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La qualità di vita e la malattia cronica: riportare la persona al centro della cura

di Marilena Cara

03 MAR -

Gentile direttore,
il dibattito sulla qualità di vita è antico. Aristotele, per esempio, ne parlava in termini di Eudaimonia. In un tempo di globalizzazione, di unificazione dei mercati, dove tutto tende ad essere categorizzato e omogeneizzato, la Qualità, caratteristica distintiva di un soggetto rischia di diventare un’effimera illusione. Parlare di qualità significa riferirsi alla soggettività e non alla collettività, e in sanità significa parlare della persona e non della malattia.

Nello specifico ambito della cronicità (nefrologia e in particolare la Dialisi, oncologia, reumatologia, diabetologia, cardiologia) il paziente è parte integrante del processo terapeutico e quindi è imprenscindibile porre al centro della cura la sua qualità di vita.

Nel 1948 l’OMS definisce la qualità di vita e salute come “ Uno stato di completo benessere fisico, mentale, e sociale- e non la mera assenza di malattia“. Nel 1995, sempre l’OMS, pone l’accento nella definizione di qualità di vita sul concetto di percezione soggettiva: “percezione che gli individui hanno della loro posizione nella vita nel contesto della cultura e dei sistemi di valori in cui vivono e in relazione ai loro obiettivi aspettative standard e preoccupazioni”.


In ambito medico e sanitario la qualità di vita di un paziente può essere “misurata” o attraverso una valutazione clinica dello stato di salute che tenga conto del benessere psichico e fisico o attraverso una valutazione soggettiva, basata sulla percezione che il soggetto riferisce della propria qualità di vita.

Esistono numerosi test per la valutazione della qualità di vita in sanità e svariati questionari generici o specifici che hanno la caratteristica di presentare un requisito di riproducibilità (SF-36, WHOQoL, EuroQoLL5D e altri).

Questi questionari possono essere utili in ambito di ricerca clinica, ma quanto possano essere fuorvianti nel comprendere il bisogno della persona di cui ci si prende cura? Parlo di bisogni perché credo non possa esistere uno stato di benessere senza almeno un parziale appagamento dei bisogni necessari per quel singolo soggetto al fine di sentirsi vivo.

Credo che lo strumento attraverso cui sia possibile per un medico clinico “misurare” la qualità di vita del paziente trovi la sua base nella relazione terapeutica empatica tra colui che cura e colui che necessita di cure. Tale modalità di relazione non richiede un aumento del tempo necessario alla cura, tenendo conto che il fattore tempo oggi è fondamentale e tuttavia mancante.

E’ la conoscenza del paziente che spesso ci indirizza come medici clinici a suggerire il percorso di cura più idoneo per quella persona, indipendentemente dal dato tecnico di fattibilità.

Il contatto relazionale che si sviluppa durante l’approccio ad un paziente cronico che necessità a di frequenti visite periodiche è lo strumento di osservazione anche della sua qualità di vita.

Il buon senso e la letteratura ci informano che una migliore qualità di vita si associa ad una miglior sopravvivenza del paziente.

Ritengo importante trasmettere ai giovani medici il messaggio che, al di là di una testistica e dell’utilizzo di strumenti di misurazione standardizzati della qualità di vita, colui che cura ha in sé come persona e come individuo la qualità, cioè la dote, per valutare la qualità di vita dei loro pazienti.

La conoscenza di se stessi (Eudaimonia) e nella propria identità professionale è strumento fondante di cura e di valutazione del paziente come persona prima e come malattia poi.

La cura della persona origina dalla capacità di cura di se stessi. Non può esistere una cura della persona se prima non ci si prende cura di colui che cura: cura del sanitario come persona e non solo come professionista.

Nonostante il rapido e straordinario sviluppo della tecnica medica la medicina clinica rimane una scienza umana basata sulla relazione col paziente. La sola diagnosi strumentale non è sufficiente al raggiungimento diagnostico ma solo la cura della persona nella sua globalità può condurre ad una corretta diagnosi e terapia.

Tiziano Terzani in “Un altro giro di giostra” scrive “i medici possono essere dei buoni consiglieri, ma la decisione finale sul che fare o non fare tocca il paziente perché quella decisione, in ultima analisi, non è né scientifica, né pratica. E’ esistenziale. E ognuno spetta decidere come vuole ancora vivere.“

Marilena Cara
Medico Nefrologo
Psicologo Analista Junghiana socio analista CIPA e IAAP, formatore e supervisore equipe sanitarie



03 marzo 2023
© Riproduzione riservata

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