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Trapianto di midollo. Un possibilità di trattamento nei casi più aggressivi


11 MAR - Il trapianto di midollo osseo è una delle opzioni che l’ematologo può valutare nel trattamento delle malattie del sangue. Viene utilizzato solo in alcuni pazienti che presentano forme di linfoma particolarmente aggressive. Nella maggioranza dei casi questa modalità terapeutica costituisce infatti una terapia di seconda linea o “di salvataggio” dopo che si è documentata una ricaduta della malattia oppure quando la malattia è resistente alla terapia di prima linea. Il trapianto può essere considerato parte della terapia di prima linea soltanto in alcuni tipi di linfoma come il linfoma mantellare o quello linfoblastico. Alessandro Rambaldi, direttore U.S.C. Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII – Bergamo, ci spiega qualcosa in più su questa terapia.
 
“Nella grande maggioranza dei casi il trapianto di cellule staminali emopoieticheviene effettuato utilizzando le cellule dello stesso paziente (trapianto autologo) che sono prima raccolte e poi congelate nel corso del programma terapeutico. Questa procedura consente al medico di impiegare dosi molto elevate di chemioterapia, in alcuni casi combinata alla radioterapia, in modo da vincere la resistenza del linfoma”, ha spiegato. “A questi dosaggi terapeutici tuttavia anche il midollo osseo normale del paziente viene danneggiato. L’infusione delle cellule staminali autologhe dopo questa “megadose” di chemio-radioterapia permette al malato di superare la tossicità del trattamento e spesso porta ad ottenere una guarigione definitiva della malattia.”
 
Ma in alcuni pazienti anche questa terapia non è efficace.“In una piccola frazione di pazienti che purtroppo si dimostrano resistenti anche a questa modalità terapeutica, è possibile ricorrere al trapianto allogenico. Questa tipologia di trapianto richiede l’individuazione di un donatore compatibile (reperibile tra i familiari o nei registri internazionali dei donatori che oggi raccolgono oltre 20 milioni di volontari). Rispetto al trapianto autologo, quello allogenico aggiunge anche un effetto immunologico di controllo della patologia, infatti per quanto compatibile ogni donatore resta comunque un po’ diverso rispetto al paziente. Questa minima ma fondamentale diversità permette al sistema immunitario del donatore di attaccare e distruggere anche le residue cellule linfomatose e consentire così la guarigione persino ai pazienti più resistenti alla chemioterapia”, ha continuato. “Purtroppo questo effetto immunologico può essere diretto contro le cellule sane del ricevente, evenienza che può essere motivo di tossicità anche molto grave generando la cosiddetta ‘malattia del trapianto contro l’ospite’. È per questo che il trapianto allogenico è ancora indicato solo per una piccola percentuale di pazienti di età non superiore ai 65 anni e che non abbiano significative patologie associate”.
 
Quali sono i risultati e le percentuali di sopravvivenza e di guarigione?“I risultati sono diversi a seconda del tipo di linfoma. In generale possiamo dire che il trapianto di cellule staminali emopoietiche autologhe consente di ottenere una remissione completa nella maggior parte dei pazienti con linfoma che hanno ricadute della malattia dopo una precedente linea di terapia”, ha conluso Rambaldi. “Questa remissione è duratura nel tempo in oltre il 50% dei casi. Per i pazienti che non rispondono alla terapia di salvataggio o per quei pazienti che ricadono dopo essere stati trattati con essa, si può porre l’indicazione al trapianto allogenico che permette di guarire in maniera definitiva oltre la metà di questi pazienti”.

11 marzo 2013
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