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Osteopatia e fisioterapia. Nessuna polemica, ma è necessario rigore scientifico

di Davide B.Albertoni

24 MAR - Gentile Direttore,
In riferimento alle lettere di Paola Sciomachen e Carlo Broggini, pubblicate rispettivamente il 13 febbraio e il 3 marzo 2015, vorrei chiarire alcuni fraintendimenti relativi ad alcune mie osservazioni, essendo stato più volte chiamato in causa. Il mio intervento è stato definito dalla Presidente del ROI, Paola Sciomachen, una “distorsione intellettualmente non onesta” del documento dell’OMS (1), quando, in realtà, ho semplicemente riportato quanto scritto nel documento: – “the published material is being distributed without warranty of any kind, either expressed or implied. The responsibility for the interpretation and use of the material lies with the reader”. Nessuna interpretazione, quindi, ma un dato di fatto: è scritto in terza pagina. Mentre la presidente del ROI, nella sua precedente lettera ha affermato che “l’osteopatia è definita dall’OMS stessa come una professione sanitaria di contatto primario”, ma non vi è nessuna traccia di tale definizione da parte dell’OMS nel documento citato (1). L’unico riferimento a tale interpretazione è il seguente: Experts in osteopathy consider that acquiring appropriate mastery of osteopathy to be able to practise as primary-contact health-care professionals, in cui il soggetto della frase è chiaramente rappresentato dagli esperti in osteopatia, senza nessun riferimento all’OMS; tra l’altro si parla di “esperti”, non di laureati, professionisti, sanitari o meno. In realtà, è l’interpretazione di questa frase come una direttiva dell’OMS che si può considerare una distorsione intellettualmente non onesta della realtà.
 
Questo non significa che intendo criticare la qualità dell’operato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità o dei 200 revisori e associazioni che hanno collaborato all’ottimo progetto, ma ricordo che tale documento ha semplicemente lo scopo di indicare degli standard minimi formativi per chi pratica le terapie non convenzionali, senza entrare nel merito di riconoscere o meno nuove professioni sanitarie. Ricordo anche che il documento “Benchmarks for training in osteopathy“ (1) è solo uno dei nove documenti di benchmarks pubblicati dall’OMS nello stesso periodo: Benchmarks for training in Acupuncture, in Ayurveda, Chiropractic, Naturopathy, Nuad Thai, Traditional Chinese Medicine, Tuina, Unani Medicine. Quindi sulla base di questi documenti, secondo la presidente del ROI, l’OMS vorrebbe indicare di istituire queste 9 professioni sanitarie in tutti i Paesi del mondo? E’ un interessante punto di vista, ma non lo condivido affatto.
 
La presidente del ROI afferma anche che “L'osteopatia è una professione autonoma, presente in tutti gli Stati europei, nata negli Stati Uniti, che ha avuto uno sviluppo velocissimo ed una diffusione capillare in tutti i paesi citati”, ma è da notare che il numero di Paesi in cui l’osteopatia è regolamentata come professione sanitaria, raggiunge forse il numero di 10 in tutto il mondo. Certo, come sostiene Paolo Broggini, l’osteopatia è una disciplina giovane (fondata nel 1874), ma non più giovane della fisioterapia (primo riconoscimento ufficiale nel 1887 in Svezia) e, a parità di anzianità, la fisioterapia è stata riconosciuta come professione sanitaria nella quasi totalità dei Paesi del Mondo, con 106 associazioni nazionali rappresentate presso la Confederazione Mondiale per la Fisioterapia (WCPT).
 
Allo stesso modo sarà certo una mia opinione che la definizione del codice M99 dell’ICD-10 “lesioni biomeccaniche non classificate altrove” sia un po’ debole per affermare che la diagnosi osteopatica sia codificata, ma nell’intero ICD-10 non vi è alcun riferimento alla “professione” o diagnosi rivendicata dalla presidente Sciomachen, mentre il termine osteopatia viene utilizzato con tutt’altra accezione: patologia dell’osso.
 
Non ho mai affermato che non esistano revisioni o meta-analisi a sostegno dell’osteopatia, tant’è vero che ne ho citate alcune nella mia precedente comunicazione (4,8), ma ho semplicemente fatto notare che la presidente del ROI, nella sua precedente lettera, non ne citava nessuna e citava maldestramente, a supporto dell’efficacia dell’osteopatia, alcuni studi che concludevano che le tecniche osteopatiche non erano affidabili (2) o persino dannose (3), mentre evitava accuratamente di segnalare altri studi che mostravano inefficacia del trattamento osteopatico (4) o inaffidabilità dei test manuali (5,6,7,8,9,10,11,12,13,14).
 
Delle tre revisioni citate da Broggini, la prima di Licciardone et al. (29) viene considerata ad alto rischio di bias (errore sistematico) direttamente dal secondo articolo citato (30), per cui è scarsamente affidabile, considera solo l’outcome del dolore, valutato in maniera dicotomica (meglio-peggio) senza considerare quanto un paziente migliora.  Il terzo studio, di Franke et al. (31), sull’efficacia dell’osteopatia nel trattamento dei sintomi del tratto urinario inferiore mostra un effetto superiore a nessun trattamento oppure comparabile ad altri approcci convenzionali.
L’unico studio degno di nota, quindi è il secondo (30) citato da Broggini, ed è in linea con ciò che afferma il Sistema Sanitario Nazionale Inglese (Nazione in cui l’osteopatia è regolamentata):  non c’è alcuna consistente prova di efficacia a supporto dell’utilità del trattamento osteopatico per il trattamento dell’asma, dolori mestruali, coliche infantili, scoliosi, sinusiti, stress o depressione, mentre ci sono alcune prove di efficacia di buona qualità che tecniche di terapia manuale, effettuate da osteopati, siano utili nella lombalgia persistente (33).
 
La linea guida (43) citata dalla presidente del ROI, come dichiarato dagli autori stessi, è parzialmente basata sull’articolo di Licciardone et al. (29), già considerato ad elevato rischio di errore sistematico (30), non è multidisciplinare ma elaborata da soli medici osteopati americani, incluso Licciardone stesso, tra l’altro appartenenti dall’American Osteopathic Association (AOA), ed è inoltre pubblicata sul Journal of American Osteopathic Association, il cui impact factor è 0,00 (44). L’insieme di queste caratteristiche è sufficiente a considerare tale linea guida non affidabile, non indipendente e potenzialmente influenzata da conflitti di interesse, così come suggerito da strumenti di valutazione delle Linee Guida, come l’AGREE e l’AGREE 2 (45).
 
Devo dedurre che la presidente del ROI non conosca tali strumenti di valutazione, visto che sembra considerare qualsiasi linea guida valida per il solo motivo che sia stata pubblicata da qualcuno. Cito testualmente Paola Sciomachen: “Pertanto, se esiste una linea guida, è perché c’è sufficiente e adeguata evidenza scientifica per poterla stilare e rappresenta uno strumento che consente un rapido trasferimento delle conoscenze, elaborate dalla ricerca biomedica, nella pratica clinica quotidiana”.
 
Il primo randomized clinical trial sull’uso del trattamento osteopatico nella lombalgia pubblicato nel 1999 sulla prestigiosa rivista scientifica del New England Journal of Medicine, come citato dalla presidente Sciomachen, conclude, in realtà, che non era presente alcuna differenza tra il trattamento osteopatico ed il trattamento convenzionale - We found no difference in clinical outcome between standard care and osteopathic care among patients with low back pain of at least three weeks in duration (32), ad eccezione di un minore utilizzo di farmaci, ma sulla base della prescrizione del medico osteopata versus medico generico, non sulla base della necessità del paziente. Inoltre lo studio è stato aspramente criticato per le sue conclusioni ed i limiti metodologici (34,35,36,37,38,39,40,41). Evito di proseguire a citare ulteriori evidenze che dimostrano la non utilità del trattamento osteopatico o la non superiorità ad altri metodi di trattamento, ma ce ne sono molte altre.
 
Allo stesso modo mi sorprende come si possa considerare un elevato numero di pubblicazioni indicizzate su Pubmed come elemento a sostegno dell’efficacia dell’osteopatia: non è importante il numero, ma le conclusioni e la qualità metodologica. Il numero di pubblicazioni potrebbe, al massimo, essere una misura della produzione scientifica ma, a parte il fatto che con tali parole chiave vengono inclusi moltissimi articoli che con l’osteopatia non centrano nulla, se si effettua la stessa ricerca con “physical therapy” si trovano 232.214 articoli rispetto ai 7.187 di osteopathic medicine, che potrebbe indicare grossolanamente una produzione scientifica in fisioterapia 32 volte superiore a quella in osteopatia, a parità di storia cronologica delle due discipline.  Un’altra affermazione di Sciomachen mi stupisce - non capisco quindi come Albertoni possa sostenere l’appartenenza dell’osteopatia alle pseudoscienze a meno che non ritenga la presenza di questa disciplina un’intrusione su PubMed: secondo la presidente del ROI l’indicizzazione su Pubmed attesta la validità scientifica dell’oggetto della ricerca? Quindi gli articoli pubblicati relativi all’astrologia (15,16), o all’efficacia dei braccialetti magnetici (17,18,19) indicano l’appartenenza di queste pratiche alla scienza? Interessante punto di vista.
 
In effetti una delle pratiche dell’osteopatia, la terapia craniosacrale, viene definita frequentemente pseudoscienza, a fronte delle diverse pubblicazioni che ne stabiliscono la non plausibilità e non riproducibilità delle tecniche di valutazione (20,21,22). Già nel 2002, due professori del New England College of Osteopathic Medicine conclusero che “i nostri precedenti studi suggeriscono che il meccanismo proposto per l’osteopatia craniale non è valido e che la riproducibilità interesaminatore (e quindi quella diagnostica) è approssimativamente zero. Dato che non sono stati pubblicati studi adeguatamente randomizzati, in cieco e controllati, concludiamo che l’osteopatia craniale dovrebbe essere rimossa dai curricula dei college di medicina osteopatica e dagli esami abilitanti alla professione (20)”
Nonostante ciò, e nonostante il fatto che l’osteopatia craniosacrale venga frequentemente considerata “ciarlataneria (quackery)” (23,24,25,26,27,28), viene ancora insegnata nelle scuole di osteopatia e propinata ai pazienti, ma probabilmente la presidente del ROI la ritiene una scienza valida, anche in presenza di prove scientifiche di non plausibilità.
 
Qui non si tratta di attacco non costruttivo o non etico, ma semplicemente di fornire una corretta informazione, evitando di citare documenti o pubblicazioni della letteratura che in realtà non sostengono ciò che si vuole affermare.
Non possiamo più accettare affermazioni o proclami basati su una scarsa conoscenza ed interpretazione della letteratura, sulla strumentalizzazione di essa, per poi essere anche accusati di distorcere la realtà, e di farlo per tutelare gli interessi di una categoria, che avrebbe paura della competizione di mercato. Ricordo che i 55.000 fisioterapisti italiani combattono già quotidianamente con un dilagante fenomeno di abusivismo.
 
Per quanto riguarda la pratica dell’osteopatia, Broggini afferma che “il Ministero si sia espresso più volte affermando che le attività svolte dall'osteopata rientrano nel campo delle attività riservate alle professioni sanitarie. Non aggiunge assolutamente praticabile solo da personale sanitario". A questo punto ammetto che non mi è chiaro il significato di “riservato alle professioni sanitarie”.
Vocabolario Sabatini-Colletti – Riservato: “Destinato esclusivamente ad alcune persone o ad alcuni usi”
Quindi l’osteopatia è destinata esclusivamente alle professioni sanitarie, ma l’osteopata, al momento, non ne fa parte, è un dato di fatto. Esistono delle proposte di legge, ma se non si dovesse arrivare all’istituzione di tale professione per altri venti anni o più, cosa tra l’altro plausibile, chi potrà esercitare lecitamente qualcosa di riservato alle professioni sanitarie? Chiunque? Le regole e le leggi sono a garanzia della logica ed, in questo caso, a tutela soprattutto della salute della Persona!
 
L’osteopatia è una Terapia Non Convenzionale, definita esplicitamente come tale dall’OMS, al pari di Ayurveda, Tuina, Medicina Unani… che non è stata in grado di far parte dei sistemi sanitari dominanti nei diversi Paesi, che non è poi così giovane, che non ha affatto avuto uno sviluppo velocissimo, né tantomeno una diffusione capillare, il cui riconoscimento è ancora molto debole e controverso tra i vari Paesi, le cui evidenze di efficacia sono scarse, le cui tecniche di valutazione manuali sono inaffidabili, le cui tecniche di trattamento (alcune) sono potenzialmente dannose, ed altre (craniosacrale) considerate dal mondo scientifico come pseudoscienza o ciarlataneria, i cui percorsi formativi sono estremamente eterogenei e gestiti da enti privati, il cui eventuale riconoscimento nel DDL 1324 non rispetta l’iter previsto dalla legge 43/2006 sulle professioni sanitarie, ed è richiesto contestualmente ad una sanatoria che renda equipollenti percorsi formativi svolti da enti privati in strutture non sanitarie ad una formazione universitaria magistrale.
 
Sono questi i presupposti corretti per l’istituzione di una nuova professione sanitaria e per la tutela dei pazienti? In questo momento in cui è messa a dura prova la sostenibilità anche economica del Sistema Sanitario Nazionale, alla ricerca affannosa di definire alti ed oggettivi livelli di appropriatezza? Credo proprio di no! Dobbiamo scegliere la strada che intendiamo percorrere: quella degli interessi oppure quella della realtà scientifica.
 
Davide B. Albertoni
Presidente Nazionale del Gruppo di Terapia Manuale – AIFI
Full Member of IFOMPT – Subgroup of WCPT

 
 
Riferimenti bibliografici
 
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24 marzo 2015
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