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Sanità, parita di genere e cura, tre priorità per il Recovery Plan

di Antonia Carlino

15 DIC - Gentilie Direttore,
mentre si discute di tavoli di esperti, con vaghe linee di azione contenute nel Recovery plan sull’uso dei 209 miliardi messi a disposizione dall’Europa, si continua, imperturbabili, a pensare chi e come sarà nella cabina di regia, senza scendere, in quei dettagli di piano di ripartenza, che già a settembre, nazioni confinanti esplicitavano dettagliatamente, considerandoli essenziali ai fini di una pragmatica valutazione.
 
D’altra parte, grida vendetta la distribuzione delle risorse messe in campo, con quei 9 miliardi (forse qualcuno in più con la legge di bilancio) dedicati alla Sanità, depauperata di ben 37 miliardi in dieci anni di sciagurato definanziamento con desertificazione delle piante organiche e sottoposta, con il suo personale, a stress di ogni sorta, in questo lungo anno di epidemia.
 
Ma grida vendetta anche la quota e il capitolo dedicati alla parità di genere, se ha meritato solo un aggiustamento formale del titolo, e per giunta solo in extremis, sotto la voce politiche sociali.
 
Mi permetto di esprimere dubbi e perplessità sulla mancanza di metodo che traspare a una lettura di questo piano, per non dire della totale assenza di Visione complessiva della società Italiana, gravata da croniche disuguaglianze di genere, che, come un fardello, anzi una vera e propria palla al piede, hanno portato a quel record di denatalità e squilibrio demografico dell’Italia dell’ultimo quinquennio, record foriero di avvitamenti perversi sull’occupazione e crescita, già presenti purtroppo prima del coronavirus e che la pandemia ha acuito, moltiplicandoli.
 
E mi riferisco alla questione delle questioni: la disparità di genere e il suo deleterio effetto traino su tanti aspetti della Cura che, se non risolta e non affrontata, rischia di portare, anche in presenza di ingenti risorse, occasione unica nella storia di questo stato, a un maggiore squilibrio e maggiori diseguaglianze in questo nostro paese.
 
Rigidità consolidate, da decenni, hanno reso difficile fare figli e le donne si ritrovano con un tasso di occupazione fra i più bassi in Europa.
 
Si perché la cura di bambini, disabili e anziani, in questa nazione si è basata e si basa da sempre sul lavoro non retribuito delle donne.
 
Però, a fronte di un intero capitolo dedicato a Infrastrutture per la mobilità sostenibile, non esiste, nel Recovery Plan, alcun capitolo per anziani, disabili, e bambini.
 
Quando invece, proprio alla questione femminile sono legati i nodi irrisolti della Cura. Il lavoro non sia per la donna, come lo e’ stato, nemico del Progetto di Vita, come quando si diceva che il risparmio, legato all’avanzamento dell’età pensionabile si sarebbe riversato su piani, atti a superare diseguaglianze ataviche e strutturali. Cosa non avvenuta proprio per la mancanza di visione di sistema.
 
Ma adesso, e se non ora quando, è arrivato il momento per averla questa visione e superare i nodi cruciali che bloccano e hanno bloccato la società .
Il mancato accesso delle donne al mondo del lavoro, o comunque un accesso segregato e alle professioni meno remunerative, si accompagna al perdurante disvalore sociale della maternità, in particolare in ambiti del lavoro organizzato di cura come, per esempio per le donne medico, con discriminazioni sul lavoro e le penalizzazioni di carriera, legate proprio a gravidanza e parto.
 
Come già sollecitato dalla dr.ssa Laura Sabbadini, una progettazione di sistema con investimenti nelle infrastrutture sociali e sanitarie del nostro paese, è diventato urgente e doveroso.
Se il nostro Paese non lo fa adesso è perché non lo vuole fare.
 
Con il Next GenerationEU e adesso Italia, sembra finalmente arrivato il tempo, per affrontare quanto l’Europa ci suggerisce da anni, superare le diseguaglianze di genere e investire in quella che viene considerata da più parti l’ECONOMIA DELLA CURA, cioè nelle infrastrutture sociali e sanitarie, fino ad oggi considerate una spesa, ma che, invece, vanno intese come un virtuoso investimento per il futuro, proprio per le nuove generazioni.
Infrastrutture sociali significa investire nella Istruzione, nei servizi educativi di qualità’ per la infanzia, nella scuola, nella formazione di docenti e discenti e, nella ricerca, con un opportuno piano di assunzione di lungo respiro di personale nella P.A., atta a ottenere qualità. Perché senza personale non c’è qualità.
 
Inserire la Cura come paradigma economico, credo che sia la parte più innovativa di un percorso di investimenti che possono portare a un futuro dignitoso da consegnare alle prossime generazioni.
E La Cura, secondo me, va intesa nel senso più ampio possibile e non solo cura familiare, Cura comprendente sì la cura di bambini, di anziani e disabili ma anche la Salute e la Sanità.
Vanno cercati e adottati, servizi sanitari di prossimità’, in cui le cure domiciliari abbiano una organizzazione strutturale, ripensando i modelli di lavoro in atto in ospedale e nel territorio.
 
Vanno cercati e adottati modelli di welfare, non più solo sussidiario, che restituiscano qualità’ di vita e tempo alle Donne
Più tempo per le donne significa liberare risorse e energie per più occupazione delle donne stesse, come altre nazioni ci confermano da anni, per più natalità e più crescita inclusiva, più crescita economica.
 
Dal 6 al 10 % del Pil, ci assicurano illustri economisti. Insomma, per uno sguardo oltre l’orizzonte, in cima alla scala delle priorità ‘si consideri la Sanità e la Parità di genere e si consideri la Cura” una cosa non solo da donne “ma di tutta la società italiana e la si affronti con pari opportunità.
 
Antonia Carlino
Ginecologa
Esecutivo Nazionale Cisl Medici
 


15 dicembre 2020
© Riproduzione riservata

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