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Quali Reti Cliniche? 

di Alessandro Giustini

17 NOV - Gentile Direttore,
da tanti anni si parla di Reti Cliniche per patologie e problematiche organizzative, e adesso tutto va a posto con la edificazione di tanti Ospedali di Comunità, Case della Salute e COT? Assolutamente non è così: le Reti richiedono un profondo cambiamento sia scientifico-culturale che comportamentale per sistema e singoli professionisti, e debbono comunicare ai cittadini una profonda diversità nella modalità per la loro presa in cura e nella tutela della loro Salute.

Le Reti sono basate e valorizzano continuità, globalità nella valutazione dei bisogni chiarezza e sinergia di obiettivi sulle potenzialità di salute della persona.

Prima di tutto debbono cancellare la logica dominante della frammentazione, del “prestazionismo” che trova nella attuale definizione dei LEA e dei Nomenclatori il massimo negativo. Questa negatività si traduce nella medicina riparativa così lontana dalla tutela della SALUTE.

Cosa dovrebbero essere :
- sono strumento essenziale di appropriatezza per gli effetti su condizioni di Salute e Funzionamento delle persone e sul versante della efficacia ed efficienza degli investimenti.
- richiedono la cooperazione strutturale, programmata e verificata da parte del pubblico nelle molteplici attività che coinvolgono soggetti privati accreditati all’interno del SSN.

Le Reti debbono esser la modalità organizzativa per programmare e strutturare le attività secondo le indicazioni di demografia, epidemiologia e clinica andando ben oltre la diagnosi di patologia. Richiedono lo sviluppo di interventi di prevenzione individuale e collettiva ma mirando alla realizzazione del livello ottimale di “funzionamento” debbono risolvere la problematica della Disabilità!
Disabilità che in termini di prevalenza è di gran lungo la questione maggiore per difendere la Salute delle persone nella accezione sostanziale del WHO.

Un riordino complessivo del SSN: ad es. è necessario superare il generico assemblaggio di Cronicità, Fragilità e Disabilità: non sono simili ne per determinismo ne per interventi. Sono invece interdipendenti e spesso sequenziali: la Disabilità ne è spesso conseguenza ed aggravamento. Essa richiede azioni molto articolate, complesse ed integrate tra loro e con le precedenti, con componenti di prevenzione secondaria/terziaria e trattamento riabilitativo (di recupero, integrazione e/o sostituzione), ed attività sociali, economiche, previdenziali nei diversi ambiti della comunità. Infatti, l’obiettivo centrale del contrasto alla Disabilità è la costruzione di una condizione possibile di “abilitazione” della persona (empowerment, possibilità di libera scelta, supporto alla persona ed ai care-giver…).

Tutti dovrebbero infatti sapere che gli indicatori WHO di Salute sono oggi patologie, mortalità ma anche funzionamento.
E sono Reti tempo dipendenti al pari di quelle dell’acuzie per ottenere i migliori esiti. Altrimenti si realizza un errore scientifico, etico e sociale enorme, che produce un rischio di inefficacia e di spreco altrettanto enorme.

Quindi dobbiamo comprendere come il concetto di Rete sia molto più ampio e complesso del solo continuum di prestazioni per una specifica condizione patologica ed anche molto più ampio del “rapporto ospedale- territorio”. Infatti richiedono una revisione del rapporto ospedale –territorio e con le cure primarie. Si è sempre accettato il territorio come un miscuglio di medici di base, privati di capacità decisionali ed operative, e di numerosissimi ambulatori scollegati tra loro, anche autoreferenziali, che producono solo moltiplicazione di prestazioni. Lo conferma la continua crescita delle richieste di queste prestazioni: non si modifica aumentandone l’offerta se non si modificano profondamente i meccanismi di accesso e verifica dell’efficacia. Si è pensato che fosse sufficiente indicare sempre nuove figure come di “base” o di “famiglia “, oppure chiamare “di comunità” strutture para-ospedaliere per fronteggiare i bisogni reali. Regioni ed Aziende hanno prodotto una espansione di attività prestazionali favorendo in realtà espansione di domanda senza verifica dell’efficacia. Attività che spesso sono funzionali a compensare i professionisti di mancati rinnovi contrattuali.

Nulla di serio fino ad ora nel cosiddetto “territorio” che sembra più un vero Far West suddiviso in tante contee regionali dove sono sempre più differenti ed frammentati i servizi, la burocrazia, la tutela dei diritti.
E gli Ospedali non stanno certo meglio: un fortino sempre più debole, assediato dai tagli degli ultimi anni e dalle attese dei cittadini, con difensori che non sono più motivati a combattere e neppure a rimanere.
Purtroppo il DM 77 non è affatto adeguato per dare continuità e congruità alle attività, integrando con le cure primarie .le prestazioni degli ospedali ed i diversi soggetti che dovrebbero invece operare in sinergia.
Tutto questo è cresciuto e favorito negli ultimi 20 anni da enormi tagli orizzontali del finanziamento e del personale, con in parallelo un potente sostegno di risorse pubbliche alla sanità assicurativa.

Cosa fare?
E’ essenziale la ridefinizione delle Cure Primarie collegata a Reti Cliniche adeguate alle problematiche della Cronicità, Fragilità e Disabilità, dando finalmente vera centralità nel SSN al “territorio”.
Le recenti analisi di Agnetti, Polillo, Tognetti e prima ancora ad es. di Palumbo, Bartoletti, Cavicchi hanno dato significativi elementi i a questo dibattito: rifondare la Medicina come scienza umana ( pur con grandi competenze scientifiche e tecnologiche ) in un servizio pubblico e generalista perché solo in tal modo si può rispondere ai complessi bisogni di SALUTE in una società che (per fortuna) sopravvive sempre più a lungo a malattie e disabilità.

Potrebbe magari esser necessaria un’azione di stimolo “dal basso” frutto di questo dibattito (scrivere un Libro Bianco ad es.)?

Alessandro Giustini
Già presidente SIMFER ed ESPRM

17 novembre 2023
© Riproduzione riservata

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