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Io sono un’infermiera “atipica”

di Cristina Bianchi

14 GIU - Gentile Direttore,
le riflessioni della dott.ssa Gostinelli sul nuovo infermiere mi hanno profondamente colpita perché in quelle riflessioni mi sono ritrovata interamente. Ho lavorato per 20 anni in ambito ospedaliero pubblico, vivendo in prima persona tutti i passaggi “epocali” di quella che allora potevamo chiamare la nostra Sanità, più imbarazzante è definirla “nostra” oggi. Ho assistito al passaggio dall’ufficio ispettivo all'ufficio infermieristico. Ho visto il passaggio  dal mansionario al profilo, la riforma Bindi con l'aziendalizzazione e l'accreditamento,la nascita del sistema DRG,la nascita delle dirigenze infermieristiche, dei percorsi universitari, dei quali  mi sono servita  abbondantemente, la nascita di quelli che dovevano essere i nuovi modelli organizzativi, il codice deontologico ed il nuovo codice deontologico. Ho vissuto momenti di vero incanto per l’evoluzione della  mia professione, attendo di vedere la nascita di fatto del Servizio infermieristico, un servizio di cui l’infermiere tipico dovrebbe servirsi per diventare atipico.
 

 

Nel 2008 però mi sono licenziata da un’azienda pubblica , perché non mi riconoscevo più in quello  che stavo facendo. Avevo perso il senso del mio agire ed anche il significato del mio essere infermiera. Bruciata. Eppure, storicamente, avrebbe dovuto essere un momento magico per me che ero già in carriera ed occupavo  posizioni di responsabilità e dunque non capivo quel mio smarrimento. Con me, in quel periodo e poi successivamente, altri si sono licenziati, sempre per la stessa ragione: il non ritrovarsi nel proprio agire quotidiano. Ho detto questo per dare forza e valore alle considerazioni che farò di seguito.

 

Ciò che più mi ha colpito in  quel periodo è stata l’ammirazione dei miei colleghi per la mia persona a seguito del  mio licenziamento spontaneo. Leggevo in loro  il desiderio di fare lo stesso, ma  senza riuscirci, quello che per me era stato  un gesto di disperazione per loro era un “beata te che sei libera”. Licenziarsi dal servizio pubblico per entrare nel mondo della libera professione fu un vero atto di coraggio professionale perché allora, ed anche oggi, un infermiere di libera professione era ed è  un infermiere di serie B, ma libero di essere quello che è. Illusione anche quella, un infermiere libero professionista non sarà mai realmente libero se le politiche infermieristiche non lo aiuteranno.  Se chiedi ad una persona che curi ,chi secondo lei, fra un avvocato , un notaio o un infermiere è un professionista l’infermiere compare in una percentuale molto bassa come presenza rispetto al notaio all’avvocato  o al dentista. Dall’altra parte il 26,8% degli infermieri, secondo un sondaggio Ipasvi, afferma che gli infermieri fanno la libera professione per una serie di congiunture economiche. Dirigenza infermieristica, percorsi formativi universitari, modelli organizzativi innovativi, che vorrebbero  superare le organizzazioni tayloristiche, linee, intensità di cura tutto ciò dovrebbe dare vita ad  un sistema interconnesso  in cui sia la persona malata che vi accede che la persona professionista che vi lavora dovrebbero essere soddisfatti e realizzati.

 

Allora perché ogni giorno di più sento e condivido la sensazione di profondo malessere di moltissimi colleghi e di  molti medici che lavorano nella sanità pubblica, per non parlare della sanità privata in cui in alcune strutture ancora l’infermiere fa di tutto e dove molti medici sono sottopagati dei quali nessuno si occupa a livello politico e/o dirigenziale? Perché vi sono cosi tanti conflitti interprofessionali, perché il cittadino nonostante 30 anni di riforme non sente vicino i servizi socio-sanitari?

 

Forse perché come dice Massai nel suo ultimo contributo a QS, oggi c’è da definire un nuovo genere di operatore, medico e infermiere, un operatore che come dice  Cavicchi (I mondi possibili della programmazione sanitaria, Mc Graw Hill,2013) oggi svolge compiti e che pertanto definisce”compitieri” “mentre invece dovrebbe essere “autore”  ed aggiunge che “in sanità è ormai necessario pensare a un’organizzazione del lavoro interconnessionale nella quale le principali funzioni di coordinamento sono automaticamente e oggettivamente infermieristiche”. Le nostre organizzazioni caratterizzate da processi frammentati, assegnati ad un professionista o nucleo, cellula o linea dove però l’equipe dedicata non ha alcuna autonomia decisionale, ma la responsabilità di applicare correttamente il sistema prestabilito. In questa parcellizzazione in blocchi sempre più piccoli e sempre più specifici si crea un ambiente nel quale il sanitario si trova compresso e continua inevitabilmente a lavorare per compiti. L'aumento della responsabilità non coincide con il corrispettivo e proporzionato aumento dell'autonomia decisionale e meno che mai con la gratificazione. Molto spesso il professionista sanitario si trova a svolgere attività delle quali è ovviamente responsabile, ma per le quali decide ben poco  e spesso non le condivide. I percorsi formativi universitari non hanno per lo più riconoscimento, ed è raro vedere un sistema che implementi la meritocrazia. Inoltre, le persone che hanno bisogno del servizio sanitario vivono spesso una esperienza Kafkiana, della quale la persona operatore appare l’artefice ed il responsabile, in realtà è solo un  esecutore , vittima egli stesso. 

 

Il cittadino sta vivendo un passaggio radicale quello da uno stato di diritto assoluto ad uno stato, contraddittorio , di diritto relativo e per questo sente i servizi cosi lontani e per questo è cosi esigente perché sente di perdere ciò che faticosamente aveva precedentemente acquisito. Interessante e condivisibile il concetto di infermiere atipico di Gostinelli a cui si contrappone  un infermiere tipico che sostiene un sistema pur non riconoscendosi in esso, che obbedisce ad un ordine  che non sente  in funzione di una esistenza professionale  che non chiede altro oltre alla  apparente tranquillità personale e forse una più facile progressione di carriera, si perché più obbedisci più carriera fai come professionista infermiere. Ma mi chiedo come possa dirsi tranquillità quella che si basa sulla non considerazione  dei principali valori etici? Come si può rimanere indifferenti a questo sistema sempre più ingiusto dove l’economicismo ha preso il sopravvento sulla economia e dove l’etica è subordinata alla economia? L’infermiere atipico è colui che finché avrà fiato difenderà l’universalismo e la gratuità del servizio sanitario nazionale e la dignità dell’essere umano, poi anche malato, poi anche infermiere o medico che sia.

Così interpreto il concetto di infermieri atipici come coloro che vivono liberamente la propria professione, mantenendo fermi i valori fondamentali che la sorreggono, senza mai scendere a compromessi che fanno perdere troppo e che pertanto non sono più compromessi. Gostinelli dice in una affermazione che condivido pienamente: “L’infermiere atipico ha bisogno del medico e non ha paura a dire che l’infermiere è ausilio del medico e viceversa e che sono in una relazione di complementarietà e dunque interdipendenti”in un ambiente in cui valori ed  obiettivi siano definiti e vissuti “insieme” anche al malato ,in quell’ambiente  può esserci solo sinergia.

 

Atipici lo si può nascere ed esserlo  a prescindere, ma credo che lo si possa anche divenire semplicemente recuperando la forza dell’essere umano, la forza di un  ruolo e di alcuni valori imprescindibili per un professione di aiuto e di  presenza. Molti degli infermieri che possono apparire oggi tipici, sono stati atipici ed oggi sono disincantati. Chi non lo è mai stato potrà invece condividere un  cambiamento epocale oppure   rimanere tipico.

Atipici si può divenire, con una scelta ferma e risoluta , spesso dopo una profonda crisi interiore.

L’infermiere atipico sente e condivide il disagio del medico, disagio che è uguale a quello suo ed allora lo ascolta, ci parla, fa gruppo e con lui determina nuove politiche e nuovi modi di essere  professionisti della salute. Ho conosciuto molti infermieri e medici atipici; vorrei ci fossero più dirigenti infermieristici atipici.

Io mi sento atipica e vorrei incontrare altri atipici ed insieme cambiare le cose.

 

Cristina Banchi

Infermiera coordinatrice

14 giugno 2013
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