Cosa spinge un giovane a fare (essere) medico oggi
di Marcello Valdini
31 LUG - Gentile Direttore,
la
riflessione di Mario Del Vecchio “Laurea in medicina: un investimento che torna a essere rischioso?” porta a chiedere (a uno come me, di anni 74, figlio di medico) quale sia oggi ciò che promuove in un 18-20enne il volere “fare il medico”. Ho detto “fare” e non “essere” per restare nella ratio della riflessione Del Vecchio.
Tra fare ed essere si sono già compiutamente espresse letteratura e filosofia, quindi è già stato detto tutto della relativa forza propulsiva.
Chi vuole fare è motivato da un ritorno esterno: il guadagno, l’ammirazione ecc.; chi vuole essere è motivato da un ritorno interno: il piacere di avere fatto, di essere nel posto giusto.
La programmazione delle utilità necessarie alla società risponde all’idea dello stato etico, legittimo pensare socio-politico. La libertà della scelta di vita risponde all’Io coniugato al Noi, altro legittimo pensare.
Ci sono “mestieri” che non possono essere sudditi della programmazione, ovvero dello “stato di necessità”: il prete, il poeta, il pedagogo… il medico; “mestieri” che alcuni chiamano vocazioni.
Non credo, da laico, nella “chiamata”; penso più alla pulsione interna, magari modulata dall’esempio educativo, dall’esperienza del dolore… dalla vita.
Non rifiuto le necessità sociali, la programmazione, gli incentivi; vengano pure, ma non siano dittatura, perché nessuna dittatura può dettare quell’amore che fa la differenza tra il fare e l’essere medico.
Marcello Valdinimedico-legale, Piacenza
31 luglio 2023
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