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Pani (Aifa): “L'obiettivo futuro è sviluppare farmaci più efficaci e meno costosi”


19 FEB - Proviamo a immaginare la mole di lavoro che precede il lancio di un’automobile, dalla ricerca delle migliori soluzioni aerodinamiche alla costruzione di un motore nuovo ed efficiente, sino alla scoperta di nuovi materiali, con la definizione delle diverse cilindrate e del prezzo con cui verrà offerta al pubblico. Adesso, solo per ipotesi, consideriamo una nuova serie di variabili. Il tempo medio per portare il nuovo modello di automobile dal tavolo del progettista al concessionario oscilla tra i 12 e i 13 anni; solo 1 o 2 prototipi ogni 10.000 superano con successo i necessari test; gli investimenti che servono a far sì che la ricerca si traduca in un mezzo di trasporto sfiorano i cinque miliardi di dollari (per singolo modello). Sulla base di questi elementi, che valore dareste ad un’automobile costruita così?

Questi numeri, in realtà, non si riferiscono all’industria automobilistica ma a quella farmaceutica nella scoperta di nuove molecole e al complesso processo che permette di portare nuovi farmaci efficaci e sicuri ai pazienti. Ashutosh Jogalekar, dalle pagine di Scientific American, ha ripercorso in una serie di articoli, la strada lunga e impervia che collega la scoperta di una molecola attiva alla commercializzazione di un farmaco. I farmaci sono costosi, secondo Jogalekar, perché arrivare alla scoperta di un nuovo medicinale dal punto di vista scientifico è enormemente difficile e richiede molti anni di applicazione.

Si tratta di un’attività ad altissimo coefficiente di difficoltà in cui il tasso di fallimento si aggira intorno al 95% e tutto per la difficoltà di scovare e influenzare, ad esempio, il comportamento della proteina “giusta”.

Numerose malattie sono causate dall’alterata produzione di proteine coinvolte in varie funzioni cellulari e i farmaci agiscono anche legandosi alle proteine, modificandone la funzione, ma è difficile scoprire esattamente quali proteine siano coinvolte direttamente in una determinata malattia. Servono numerose indagini e sperimentazioni per verificare se una proteina è tra le principali cause di una patologia. Nel caso in cui una di esse venga individuata, non è poi scontato che possa effettivamente legarsi a una piccola molecola sintetica o magari di origine biotecnologica ed essere modulata e controllata dal farmaco.

È arduo individuare una proteina anche dopo aver passato al vaglio milioni di molecole, naturali o artificiali e, una volta superata questa fase, bisogna poi procedere per tentativi al fine di trasformarla in un farmaco efficace, che abbia il giusto rapporto idrofobia/idrofilia per entrare nelle cellule e che sia in grado di contrastare l’attività di quei sistemi, sempre proteici, che lavorano nella parete cellulare specificatamente per tenere lontani composti estranei.

Insomma, potremmo dire che il principale ostacolo, nel campo della ricerca farmaceutica è la complessità della biologia umana, risultato di milioni di anni di evoluzione. Anche se nell’ultimo secolo abbiamo assistito a grandi progressi nel campo della biologia, della chimica e della medicina, la strada da percorrere per garantire ai pazienti farmaci sempre efficaci che abbiano pochi effetti collaterali è ancora lunga.

Chiariamo però che gli investimenti dell’industria farmaceutica in R&S non sono l’unico fattore a determinare il prezzo finale, a cui contribuiscono molti altri, tra cui le spesso citate attività promozionali e, in genere, il marketing. Abbiamo l’obiettivo di ricordare quell’incognita di rischio industriale troppo spesso dimenticata quando si ha a che fare con la ricerca e sviluppo dei farmaci e del loro impatto economico ancora troppo legato a vecchi modelli aziendali. Infatti, con ogni probabilità, sarà la stessa comunità scientifica indipendente a generare delle risposte all’enigma costituito dagli enormi costi legati allo sviluppo dei farmaci.

Un esempio molto chiaro è quello di James Bradner, oncologo del Dana-Farber Cancer Institute, che nel 2010 ha deciso di testare un modo assolutamente innovativo per accelerare la scoperta di nuovi farmaci per il cancro. Bradner e il suo team hanno individuato nel 2010 una molecola, JQ1, con il potenziale per curare una rara forma di cancro. La caratteristica principale di questa molecola, un inibitore del bromodominio, è la capacità di disattivare i geni di crescita di una cellula tumorale di fare in modo che le cellule “dimentichino” di essere cellule tumorali e tornino ad agire come cellule normali.

Invece di brevettare la scoperta e tenerne segreti i dettagli sino allo sviluppo commerciale, il team di Bradner ha optato per il “crowd-sourcing”, inviando ad altri laboratori interessati in tutto il mondo i campioni del composto e rendendo disponibile la formula dopo aver pubblicato i propri risultati iniziali su Nature. JQ1 è stato inviato a circa 300 laboratori, 6 case farmaceutiche concorrenti e 4 governi, con una media di 2-3 richieste al giorno. Il potenziale dato dalla collaborazione libera degli scienziati è tutto da dimostrare, ma è una prospettiva stimolante e potenzialmente rivoluzionaria.

In un progetto di ricerca che ha unito un lato e l’altro dell’Atlantico, Stati Uniti e Regno Unito, i ricercatori guidati dal Prof. Peter Coveney hanno dimostrato che è possibile acquisire la sequenza genomica di un paziente, usarla per costruire la struttura tridimensionale di una sua proteina e farla “combaciare” con il miglior farmaco disponibile tra quelli relativi a una specifica patologia. In altre parole, poche ore di calcoli effettuati dai “supercomputer” potrebbero sostituire anni di esperimenti in laboratorio, consentendoci, in un futuro non troppo lontano di rendere disponibili farmaci ancora più efficaci e - perché no? - meno costosi.

Luca Pani
Direttore generale Aifa - Agenzia italiana del farmaco

(Fonte: www.agenziafarmaco.gov.it)

19 febbraio 2014
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