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Liste d’attesa, ecco cos’altro ci dicono i dati  

di Nunzia Boccaforno

17 NOV - Gentile Direttore,
le dichiarazioni del ministro Schillaci sulle liste d’attesa (QS 10 Nov.) mi hanno riportato alla memoria i primi insegnamenti ricevuti durante la formazione in epidemiologia del corso di studi in Sanità Pubblica. “Se non si hanno dati precisi non si può curare la malattia. - Le liste d’attesa sono -la percezione peggiore che i cittadini hanno del Servizio sanitario nazionale… Noi abbiamo bisogno di avere i dati, dobbiamo sapere in tutte le regioni qual è la situazione”. Queste le parole del Ministro dopo la presentazione della ricerca realizzata da Agenas insieme a Fondazione The Bridge “Monitoraggio ex-ante dei tempi di attesa delle prestazioni ambulatoriali - anno 2023”. Apprezzabile da parte del Ministro l’impegno ad affrontare i problemi delle sanità ma sarebbe auspicabile che vestisse più il ruolo politico che gli compete piuttosto che il ruolo di direttore di struttura.

I manager hanno bisogno di più dati, i politici di indicatori. Al Ministro si chiede che faccia scelte politiche all’interno dell’esecutivo non il direttore della “struttura Italia”. La sanità è e deve essere articolata nei singoli territori; una centralizzazione omologata, per quanto sempre anelata erroneamente da tutti i governi, non è realizzabile. Pertanto la rilevazione centralizzata sulle liste d’attesa cadrebbe nel paradosso della mappa dell’impero descritto da Luis Borges nel 1935 e adottato nei manuali degli epidemiologi.

“In quell'Impero, l'Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell'impero tutta una Provincia. … . Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all'Inclemenze del Sole e degl'Inverni. Nei deserti dell'Ovest rimangono lacerate Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendichi (Luis Borges Storia Universale dell'infamia).

Il Ministro deve avere a disposizione indicatori di risultato del sistema sanità; gli indicatori di processo relativi alla produzione sono utili solo ai direttori di struttura per la governance del proprio sistema. La ricerca di maggior accuratezza e completezza dei dati sulle liste d’attesa da parte del Ministero e di AGENAS appare un alibi all’incapacità o non volontà di interpretare la realtà.

Passi che lo dica una giornalista, se pur impegnata quale Rosaria Iardino, Presidente di Fondazione The Bridge, che ha presentato e quindi deve legittimare lo studio. “Alla luce di tutto ciò, il cittadino si trova oggi in una situazione di grave carenza informativa, non avendo accesso a tutte le informazioni necessarie per comprendere l’andamento della performance del Servizio Sanitario Nazionale, nonostante sia suo diritto”.
Il diritto del cittadino è sancito dalla Costituzione quale diritto alla salute o al mero consumo di prestazioni?

Eppure proprio dalle risultanze della ricerca emerge chiaramente quanto il sistema di rilevazione sia “generalista” rispetto alle esigenze reali del cittadino. Infatti l’analisi evidenzia “che nel 51% dei casi, l’utente all’atto della prenotazione sceglie una data peggiorativa rispetto a quella che gli viene offerta dal sistema, perché chiede di poter avere la prenotazione presso una struttura diversa da quella proposta in prima disponibilità (73% dei casi) o perché sceglie una data successiva a quella proposta (20% dei casi)”. Un’accurata riflessione su tale comportamento dovrebbe portare gli esperti a valutare l’incapacità dell’attuale modello prestazionale da “mercato di merci” nella risposta ai bisogni di salute del paziente.

Bisogna intervenire sui percorsi di cura attraverso l’identificazione del responsabile terapeutico che conduca il paziente nel percorso idoneo con il supporto di strutture organizzate ad hoc. L’alibi del MMG che deve far tutto senza supporti logistici e organizzativi è stantio. In altro modo, come accade oggi, le prestazioni assoggettate alla logica del mercato, non saranno mai sufficienti dovendo compensare lo smisurato bisogno soggettivo di salute dell’individuo.

A conferma di ciò, l’esempio riportato dal Ministro nello stesso articolo, relativo alla “Signora Maria” – “arrabbiata giustamente perché ha chiamato il Cup di un determinato ospedale in una determinata regione e le hanno detto che per fare la mammografia deve aspettare 720 giorni”. Nel caso della Signora Maria ci sono molte domande a cui dare risposta prima di eleggere il caso a cosa inaccettabile, benché aneddotica, come dichiara lo stesso Ministro.

La “signora Maria” partecipa allo screening? Qual è indice di adesione allo stesso nella azienda di appartenenza e/o regione? Se invece non è nella fascia o non partecipa per sua volontà, quali sono i sospetti diagnostici? In altre parole, con un solo audit clinico/organizzativo che analizza il caso si potrebbe mappare con accuratezza la situazione del territorio di riferimento con vantaggio del singolo caso e dell’intera comunità oltre a dare informazioni di performance reali del sistema al governo centrale.
Se invece la “signora Maria” ha deciso di effettuare spontaneamente la mammografia, come spesso accade nell’attuale “mercato prestazionale”, allora è un dovere collettivo, e della politica in primis, prendersi la responsabilità di dire alla stessa che la prestazione non è garantita dal SSN.
Sarà impopolare ma necessario

Nunzia Boccaforno
Ex dipendente Ausl Romagna

17 novembre 2023
© Riproduzione riservata

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