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Bene auspicare un nuova riforma della sanità ma ora servono le proposte

di Ivan Cavicchi

13 OTT -

Gentile direttore,
nell’ambito della sociologia della conoscenza da non molti anni è nata una nuova disciplina che si chiama “agnotologia”. Essa studia i problemi legati all’ignoranza. La parola nasce dal vocabolo greco agnōsis “non sapere” e tra le altre cose si occupa anche di come e perché diverse forme di conoscenza di proposte vengono ignorate o ritardate o addirittura nascoste e “negate”.

Anche in sanità come lei sa bene, come altrove, esiste una competizione tra i vari soggetti intellettuali che si candidano a suggerire alla politica le soluzioni che servirebbero e anche in sanità anche se non se ne parla, vi sono, scorrettezze, comportamenti poco leali.

Ognuno dei tanti savants, come li chiamava Napoleone, ha l’ambizione legittima di fare il capotreno anche perché essere capotreno come sanno bene alcune fondazioni o alcune associazioni e alcuni centri studio ha indubbi vantaggi economici.

La questione però dell’agnotologia non va banalizzata a semplici problemi deontologici, ma nella crisi in cui si trova oggi la sanità acquisisce una importanza politica notevole perché l’agnotologia se non risolta può essere di ostacolo alla ricerca delle soluzioni che servono, all’unità degli intenti, al grado di cooperazione tra i soggetti intellettuali, all’efficacia delle stesse idee. E quindi per la sanità essere un danno. E in base alla mia esperienza credo di poter dire che essa lo sia.

Vorrei a questo punto citare un caso di agnotologia piuttosto sconcertante che ci riguarda un po’ tutti.

Nel 2016 avanzai pubblicamente la proposta denominata “quarta riforma” in una situazione grave per la sanità, con lo scopo di sbloccare la discussione e favorire uno sbocco riformatore. Essa fu pubblicata come e book dal suo giornale e distribuita gratuitamente. Fu scaricata da almeno 40000 persone ma nonostante ciò e l’indubbio interesse che essa suscitò nel settore essa non fu mai confutata né a destra e né a sinistra da nessun centro pensante, da nessun savant, quindi, fu alla fine del tutto ignorata. Capii ben presto che il problema non era il merito, cioè le soluzioni indicate, sulle quali naturalmente si invitava a discutere ma era l’opportunità. Essa non era né giusta né sbagliata ma era semplicemente inopportuna perché metteva tutti in imbarazzo.

Anche se c’era la necessità di una riforma nessuno era in grado di fare delle proposte. Ma siccome nessuno voleva restare indietro e riconoscere ad altri il merito di una qualche idea l’unica cosa era negare la proposta. Snobbarla. Si trascurava con ciò il piccolo particolare che per la sanità tutto questo era comunque un danno. Anzi un grave danno al punto che se dopo 7 anni ancora stiamo discutendo se fare o no una riforma vuol dire che oggi siamo ancora come allora messi male.

In realtà io credo come ho scritto più volte che una quarta riforma al di là delle chiacchiere nessuno la voglia veramente. Pochi giorni fa Gimbe presenta il suo sesto rapporto (QS 10 0ttobre 2023) che nei contenuti è del tutto identico al piano presentato “per salvare la sanità” a fine marzo.

A suo tempo su quel piano avanzai diverse critiche (QS 31 marzo 2023). Tra queste la più importante era la seguente “non basta un “piano di rilancio per salvare la sanità. Serve una vera riforma” aggiungendo “anziché parlare di un piano per salvare la sanità pubblica preferisco parlare di una quarta riforma”

Oggi Gimbe in occasione ripeto del suo sesto rapporto prende al volo il suggerimento e invita la politica a fare un patto politico per riformare la sanità. Bravo Cartabellotta.

La situazione però direbbe l’agnotologia è abbastanza paradossale: Gimbe dice che bisogna fare una riforma ma continua a negare le proposte di riforma che ci sono cioè ad ignorarle e a non discuterle.

Ad essere sincero non posso negare che nell’interesse della sanità il cambio di rotta di Gimbe mi abbia fatto piacere. L’ho considerato comunque un passo avanti importante. Ma nello stesso tempo considerando il mestiere che faccio non posso non coglierne l’ingenuità.

Che senso ha da una parte dire che serve un patto per fare una riforma senza indicare che genere di riforma servirebbe? Che senso ha dire che bisogna fare una riforma e non dire una parola sulle controriforme fatte? Che senso ha chiedere come fa Gimbe alla politica di scegliere tra il pubblico e il privato sapendo che la politica sia di destra che di sinistra questa scelta non la farà mai. Cioè che senso ha proporre alla politica di scegliere tra pubblico e privato e pur parlando di riforma non avanzare in questo senso una proposta riformatrice?

È evidente che la proposta di Gimbe è uno slogan di vecchie proposte di razionalizzazione di ciò che c’è, e nulla più.

Ma è proprio questo il problema. La necessità di una riforma nelle condizioni in cui siamo non può essere uno slogan. Una riforma bisogna farla per davvero come ha ben detto di Jorio nel suo ultimo articolo (QS 11 ottobre 2023)

Aggiungo che proprio perché bisogna fare una riforma bisogna smetterla con i giochetti agnotologici e mettere insieme le forze le e esperienze, le conoscenze, i talenti, tutti i talenti, senza avere l’ansia di fare il capotreno.

È bene che si sappia che all’indomani della mia critica al piano di salvataggio di Gimbe cercai di mettermi in contatto con Cartabellotta come lui stesso potrà testimoniare proprio per proporgli delle sinergie. Ma non ci riuscii e adesso ho capito perché.

Vorrei dire a Cartebellotta che se invece avessimo unito le forze il suo ultimo rapporto glielo assicuro avrebbe contenuto ben altre proposte di riforma.

Già è difficile venire fuori dalla trappola nella quale ci siamo messi (vedi la nadef), ma se a questa trappola aggiungiamo anche i problemi agnotologici insieme alle smanie su chi fa il capotreno non abbiamo scampo.

Ivan Cavicchi



13 ottobre 2023
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