Medicina generale. Fimmg: “Dipendenza è un modello che ha limiti economici e assistenziali. Soluzione è il microteam”
di L.F.
Il sindacato in audizione in commissione Igiene e Sanità al Senato respinge le ipotesi di rendere dipendenti i medici di famiglia e ribadisce la proposta del microteam assistenziale. Bocciate anche le Usca: “Un altro silos di incomunicabilità organizzativa, assistenziale, professionale che o ha lo scopo di costruire un alternativa all’attuale offerta fiduciaria delle cure primarie, trasformandola in una offerta di struttura e non di relazione tra un professionista e il suo paziente”. IL DOCUMENTO
27 NOV - “È necessario ripensare il sistema e da una organizzazione di attesa evolvere verso una organizzazione strutturata soprattutto nella iniziativa, nella prevenzione e nella presa in carico precoce del paziente che può sviluppare cronicità e comorbilità. Questa azione è possibile solo attraverso le cure primarie territoriali e la effettiva valorizzazione del medico di medicina generale, unico soggetto se ben guidato da una struttura contrattuale convenzionata non tendente alla subordinazione della risorsa umana ma subordinando la retribuzione agli obiettivi e lasciando alla capacità adattiva e alla elasticità di tale figura contrattuale la ricerca di soluzioni coerenti con le autonomie regionali, capace di erogare non prestazioni bensì volume di presa in carico che, oltretutto, sarebbero economia di scala”. È quanto ha affermato il segretario della Fimmg
Silvestro Scotti in audizione in commissione Igiene e Sanità al Senato.
Un intervento rilevante quello della Fimmg che arriva a pochi giorni dagli annunci fatti da
Pd e
M5S di voler ridiscutere il tema del convenzionamento dei medici di famiglia per trasformarli in dipendenti.
“Qualcuno – ha rilevato Scotti - pensa che la gestione delle cure primarie possa essere risolta centralizzando l’offerta, ma basterebbe considerare che le sole 14 città metropolitane italiane accolgono quasi 22.000.000 di cittadini in poco più del 10% della superficie del territorio italiano per comprendere che nel rimanente 90% (270.000 Kmq) la restante parte dei cittadini italiani non avrà riferimenti sanitari territoriali, avendo già oggi un offerta assistenziale con strutture lontane e non facilmente raggiungibili. Il medico di famiglia di quel paesino, di quei cittadini, di quegli anziani, di quegli ammalati è presidio sanitario indispensabile, un medico di famiglia ogni 90 Kmq non è un’offerta di cure primarie”.
Detto ciò Scotti traccia la rotta. “Qualunque sia l’organizzazione scelta – ha detto - è irrinunciabile che la dotazione tecnologica, anche a proprio carico, degli studi dei medici di medicina generale si arricchisca di nuovi servizi e strumentazioni (spirometri, ecografi, elettrocardiografi, POCT per diagnosi di laboratorio, etc) che, oltre ad aumentare la risposta di intensità diagnostica e assistenziale dello studio di medicina generale in tema di prevenzione e presa in carico della cronicità, potrà accogliere/intercettare e gestire i pazienti che presentano una sintomatologia acuta prevenendo nella maggior parte dei casi gli accessi ai servizi distrettuali e ospedalieri di primo e secondo livello, nonché ai pronto soccorso, che potranno pertanto ridurre i rispettivi costi e tempi di attesa. I centri di secondo livello dovranno essere coerentemente collegati con le cure primarie, anche per il necessario supporto, in una rete sia digitale che di risorse umane che possa in qualunque momento potenziare il primo livello di cura grazie ad una relazione tra i professionisti, potendo, nel caso della sanità digitale, offrire al sistema la garanzia del trasferimento fiduciario tra il medico di famiglia e lo specialista, situazione che anche i documenti dell’ISS sulla telemedicina ritengono un valore irrinunciabile se ne vogliamo uno sviluppo con il gradimento del cittadino e oltretutto più coerente con gli attuali disposti del codice deontologico, che non considera visita medica il video consulto, e con tutti i rischi medico legali che deriveranno invece da scelte che durante il Covid sono andate in direzione diversa”.
Per questo la Fimmg ha ribadito che “è necessario identificare una unità operativa/erogativa di base intorno al singolo medico di medicina generale che possa efficacemente operare in autonomia o in integrazione con altre unità operative/erogative del territorio: il microteam”.
In questo senso “l’unità elementare del microteam, rappresentato da MMG, collaboratore di studio e infermiere, evolve il modello attuale medico-centrico ad un modello team- centrico, in cui il Medico di Medicina Generale riveste ruolo di responsabile clinico e imprenditore etico. Il microteam può evolvere in forme più articolate di complessità attraverso il completamento orario e l’integrazione assistenziale del medico di Continuità Assistenziale o del medico a Ruolo Unico; attraverso il coordinamento con i farmacisti previsto dal D.Lgs. 502/92, Art 8, comma 1, lettera m bis; attraverso l’interazione funzionale con gli specialisti, i professionisti della riabilitazione, gli assistenti sociali e gli psicologi”.
Scotti ha parlato poi anche delle emergenze sanitarie e di come fare per fare in modo che anche i medici convenzionati possano rispondere tempestivamente. “Appare chiaro – ha precisato Scotti - che in condizioni di emergenza il sistema convenzionato non appaia ristrutturabile ad esigenze improvvise di organizzazione sanitaria, ma a latere del fatto che non mi risulta che nel caso di terremoti o emergenze geologiche la medicina generale non si sia immediatamente ridisposta in campo con modelli che poco avevano a vedere con i modelli ordinari previsti dagli ACN o AIR, può diventare oggi motivo di discussione se un contratto convenzionato debba prevedere un modello operativo per situazioni di emergenza sanitaria, come un pandemia, in modo da avere un riferimento immediato e chiaro sul chi fa che cosa e come, su quali evoluzioni possano avere compiti e funzioni ordinarie rispetto all’emergenza e se fosse necessario anche definire parti di questi soggetti richiamati a compiti completamente diversi dai propri, come una sorta di riserva di risorse umane immediatamente riconvertibili nei necessari modelli assistenziali conseguenti all’emergenza e ad essa coerenti, come sarebbe stato necessario per esempio piuttosto che prevedere le USCA come soggetto estraneo al sistema e di fatto nel tempo usato come alternativo o sostitutivo”.
“Appare evidente – ha precisato - che quanto definito negli ultimi provvedimenti emergenziali di questi mesi lo riteniamo la costruzione di un altro silos di incomunicabilità organizzativa, assistenziale, professionale che o ha lo scopo di costruire un alternativa all’attuale offerta fiduciaria delle cure primarie, trasformandola in una offerta di struttura e non di relazione tra un professionista intellettuale delle cure primarie e il suo paziente, condizione quest’ultima che viene portata come motivazione nell’ultimo rapporto OSCE 2019 sugli ottimi risultati del nostro SSN”.
“Un modello che porta la medicina generale nella dipendenza pubblica – ha concluso - potrebbe apparentemente sembrare facilmente realizzabile ma quando si va a descrivere quel modello rispetto alle caratteristiche dei territori emergono altrettanto facilmente tutti i limiti di una tale scelta, sia dal punto di vista economico, lo Stato si troverà a doversi far carico della gestione e dei costi degli ambulatori e di tutti i fattori di produzione compreso il personale, che assistenziale se si ipotizza un rapporto tra medici e pazienti di uno a 5-6 mila, con il cittadino che molto probabilmente dovrà fare molti più chilometri per trovare un medico, che non ha scelto, e tra questi i soggetti anziani e fragili che dovranno limitare i contatti con il medico di cure primarie, riducendo in questa maniera quella sorveglianza continua tipica della medicina di famiglia”.
L.F.
27 novembre 2020
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