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La medicina territoriale e quel cambio di paradigma contrattuale indispensabile per il cambiamento

di Antonio Infantino

15 FEB - Gentile Direttore,
come è noto la Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica ha recentemente avviato alcune audizioni sul tema “Potenziamento e riqualificazione della medicina territoriale nell’epoca post-CoViD” indubbiamente resesi necessarie per la consapevolezza generale che l’anello debole dello scenario pandemico generale si siano rivelate proprio le cure territoriali, che hanno nella medicina generale convenzionata la loro principale risorsa.
 
A tale proposito, da medico di medicina generale (mmg), mi ha interessato per la sua impostazione e per i suoi contenuti, l’audizione della FIMMG, di cui lei ha anche pubblicato il testo integrale, sulla quale vorrei fare alcune considerazioni in controtendenza (alla presente ho allegato anche una riflessione più ampia), tanto più per evitare che si cada nell’errore di pensare che la medicina generale italiana sia interamente rappresentata da un unico interlocutore.
 
Detto questo, e prima di entrare nel merito, è di tutta evidenza come il discorso del sindacato audito abbia avuto sullo sfondo la volontà di allontanare dalla mente degli “auditori”, ove presente, l’idea del passaggio alla dipendenza dei mmg che sempre più prepotentemente sta emergendo e viene auspicato da una crescente quota degli stessi mmg, come di amministratori, sindacati, politici, opinion leader, studiosi, tecnici e quant’altri.
 
L’idea aleggiava già da diversi anni, ma la necessità di ristrutturare le cure territoriali, anche dal punto di vista contrattuale, l’ha definitivamente messa in evidenza la pandemia da SARS-CoV-2 che ha slatentizzato i gravi limiti organizzativi, strutturali (gli studi professionali), di governo, e pertanto funzionali delle stesse.
 
Sono diversi i passaggi dell’audizione che generano perplessità cominciando dalle valutazioni demografiche e oro/geografiche che porterebbero ad individuare la necessità di privilegiare un certo modello gestionale partendo dall’assunto che una parte della popolazione italiana (circa il 17%) vive in zone disagiate e pertanto è necessario per questo pensare ad un modello tarato su questa esigenza da moltiplicare in risposta alle esigenze del restante 83%. Personalmente penso che sia più utile fare il contrario, per ovvi motivi numerici, magari pensando anche ad un modello adatto per la minoranza della popolazione.
 
Altro aspetto toccato in audizione quello della dotazione tecnologica, secondo il sindacato audito, da acquisire “anche a proprie spese”, frase che sottende evidentemente la previsione che non tutti i mmg italiani avranno accesso a tali risorse, generando le stesse iniquità perpetratesi con le indennità per il personale di studio che in tantissimi non hanno mai visto.
 
Che dire poi del microteam, proposto come nuovo modello per le cure territoriali innovativo a mio parere solo per la terminologia anglosassone. Trattasi nei fatti di un modello non solo già vecchio, visto che lo si può far risalire all’ACN 2005 (art. 54), ma soprattutto di un modello che nella sua declinazione associativa in gruppo ha creato non pochi problemi, anche legali, per via del contesto del rapporto convenzionale del mmg (è come far lavorare insieme tante aziende, tutte paritarie, ma che per convenzione devono offrire i loro servizi alla clientela di tutte, avvalendosi ognuna anche del personale delle altre, cosa espressamente vietata dalle norme di legge in materia di lavoro, salvo dover ricorrere ad artifici vari, come la costituzione di società che però snaturano la stessa filosofia del “microteam” e fanno da volano per ulteriori spese ed incombenze gestionali).
 
Nell’audizione si è ancora rilanciato il riconoscimento economico a quota capitaria per le attività concordate come di base, ignorando che la quota capitaria è invisa alla categoria perché manda in conflitto il ruolo di gate-keeper e l’appropriatezza dei comportamenti del medico con il suo stipendio e quindi con il contenimento della spesa sanitaria! Altri mantra ripetuti sono stati quelli della scelta fiduciaria del cittadino e dell’autonomia del mmg, che entrambe non esistono più da anni; la prima proporzionale al numero di richieste spesso improprie esaudite dal medico, la seconda condizionata dalla prima ma anche da tanti obblighi calati dall’alto come abbiamo potuto recentemente vedere. Nel testo dell’audizione si ritengono necessari altrettanti rapporti convenzionali per tutte le figure che collaborano con il mmg auspicandone l’armonizzazione, operazione che mi riporta alla mente il racconto biblico della “Torre di Babele”.
 
Infine, nella chiosa dell’audizione, il richiamo ai limiti della scelta del rapporto di dipendenza pubblica per il mmg (… sempre più invocato da tanti!), sulla base di discutibili motivazioni gestionali, economiche ed assistenziali.
 
Purtroppo lo scenario delle cure territoriali “dell’epoca post-CoViD” dà altre indicazioni, perché richiede il cambio di paradigma contrattuale dalla convenzione alla dipendenza, l’unico che consentirebbe alle cure territoriali di diventare un sistema governabile, molto più efficiente ed efficace di quanto abbia fin qui potuto esserlo, l’unico che consentirebbe ad una comparsa di diventare attore protagonista.
 
Antonio Infantino
Medico di famiglia, Vice Presidente con delega all'Area Scientifica e Responsabile Area Respiratoria SIICP

15 febbraio 2021
© Riproduzione riservata

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