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I vaccini terapeutici contro il cancro

di Fabrizio Anatra

Si applicano per ora soltanto ad alcuni tipi di tumore solido come il melanoma (somministrato nei giorni scorsi, per la prima volta su un paziente italiano, all’Istituto Pascale di Napoli), il carcinoma del colon-retto, il carcinoma polmonare non a piccole cellule, il carcinoma mammario, quello ovarico, il tumore del pancreas). Trovare, infatti, bersagli specifici per i tumori non è sempre facile

29 GEN - Già da qualche decennio la scienza è impegnata nello sviluppo di sistemi che possano realizzare vaccini contro il cancro sfruttando la tecnologia a mRNA, la stessa che ha consentito la produzione dei principali vaccini contro il CoVid attualmente commercializzati. La tecnologia a mRNA, infatti, oltre ad essere rapida e sicura, presenta il grande vantaggio di poter sfruttare uno stesso impianto per più ricerche finalizzate a scopi diversi. L’RNA messaggero è una sorta di “postino” che trasmette alle cellule del corpo umano importanti informazioni genetiche per la produzione di specifiche sostanze proteiche (antigeni). Dopo poche ore, l’mRNA, una volta consegnato il suo messaggio, viene degradato e scompare.

Con l’avvento della pandemia, grazie anche ai generosi stanziamenti di fondi da parte di enti nazionali e internazionali a favore della ricerca scientifica, l’interesse degli studi si era tuttavia quasi completamente spostato su piattaforme già esistenti da adattare al profilo genetico di SarS-CoV-2. La convergenza degli sforzi della ricerca verso quest’unico obiettivo e la possibilità di avere a disposizione una tecnica già collaudata in altri settori della ricerca, ha consentito così di realizzare i primi vaccini anti-CoVid in tempi estremamente rapidi e, per certi versi, veramente sorprendenti. In questo senso, la pandemia ha dato notevole impulso alla tecnologia basata sull’mRNA che, adesso, è tornata ad essere sperimentata in campo oncologico per la ricerca di vaccini terapeutici contro il cancro.

Quando una cellula normale si trasforma in cellula cancerosa, inizia a presentare sulla sua superficie proteine anomale. Generalmente, il sistema di sorveglianza immunitaria riconosce questi antigeni come estranei all’organismo ed alcune sue cellule killer bersagliano le cellule anomale che li producono, uccidendole. Le difese immunitarie sono costantemente attive nella loro funzione, ma potrebbe capitare che, in alcuni casi, non siano in grado di eliminare precocemente e totalmente le cellule cancerogene che hanno così la possibilità di replicarsi e di diffondere nell’organismo.

I vaccini contro il cancro possono operare con una doppia modalità d’azione. La prima tecnica in corso di sperimentazione è la più efficace perché altamente individualizzata e calibrata sulla specifica patologia tumorale di un paziente. Una seconda tecnica, più sostenibile rispetto ad un vaccino “ad personam”, ma sicuramente meno efficace, prevede invece un trattamento standard uguale per tutti, con vaccini già “pronti all’uso” che recano alle cellule mRNA codificante per proteine target comuni a forme geneticamente diverse di una stessa forma tumorale.

Con l’approccio personalizzato, invece, dapprima vengono prelevati campioni di tessuto tumorale (anche dopo l’eventuale rimozione chirurgica della massa principale); si sequenziano quindi le mutazioni tipiche del tumore, differenziando (tramite tecniche di intelligenza artificiale e informatica) il DNA delle cellule cancerose da quello delle cellule sane; si identificano porzioni di materiale genetico del tumore codificanti per alcune proteine specifiche; infine, viene progettata una molecola di RNA messaggero che verrà inclusa nel vaccino. Per questo passaggio sono necessarie dalle quattro alle otto settimane.

Dopo la somministrazione del vaccino, il filamento di mRNA stimola alcune cellule del paziente a produrre in serie le proteine individuate come specifiche del tumore. I frammenti che si creano vengono analizzati e riconosciuti come estranei dalle cellule di sorveglianza immunitaria che, perlustrando l’organismo, si attivano anche per distruggere eventuali cellule cancerose (anche metastatiche) che dovessero presentare sulla superficie quegli stessi antigeni. Una delle caratteristiche del cancro, infatti, è che attiva segnali che indicano al sistema immunitario del paziente di disattivarsi perché il tumore non venga individuato. Il vaccino, in questo caso, non fa altro che amplificare e potenziare l’azione dell’immunità assumendo una valenza terapeutica. Naturalmente, i vaccini a mRNA possono essere utilizzati anche in combinazione con altri tipi di trattamenti (chemioterapia, radioterapia, immunoterapia) per aumentare l’efficacia terapeutica e la probabilità di guarigione dei pazienti.

Il vaccino a mRNA in campo oncologico, si applica per ora soltanto ad alcuni tipi di tumore solido come il melanoma (somministrato nei giorni scorsi, per la prima volta su un paziente italiano, all’Istituto Pascale di Napoli), il carcinoma del colon-retto, il carcinoma polmonare non a piccole cellule, il carcinoma mammario, quello ovarico, il tumore del pancreas). Trovare, infatti, bersagli specifici per i tumori non è sempre facile perché alcune proteine pur essendo anomale nella loro struttura e nella loro funzione, potrebbero risultare simili a quelle normali ed il vaccino risultare, di conseguenza, non completamente selettivo. Il cancro, sotto questo aspetto, è molto più difficile da affrontare rispetto a una malattia infettiva.

Fabrizio Anatra
Medico Pneumologo

29 gennaio 2024
© Riproduzione riservata

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