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La lotta al dolore combatte anche il Covid

di Marco Ceresa

23 MAR - Gentile direttore,
ben rendendomi conto delle numerose priorità del momento, fra le quali certamente quella vaccinale, in cui tanti fra noi sanitari siamo anche personalmente impegnati fuori dall’orario ordinario di lavoro, credo fondamentale, ancora una volta, segnalare l’importanza, spesso misconosciuta (ma certo non sempre), della gestione della sofferenza anche in questa terza fase pandemica.
 
Molto interessante a questo proposito che vi sia stato pochi giorni fa l’intervento anche dell’ex Ministro della Salute Livia Turco nell’articolo “Le Cure Palliative adesso più che mai”, nel quale, fra le altre cose, sottolinea come “Il Pallium, il mantello che accoglie e conforta deve accompagnare ogni persona in difficoltà, ogni fragilità della nostra vita. La cultura delle cure palliative, del mantello che accoglie e conforta deve permeare la cultura medica, sociale, deve diventare parte del sentimento dei cittadini” e ricorda come invece “Il propagarsi della epidemia ha comportato un forte rallentamento, e in alcune realtà il blocco totale nella erogazione delle prestazioni di terapia del dolore. Pazienti abbandonati nella solitudine della loro sofferenza. ”
 
Questa drammatica patologia ha reso evidenti moti vulnus in ambito sanitario, fra i quali anche il fatto che la sofferenza del malato, non è generalmente considerata fra le prime priorità gestionali.
 
Questo certamente non per cattiva volontà dei sanitari,  ma per indisponibilità già prima della pandemia, di servizi adeguati, strutturati e diffusi ubiquitariamente nei numerosi presidi ospedalieri (nonostante la previsione cogente esplicita da parte del LEA di cui all’art 38 comma 2 teso a garantire anche nel ricovero ordinario la presenza di Terapia del Dolore e Cure Palliative).  
 
E anche perché, verosimilmente, le strutture amministrative preposte  all’organizzazione del personale dei  reparti COVID, in parte comprensibilmente viste le gravi carenze di sanitari, ma in parte anche per un problema culturale che nel nostro paese si trascina da decenni al di là delle prescrizioni  della legge 38/2010 (che pur ponendo in evidenza la tematica della sofferenza è rimasta largamente inapplicata), non hanno avuto certamente questo obiettivo fra quelli prioritari, ciò nonostante il fatto che, l’importanza della gestione della sofferenza, fosse stata esplicitamente sottolineata sin dalla prima ondata anche da un documento congiunto, emesso come “position paper”, dalle principali società scientifiche degli anestesisti e dei palliativisti,  SIAARTI e SICP.
 
Eppure per il paziente sofferente, proprio la sofferenza elevata, immediatamente percepita come quel fattore inaccettabile della propria condizione esistenziale presente in quel momento, quale vera priorità immediata degradante pesantemente la qualità di vita, può giungere  sino a rendere talora inaccettabile la prosecuzione dell’esistenza stessa, livello di distress che può arrivare oltre al limite di sopportazione (il cosiddetto “dolore totale”) portando a desiderare di “gettare la spugna”, condizione psicologica pericolosa che certo non aiuta il malato, livello estremo, che perciò stesso rischia di contribuire a consumare irrimediabilmente, direttamente o indirettamente, la già scarsa riserva funzionale residua e quindi anche l’eventualità di un ipotetico miglioramento, quando potenzialmente forse ancora possibile. 
 
In definitiva, anche da un punto di vista clinico, potrebbe divenire un fattore importante da valutare, unitamente al controllo dei parametri fondamentali da correggere, anche quello del distress sintomatologico dis-controllato, quale potenziale elemento peggiorativo, contribuente al maggior spreco e consumo inutile di ossigeno, che in questa devastante patologia, in cui l’insufficienza respiratoria è fra i principali elementi di degrado, è fondamentale.
 
La sinergia di trattamenti, potrebbe essere talora importante per la “svolta” positiva di quei pazienti in bilico fra peggioramento e miglioramento, nei quali, in ipotesi, sarebbe importante avere la possibilità di mettere in campo, sinergicamente, tutti quei trattamenti disponibili, sia soprattutto a livello eziologico, che anche adiuvante-integrativo e sintomatologico-palliativo.
 
Marco Ceresa
Medico

23 marzo 2021
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