 luglio 2000, si sono visti defraudati non soltanto della falsamente “nuova” competenza di conferma del trattamento richiesto dal medico prescrivente (detta “giustificazione” – caso che ormai resta tanto unico quanto beffardo nel panorama delle professioni non mediche per alcuni patriarchi delle stesse), ma addirittura della esecuzione in proprio delle attività tipizzanti la professione (detta “ottimizzazione”), in favore della figura professionale del medico radiologo, che se magari si era sempre semplicemente disinteressato della prima (per motivi che qui non discutiamo), certamente non sa (oggi come allora) cosa fare davanti al tavolo di comando di una tac, di un mammografo o di qualsivoglia apparecchio di diagnostica per immagini. Con la semantica si è proceduto con successo all’inganno sociale per commettere un vero delitto: il furto delle competenze.

La cosa più curiosa è che malgrado gli evidenti plurimi imbarazzi (auto denominati “lettura delle figurine”) i medici radiologi non hanno mai confessato il loro “peccato” e hanno perseverato – con le successive modificazioni ed integrazioni della norma – mi sembra proprio si dica così – nell’affermare che dette competenze sono “delegabili” , peraltro pure informalmente e tacitamente, ad (un indeterminato) interim.

Ecco qual è “in nuce” la frustrazione della classe medica: non accetta che la evoluzione del sapere in generale e la stratificazione delle conoscenze facciano sì che una competenza “dedicata” (che pure non ne intacchi la tipicità del ruolo) sia oggetto di un esercizio “concorrente” a quello del medico, anche se quelle competenze erano detenute dal medico senza la pratica dell’esercizio che renda “esperta” la figura professionale che in presenza di titolo abilitante le pratichi. Per molti come Cavalli (non per tutti per fortuna) il sapere deve essere gestito come se il divorzio tra conoscenze partito con l’età ellenistica non fosse mai avvenuto: secondo costoro ci deve essere sempre un “saggio” che dica all’eterno intontito di turno cosa fare … e quale bottone schiacciare.

Non a torto quindi si può parlare di “dominanza medico forense”; perché è ormai un copione collaudato quello di associazioni sindacali rappresentative che si lagnino con i giudici di sistemi organizzativi – pure prudentemente definiti “sperimentali” – che sulla base di modelli e protocolli predefiniti e condivisi propongano di gestire in legittima autonomia professionale, sub lege 42/99, non le competenze mediche … ma le proprie! Tutto questo pure senza scomodare versetti biblici né tanto meno veri pool normativi la cui punta d’iceberg risponde al titolo di comma 566 della legge 190/2014.

Tornando al punto di partenza … Da una parte, quando addirittura non lo si favorisca … ci si sottrae all’obbligo (per i pubblici ufficiali, medici in primis) di denunciare a gratis qualsivoglia esercizio abusivo – non importa quanto sfacciato esso sia; dall’altra ci si impegna anche economicamente (rivolgersi al Consiglio di Stato può arrivare a costare migliaia di euro) contro la legittima evoluzione di un naturale “divorzio delle competenze”, scambiate per «sconfinamenti professionali» … sappiamo tutti che così non è ma lo facciamo (e lasciamo) credere agli “inesperti”.

Il motivo di tutto ciò? Ebbene sta in due concetti: prestigio e ritorno amministrativo dello stesso. Ed in questi purtroppo non c’entrano «l’indifferrenza» … non c’entrano pretestati «sconfinamenti professionali» e non c’entrano le «possibili conseguenze e responsabilità, sia etiche che medico-legali».

In questo c’entra esclusivamente l’assai detestabile fenomeno della autarchia in sanità.

La subordinazione intellettuale è contraria ad ogni (pur celebrato) progresso.

Dott. Calogero Spada

TSRM – Dottore Magistrale



15 luglio 2022
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