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Screening di massa e Regioni: avanti (e indietro) in ordine sparso

di Claudio Maria Maffei

14 DIC - Gentile Direttore,
strana vicenda davvero quella degli screening di massa col test antigenico rapido. Dopo l’avvio (e la conclusione) dello screening molto ben organizzato della Provincia di Bolzano, che ho già avuto modo di commentare, sono stati programmati e inizieranno  tra pochi giorni quelli decisi dalla Regione Marche e dalla Regione Sardegna. Intanto, la Provincia di Trento e la Regione Piemonte hanno fatto sapere che hanno scelto di non fare lo screening di massa.
 
Viene da chiedersi se abbia senso che su un tema così caldo come la scelta delle strategie più adatte a contenere la pandemia le Regioni possano muoversi con tanta autonomia. Tradizionalmente gli screening sono argomento di sanità pubblica oggetto di scelte a livello nazionale. L’autonomia delle Regioni si esercita nella scelta delle modalità più adatte a garantire la massima partecipazione ai programmi di  screening e la miglior gestione dei percorsi di cura che i risultati positivi dei test di  screening dovrebbero innescare. Ciò avviene ad esempio per lo screening dei tumori della donna e per gli screening neonatali. Su questi screening, ed in particolare su quelli oncologici, c’è un Osservatorio Nazionale cui si deve tra l’altro un pronto Rapporto sui ritardi dagli stessi accumulati nei primi mesi della pandemia , problema di recente ripreso anche qui su QS
 
Nel caso dello screening di massa col test antigenico rapido si assiste invece, come abbiamo già visto, ad una prova pratica di autonomia che più che “differenziata” sembra essere “indifferente” ad  una cultura comune di sanità pubblica. Come si possa di fronte ad una comune quadro tecnico-scientifico di riferimento procedere con scelte così  diverse è tema che merita un approfondimento. Credo che sia da questo punto positivamente esemplare la scelta della Regione Piemonte di affidare ad una preliminare valutazione da parte di un suo gruppo di epidemiologi peraltro di alto livello scientifico.
 
Questo gruppo ha prodotto un documento in cui in modo motivato si concludeva: “Lo screening di massa può essere suggerito se in una situazione di alta circolazione del virus tende a ridurre drasticamente e in tempi brevi il numero di casi e consente pertanto di predisporre un sistema efficace di Contact Tracing una volta terminata la campagna di screening. Il Contact Tracing continua ad essere l’elemento debole nella attuale organizzazione.
Le misure di confinamento in atto stanno facendo diminuire la circolazione del virus a livelli più bassi di rispetto a quelli sui quali può essere considerato efficace uno screening di massa in rapporto ai costi che comporta. In circostanze di bassa circolazione del virus, se lo screening di massa venisse messo in pratica, un risultato negativo potrebbe liberare i negativi dalla quarantena, mentre un positivo richiederebbe un secondo test rapido e, in caso di positività anche del secondo, un test molecolare. Sarebbe preferibile che le ingenti risorse richieste da uno screening di massa venissero dedicate al miglioramento del Contact Tracing che in ogni caso sarebbe richiesto dopo lo screening di massa e che in uno scenario di bassa diffusione è uno strumento adeguato, come si è dimostrato nei mesi estivi.”
 
Del resto in una sua riflessione sui criteri di utilizzo in una ottica di sanità pubblica del test nasofaringeo antigenico rapido, l’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE) ha di fatto scoraggiato i  programmi di screening di massa facendo presente che: “L’introduzione di screening di massa in situazioni di basso rischio deve tenere conto dei limiti evidenziati ma soprattutto della compatibilità con le attuali risorse e situazione epidemiologica”. Infatti, il documento dell’AIE documenta bene come sulla base della prevalenza  dei casi attesi di positività allo screening di massa (pochi punti percentuali) e  sulla base della specificità e sensibilità dei test antigenici sul campo è legittimo attendersi che solo una bassa percentuale di positivi allo screening sia un “vero positivo” come (aggiungo io) facilmente verificabile con il calculator messo a disposizione a questo scopo dal British Medical Journal.
 
In pratica in situazioni come quella della pratica totalità delle Regioni Italiane un programma di screening di massa col test antigenico rapido per ogni positivo vero ne trova almeno un altro, ma probabilmente anche altri due o tre se non di più, falso positivo. E se non ci si organizza per una immediata verifica dei casi positivi col test molecolare il rischio di procedere inutilmente a procedure di isolamento e quarantena nei confronti di molte persone non è solo  molto probabile ma certo. Questi limiti dei test dei programmi di screening vanno quantomeno presi in considerazione in sede di pianificazione e comunicazione.
 
E se si ritiene che la scelta di procedere allo screening di massa rientri tra le competenze regionali (posizione che non condivido),   i criteri con cui pianificarli, gestirli e monitorarli dovrebbero essere oggetto di indicazioni da parte dell’Istituto Superiore di Sanità come già avviene per molte altre questioni.
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on


14 dicembre 2020
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