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Epatite C: chiarezza sui numeri, evitando allarmi infondati

di Ivan Gardini

12 DIC - Gentile Direttore,
l’articolo apparso oggi sul quotidiano Libero su una presunta “emergenza” per i trattamenti dell’epatite C, offre l’occasione per fare chiarezza riguardo ad allarmismi sbagliati e incomprensibili rispetto all’effettivo stato dell’arte del piano di eradicazione della malattia. Partiamo dai numeri. Leggiamo che il Prof. Melazzini avrebbe promesso di avviare al trattamento 80.000 pazienti entro il 2017.
 
A noi risulta che l’affermazione sia stata di “poter curare 80.000 pazienti nell’arco di un anno” (Huffpost 10/03/2017) a fronte di una importante rinegoziazione al ribasso dei prezzi di cessione dei farmaci anti HCV al SSN. Considerato che l’eliminazione delle restrizioni di accesso è avvenuta in Marzo 2017, c che il registro di Monitoraggio è stato reso pienamente accessibile ai medici prescrittori nel Maggio 2017, è pretestuoso e decisamente scorretto pensare che in 7-8 mesi si possa raggiungere un tale obiettivo.
 
Peraltro, ci risulta che questo specifico obiettivo sia stato condiviso e concordato con le Regioni o, quantomeno, non è mai stato smentito da nessun Assessore. Purtroppo nei pochi PDTA o documenti tecnici ufficiali elaborati dalle Regioni, non c’è traccia di un tale incremento “concordato”. Non è un dettaglio da poco, perché la partita delle cure ora si gioca proprio nelle Regioni, notoriamente molto affezionate alla loro autonomia in materia sanitaria, ma anche e soprattutto molto attente ai loro bilanci, nonostante esista un fondo per i farmaci innovativi, e nonostante i risparmi prodotti dalla cura dei pazienti inizino ad essere nell’ordine delle decine di milioni di Euro.
 
L’autore dell’articolo fa anche male i conti. Nel periodo Gennaio – metà Dicembre 2015 abbiamo avviato al trattamento 29.910 pazienti, nello stesso periodo 2016 siamo arrivati a 32.030, nel 2017 siamo a 41.535, ovvero un incremento di 9.505 terapie, ma la performance migliore si registra nel periodo Maggio – Dicembre: nel 2016 curati 17.837 pazienti, nello stesso periodo 2017 curati 31.390, segnando un + 13.553, quasi il doppio.
 
Passiamo alla controversa “quantificazione” dei pazienti da curare, numeri spesso sparati a casaccio senza avere una minima idea di che cosa si stia affermando. Lo stesso Prof. Pani, citato, affermò in una intervista televisiva (RAI3), di non conoscere affatto quanti fossero i pazienti da curare, ma che si “ipotizzavano” numeri elevati.
 
Chiariamo due cose:
1.     La prevalenza attuale di epatite C, quasi sempre divulgata con numeri inverosimili, si basa su studi epidemiologici eseguiti 20-25 anni fa. Nel frattempo sono deceduti almeno 300.000 pazienti e probabilmente ne sono guariti altrettanti, grazie a vecchie e nuove terapie;
 
2.     Si confondono i pazienti già diagnosticati (i quali la nostra Associazione ha stimato essere – attraverso una ricerca certamente perfettibile sulle esenzioni di patologia – tra le 250-300.000 unità, ora anche meno) con i pazienti non diagnosticati, sui quali non esistono numeri certi e quindi qualunque dato può essere smentito il giorno dopo.
 
Pertanto, finché non vengono effettuati studi scientifici di prevalenza aggiornati, seri, credibili e pubblicati su riviste scientifiche, non riusciamo a capire quale gusto ci sia a ripescare numeri assurdi, o basati su calcoli matematici, o su qualunque altra scorciatoia algebrica che lascia il tempo che trova.
 
Le analisi effettuate dal nostro Osservatorio dicono invece tutt’altro, ovvero che tra circa un anno un 20-25% di reparti autorizzati alla prescrizione dei nuovi farmaci avranno esaurito i pazienti da curare attualmente in lista di attesa, perché già ora scarseggiano, ed è necessario andare a cercarli – ed eventualmente curare dove sono - come ad esempio nei sert e nelle carceri. Ma qui torniamo alle Regioni, che ancora devono pianificare la presa in carico di tutti questi pazienti, con percorsi ragionati ed efficaci.
 
Per quanto riguarda i viaggi della speranza, da diversi mesi alla nostra Associazione non arriva più una sola singola richiesta sull’argomento, ma è proprio grazie ad articoli allarmistici e fuorvianti come quello che abbiamo letto questa mattina che si può riaccendere una nuova e ingiustificata “demand” di farmaci generici tra i pazienti.
 
Per ciò che riguarda i prezzi di acquisto del SSN dei farmaci innovativi, non c’è storia. L’Italia ha compiuto due grandi capolavori di negoziazione. Il primo, con DG AIFA il Prof. Pani, che strappò, (ricordiamocelo sempre, nel 2015 esisteva un solo farmaco e una sola azienda farmaceutica), un prezzo medio di 15.000 Euro per terapia, qualunque fosse la sua durata, per curare 50.000 pazienti gravi e gravissimi. Pochissime Nazioni al mondo erano riuscite a fare poco meglio di noi in quel periodo storico.
 
Il secondo capolavoro, più recente, con DG AIFA il Prof. Melazzini,  negoziando prezzi ancor più strepitosi: al netto degli sconti, acquistiamo questi farmaci strepitosi con prezzi ricompresi tra i  6.000 ai 9.000 euro a trattamento completo, indipendentemente dalla durata. I prezzi “secretati” restano tali solo per chi non ha voglia di approfondire. Facendo un po' di domande alle persone giuste, si arriva a capire come stanno le cose, non con precisione assoluta, ma euro più, euro meno.
 
Proprio in base a questi prezzi, e ad una ben più realistica stima dei pazienti noti da curare, che è stato possibile offrire la cura a tutti i pazienti, tanto è vero che nel Marzo 2017 eravamo una delle 10 nazioni al mondo ad avere raggiunto questo obiettivo. Un orgoglio che in tanti ci invidiano.
 
A meno che non si voglia paragonare l’Italia all’India, Pakistan, o altri paesi a bassissimo reddito procapite, affermare che le terapie in Italia costano più che altrove è inverosimile, ridicolo ed evidenzia una spiccata incapacità di fare un minimo di giornalismo investigativo.
 
Stupisce, peraltro, il paragone con l’Egitto e il continuo richiamo al costo dei farmaci generici, ben sapendo che l’Italia così come tanti altri paesi occidentali cercano di rispettare i brevetti e che, decidere di disconoscere brevetti sui farmaci, non passerebbe inosservato, con ipotetiche ricadute negative sugli investimenti del comparto Pharma, che significa lavoro per i cittadini, introiti per lo stato, ma soprattutto preziose sperimentazioni cliniche di cui hanno beneficiato, ad esempio, tra i 2 e 3.000 pazienti con epatite C, curati e guariti totalmente gratis. Bene hanno fatto, quindi, i nostri massimi rappresentanti della Salute a insistere a negoziare fino a quanto era possibile, con risultati straordinari in termini di sostenibilità.
 
Giusto per fare un piccolo paragone, in tema di costi per il SSN, un paziente con EPATITE B costa in media al SSN circa 180.000 euro di farmaci per impedire al virus di replicare, così come un pazienti con HIV può oltrepassare i 200.000 Euro per il medesimo motivo. Per non parlare dei costi di farmaci antitumorali che talvolta allungano la vita di qualche mese ma dai costi medi tra 20 e 40.000 euro.
 
Non si capisce perché tutto questo accanimento sui costi dei farmaci per l’epatite C, che continua da almeno 3 anni.
 
Già nel 2015 avevo commento che questo era il più grande affare della storia del nostro SSN, perché i costi dei farmaci (che noi abbiamo negoziato) si sarebbero interamente ripagati entro 3-4 anni con i risparmi prodotti curando tutti i pazienti nel più breve tempo possibile, perché il fattore tempo è una variante fondamentale.
 
Ora, alcuni analisti ben più competenti del sottoscritto, convengono con questo assunto: la costo efficacia dei farmaci anti HCV è attualmente impareggiabile, nessun’altro farmaco ha tali performance misurabili attraverso analisi di HTA, QUALY, ICER, e qualunque formula si usi si arriva alla stessa conclusione.
 
Commentiamo per ultima l’affermazione che riteniamo più grave. Vorremmo proprio capire come si fa a dire che muoiono 13.000 persone all’anno di epatite C o, meglio, di  complicanze legate all’infezione.
 
I dati ISTAT sulla mortalità attribuibile alle malattie del fegato (epatite, cirrosi, e tumore del fegato) sono fermi al 2014, quando ancora non erano entrati in commercio i farmaci di ultima generazione e, sicuramente, in quell’anno si potevano stimare circa 10.000 decessi causati dalle complicanze del virus HCV, cirrosi e tumore del fegato.
 
Ma è altamente scorretto “trasportare” questa mortalità del 2014 al 2015 in poi perché da quel momento sono stati curati oltre 80.000 pazienti con cirrosi epatica, trapiantati di fegato, o con gravi co-patologie i quali hanno di fatto “congelato” l’evoluzione della malattia.
 
Gli ultimi dati rilasciati da AIFA, da noi elaborati, dicono una cosa chiara: attualmente i pazienti con cirrosi avviati al trattamento (gli unici a rischiare eventualmente il decesso) sono solo il 18% del totale pazienti messi in cura nell’ultima settimana.
 
Certamente la mortalità calerà progressivamente, e non scomparirà come d’incanto: ma i decessi riguarderanno pazienti già guariti che purtroppo avevano una malattia di fegato talmente avanzata da aver già oltrepassato il “punto di non ritorno”, pur avendo eliminato l’infezione.
 
Non solo nessuno deve farsene una colpa o, peggio, attribuire colpe, ma tutti dobbiamo andare orgogliosi di avere comunque offerto qualche anno di vita in più a chiunque ne avesse diritto e necessità.
 
Ad onor del vero, va ammesso che le Regioni devono accelerare la presa in carico dei pazienti, e riorganizzare la rete di cura per l’epatite C eventualmente incrementando il numero dei centri prescrittori e/o il numero dei medici autorizzati a prescrivere le terapie con le adeguate competenze, perché su questo aspetto numerose sono ancora le Regioni che hanno reticenze e certamente il Ministero della Salute deve fare tutto quello che è necessario e nelle sue possibilità e competenze nel  rimuovere ogni e qualsiasi ostacolo di natura economica ed amministrativa che rallenti la presa in carico dei pazienti in lista di attesa.
 
Ma, detto questo, la domanda è: dove finisce il potere del Ministero della Salute, e dove inizia l’autonomina delle Regioni nell’amministrare la salute dei cittadini? Io ancora non l’ho capito e, credo, siamo in tanti.
 
Così come, in tanti, vorremmo ogni tanto osservare gesti distensivi e, al netto della dialettica politica, riconoscere all’avversario quello che di buono ha fatto, poco o tanto che sia.
 
Ivan Gardini
Presidente Associazione EpaC onlus

12 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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