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Pressione arteriosa. Rdurre la ‘massima’ sotto 120 mmHg protegge da eventi cardiovascolari


Uno studio presentato alle Scientific Sessions del meeting dell’American Heart Association ha evidenziato come un intervento intensivo per ridurre la pressione “massima” negli adulti ipertesi porti a una significativa riduzione del rischio di morte, di ictus e di altri eventi cardiovascolari.

15 NOV - Rispetto al target terapeutico standard di 140 mmHg, “portare” la pressione sistolica sotto i 120 mmHg ridurrebbe maggiormente il rischio di morte, infarto, ictus e altri eventi cardiovascolari negli adulti ad alto rischio e ipertesi. È quanto emerge da una ricerca presentata alle Scientific Sessions del meeting dell’American Heart Association, che si è tenuto a Philadelphia dall’11 al 13 novembre.

Per l’indagine sono stati coinvolti 11.255 adulti del trial ESPRIT, condotto in Cina. I partecipanti avevano una pressione sistolica compresa tra 130 e 180 mmHg e una malattia cardiovascolare accertata o almeno due o più fattori di rischio cardiovascolari.

I pazienti sono stati randomizzati a ricevere un trattamento intensivo per ridurre la pressione arteriosa sistolica, comunemente nota come ‘massima’, a valori inferiori a 120 mmHg, o a un trattamento standard, per il quale il target era di 140 mmHg. Il tutto per un periodo complessivo di tre anni. I farmaci antipertensivi sono stati prescritti in entrambi i gruppi: il primo gruppo ha ricevuto un maggior numero di farmaci e a dosi più elevate.
Le evidenze
Dopo due anni i partecipanti al gruppo di trattamento intensivo avevano conseguito risultati significativamente migliori rispetto a quelli che ricevevano cure standard. In particolare, la strategia intensiva era riuscita a prevenire il 12% di infarti, ictus, procedure di rivascolarizzazione, morte per cause cardiovascolari e ricoveri per insufficienza cardiaca, a ridurre del 39% i decessi per cause cardiovascolari e del 21% i decessi per qualsiasi causa.

Non è stata riscontrata alcuna differenza significativa negli eventi avversi gravi come ipotensione, anomalie elettrolitiche, cadute accidentali, danni e insufficienza renale. L’effetto dell’intervento intensivo è stato positivo “indipendentemente dallo stato di diabete o dalla storia di ictus”, come ha sottolineato Jing Li, del National Center for Cardiovascular Diseases di Pechino, in Cina, che ha presentato lo studio.

Fonte: American Heart Association – Scientific Sessions

15 novembre 2023
© Riproduzione riservata

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