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Le nuove tariffe e il rischio sempre più elevato di un Paese diviso in due

di Virginio Bebber

13 MAR -

Gentile direttore,
"Aumenti su misura”: è la chiave di volta ideata dai tecnici del Ministero della Salute per tentare di rimettere ordine nel caos suscitato dall’annuncio dell’entrata in vigore del nuovo Nomenclatore tariffario per le prestazioni ambulatoriali specialistiche e protesiche. Come si ricorderà noi dell’ARIS siamo stati tra i primi a lanciare grida d’allarme “insostenibilità” per le nuove tariffe. Grida questa volta non cadute nel nulla se è vero, come è vero, che al ministero siamo stati accolti, ascoltati e in qualche modo rassicurati circa la volontà di intervenire. Ed effettivamente qualche cosa si è mossa e qualche cosa, ci dicono, si muoverà ancora. Eppure, tutti questi “qualche cosa” ci dicono di non abbassare la guardia perché, lo sappiamo bene, in politica non è sufficiente aver compreso le ragioni e mostrare tutta la buona volontà possibile: c’è un diktat da seguire, un programma da rispettare, una maggioranza da conservare.

La sollevazione generata dalla notizia dello sfacelo insito nel nuovo Tariffario ha indotto dunque i vertici ministeriali e regionali a muoversi. La prima idea uscita dal cilindro è stata la firma del cosiddetto accordo ponte, o meglio una fase di transizione che consenta da una parte mantenere i tempi rigorosamente previsti, anche in seguito ad impegni presi con l’Europa, e dall’altra prendere il tempo necessario per riportare il valore economico delle tariffe in linea con i costi effettivamente sostenuti dalle strutture. In questa fase, come è noto, ci si potrà prenotare sino al 31 marzo per prestazioni alle vecchie tariffe, con validità sino al 31 dicembre di quest’anno. Ma dal 1° aprile ci si dovrà adeguare al nuovo tariffario che, inesorabilmente, entrerà in vigore. Ma, vien da chiedersi, con lo stato attuale delle liste d’attesa, quale livello avranno raggiunto le stesse liste d’attesa al 31 marzo? E dunque quante delle prestazioni prenotate potranno essere effettivamente erogate?

Nel frattempo, però una commissione di esperti tecnici ministeriali lavorerà, di concerto con tecnici regionali e rappresentanti delle categorie, per arrivare alla modifica delle tariffe giudicate non sostenibili attraverso appositi decreti, e all’inserimento di prestazioni generiche, oggi non previste, da tariffare nell’intento di riequilibrare il quadro gestionale. Qualcuno ha definito “chirurgico” l’intervento annunciato sulle singole tariffe.

Nulla da eccepire se non fosse per le voci che cominciano a susseguirsi su possibili interventi delle Regioni più “in salute” per sistemare le cose in casa propria. Un piccolo aperitivo prima di digerire il regionalismo differenziato in sanità? Sì perché è evidente che Regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e poche altre, per carità effettivamente virtuose nel gestire le loro non poche risorse, potrebbero certamente intervenire positivamente nella questione e mettere tutti d’accordo; ma chi vive nelle altre Regioni, soprattutto in quelle in Piano di rientro, quale quadro avrebbe davanti? Soprattutto su quale prospettiva di potersi curare potrebbe contare? E l’immagine di un Paese diviso in due, dove c’è chi si può curare e sorride e c’è chi non può farlo e piange, torna a presentarsi in tutta la sua drammaticità.

Come il biglietto da visita di una società allo sfacelo sono le parole di un illustre giornalista che, qualche sera fa in una seguita trasmissione televisiva dove si gridava allo scandalo delle mostruose liste d’attesa e all’altrettanto scandalosa differenza tra “chi può e chi non può”, quasi seraficamente sosteneva che non c’è da meravigliarsi se c’è sempre stato e sempre ci sarà chi può pagare le cure e dunque si cura e chi non le può pagare e dunque non si cura; questo perché chi ha studiato e faticato è ricco e continua ad avere i soldi, e chi è povero continua ad essere povero e dunque a non avere i soldi. Per pudore non si fanno nomi. Ma si esprime tutto lo sdegno che non possono che suscitare simili affermazioni in un Paese che si proclama civile. L’auspicio è che i nostri governanti, presenti e futuri, non ci portino mai a doverci vergognare di essere italiani.

Virginio Bebber

Presidente Nazionale ARIS



13 marzo 2024
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