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Guerra totale all’obesità. The Lancet suona la carica

di Maria Rita Montebelli

Il mondo è sempre più ‘pesante’, ma allo stesso tempo malnutrito. E i numeri della pandemia di globesity sono da allarme rosso. La Gran Bretagna inizia l’anno con un’ampia riflessione sull’argomento, che coincide con la pubblicazione di una serie di rapporti. E Lancet dedica all’argomento un editoriale, che non risparmia colpi a nessuno: né ai governi, né all’industria, né alle organizzazioni internazionali

18 GEN - Gennaio è tradizionalmente, il mese in cui tutti pensano e parlano di diete, spinti dai complessi di colpa del dopo-vacanze. Quest’anno però, almeno in Gran Bretagna, c’è un motivo in più per riflettere sull’argomento ‘dieta’. E in maniera molto seria.
Mentre la pandemia di globesity continua ad espandersi e a mietere vittime, in questi giorni la Gran Bretagna si trova infatti a riflettere sui nuovi dati pubblicati da UK Diabetes, Cancer Research UK e UK Health Forum che delineano le dimensioni del problema obesità e diabete in questo Paese. E il quadro che ne scaturisce è decisamente preoccupante, sia in termini clinici che economici.
 
Essere obesi o in sovrappeso è un’importante causa di morbilità precoce prevenibile e di mortalità e impone un onere economico significativo sul sistema sanitario nazionale (NHS). Così esordisce il documento ‘Tipping the scale. Why preventing obesity makes economic sense’, redatto a quattro mani da Cancer Research Uk e da UK Health Forum. L’obesità ha tante ricadute negative; le proiezioni per il 2035 ad esempio parlano di 700 mila nuovi casi di tumore causati dall’essere in sovrappeso/obesi.
 
Sempre in questi giorni, Diabetes UK ha pubblicato i nuovi numeri del diabete, calcolati dalle schede dei Medici di famiglia
. I cittadini di sua Maestà britannica affetti da diabete sono oggi 4,05 milioni, quasi 120 mila in più rispetto allo scorso anno e ben il 65% in più rispetto a dieci anni fa. Le ricadute di questa epidemia sono 24 mila morti precoci l’anno e un pesante carico di disabilità, derivante dalle complicanze del diabete, che da sole assorbono l’80% dei 10 miliardi si sterline che ogni anno il NHS destina a questa condizione.
 
Lancet dedica sul suo ultimo numero un editoriale di commento a questi rapporti. Parte dalla constatazione che sebbene l’obesità rappresenti una voce importante nell’agenda della salute pubblica di molte nazioni da almeno un decennio, finora non si sono vista grandi risultati.
“L’obesità è una forma di grave malnutrizione” scrivono gli esperti di Lancet, ricordando come l’Advisory Committee delle Linee guida sulla dieta americane del 2015 faccia notare come la popolazione americana sia carente di una serie di nutrienti vitali, quali vitamine A, D, E e C, folati, calcio, magnesio, fibre, potassio e ferro. Ma questo sembra passare del tutto inosservato, mentre di certo, se i due terzi della popolazione americana fossero affetti un’evidente forma di malnutrizione o da anoressia nervosa, verrebbe dichiarata subito l’emergenza nazionale. Insomma è un po’ come nel Piccolo Principe di Saint Exupery: ‘l’essenziale è invisibile agli occhi’.
 
Di fronte ai numeri contenuti in questi documenti, dagli Usa all’Europa si sta riaccendendo la febbre della sugar tax, che in Gran Bretagna viene invocata come pilastro imprescindibile nella lotta all’obesità infantile. Una strategia, che ovviamente va a cozzare con gli interessi dell’industria alimentare e dei produttori di soft drink, lobby potentissime che in Gran Bretagna hanno portato ad esempio a ritardare la pubblicazione del rapporto di Public Heath EnglandSugar Reduction: the evidence for action’ e in altri Paesi a cancellare o a rigettare questa forma di tassazione.
 
Di certo - riflettono gli esperti di Lancet – questa tassa rappresenta una misura concreta nella lotta all’obesità, ma di certo non esaustiva. L’obesità è il risultato di un ambiente obesogeno, mantenuto e rinfocolato dall’industria alimentare, che continua a sfornare cibo il più economico possibile ma povero di sostanze nutritive, denso di calorie e ultra-processato; ma è causata anche da uno stile di vita sempre più sedentario.
 
Per prevenire e trattare l’obesità c’è dunque bisogno non di iniziative spot, come la sugar tax, ma di strategie omnicomprensive, ben concertate, urgenti e decise, che di certo andranno a urtare contro molti interessi. Questa dichiarazione di intenti trova sempre tutti d’accordo. Ma poi in realtà, si finisce col bloccarsi al primo passo, affondando nelle sabbie mobili degli interessi di grandi lobby, come accade appunto con la sugar tax.
 
E il rapporto 2016 Global Access to Nutrition Index, pubblicato lo scorso 14 gennaio da Access to Nutrition Foundation (ATNF, un’organizzazione non-profit indipendente con sede in Olanda con lamission di valutare e migliorare il contribuito del settore privato nelle sfide della nutrizione globale) stila una classifica delle 22 principali aziende alimentari, sul contributo dato nella lotta all’obesità e alla sottonutrizione (al primo posto nella classifica dei ‘volenterosi’ spicca Unilever) , giungendo all’amara constazione che i passi in avanti fatti finora dalla food industry sono veramente molto lenti.
 
Insomma la lotta all’obesità e al diabete, a livello di strategie nazionali, va portata avanti contemporaneamente da diversi attori, deve vedere il coinvolgimento di diversi dipartimenti (salute, educazione, industria, trasporti, urbanistica), oltre che dell’industria privata e deve viaggiare sui binari paralleli del trattamento, ma soprattutto della prevenzione. L’obiettivo è di assicurare alla popolazione un facile accesso a cibo sano e alla possibilità di svolgere attività fisica. I dipartimenti dell’economia, degli affari e dell’industria dovranno inoltre essere ritenuti responsabili delle ricadute sulla salute delle loro politiche.
Ma naturalmente anche le famiglie hanno un ruolo importante. Qualunque intervento per contrastare l’obesità infantile è destinato a naufragare senza il loro coinvolgimento.
 
L’obesità insomma, concludono gli esperti di Lancet, ha bisogno di ricevere molta più attenzione di quella che oggi governi e organizzazioni internazionali sono pronte a riservarle. E l’obiettivo di introdurre la sugar tax, pur rappresentando un piccolo passo nella giusta direzione, non dovrebbe distrarre dal pianificare strategie di più ampia e incisiva portata.
 
Maria Rita Montebelli

18 gennaio 2016
© Riproduzione riservata

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