Gentile Direttore,
fu uno psicologo americano nel 1961 a proporre un esperimento facile facile: basta fermarsi e guardare fisso in cielo e il 4% dei passanti si fermerà a scrutare in alto. Se poi ci si mette in 15 a fare lo stesso, allora almeno metà della folla alzerà attenta gli occhi al cielo. Il che potrebbe dimostrare che a furia di proporre qualcosa, in molti ci seguiranno, nell’ottica di chi sosteneva che “la gente crederà prima a una grande bugia che a una piccola; e se lo ripeti abbastanza spesso la gente prima o poi ci crederà”.
Effettivamente oggi ci troviamo di fronte a qualche legittimo dubbio a fronte ad affermazioni che riguardano la sofferenza psicologica da Covid e che vengono contraddette dai dati della letteratura scientifica internazionale. Così come i dati preoccupanti relativi ai disagi psicologici degli italiani non sembrano confermati dai recenti dati ISTAT, come già segnalato in precedenza su QS.
Tuttavia la reiterazione di concetti con scarso fondamento dal punto di vista scientifico sembra dare ragione a chi sostiene che la ripetizione di una affermazione (verosimile o meno) porta quasi invariabilmente a farla considerare una verità.
Sarà che per mestiere ormai non possiamo eludere quanto ci viene richiesto da un approccio della Medicina basato sull’evidenza, sarà che continuiamo a pensare che i dati epidemiologici debbano essere disponibili e soprattutto verificati, sarà che la pratica medica (ma non solo) è basata sulla consistenza dei risultati ottenuti, questo approccio ci pare assai poco condivisibile.
Nessuno nega infatti la necessità di pervenire ad un esteso benessere psicologico degli italiani e tuttavia la proposta di istituire lo psicologo di base in un contesto nel quale mancano i medici di base, di sottolineare gli interventi psicologici a pagamento quando ormai per superare le liste di attesa chi ha problemi di salute deve ricorrere alla sanità privata, di impiegare consistenti risorse economiche a favore di interventi per i quali non è garantita la verifica dei risultati e quindi, dato che la coperta è sempre più corta, sottrarle ad altri interventi forse più efficaci paiono, ma è un parere certamente criticabile, vagamente fuori luogo.
Certo che oramai siamo alla guerra tra poveri, in un momento nel quale le modeste risorse destinate alla salute dei cittadini paiono conseguenti non già ad un’analisi corretta dei bisogni e delle necessità, bensì a chi riesce ad esercitare maggiore pressione sui decisori politici. Se funziona così, abbiamo perso tutti.
Pietro Cavalli