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Cancro al seno. Inibitori aromatasi non aumentano rischio di ischemia cardiaca

di Marilynn Larkin

Le pazienti con cancro al seno trattate con inibitori dell’aromatasi (AIs) non sembrano essere a maggior rischio di ischemia cardiaca o ictus rispetto a quelle cui è stato somministrato il tamoxifene. È quanto sostiene uno studio pubblicato su ‘Jama Oncology’, in cui i ricercatori evidenziano tuttavia che l’uso di AI è stato associato a problemi cardiaci meno gravi.

02 MAG - (Reuters Health) -“Il lavoro colma un gap di conoscenza importante riguardo l’associazione a lungo termine degli inibitori dell’aromatasi con il rischio di malattia cardiovascolare nei sopravvissuti al cancro al seno – spiega Reina Haque del Southern California Permanente Medical Group – Questi farmaci orali sono utilizzati per combattere la recidiva del tumore mammario, ma possono avere effetti collaterali a lungo termine su altri organi”.
 
Per studiare gli effetti sui rischi cardiovascolari di terapie endocrine adiuvanti nelle sopravvissute al cancro al seno, Haque e colleghi hanno esaminato i dati di oltre 13 mila donne in post-menopausa senza storia di malattia cardiovascolare (CVD). Alle partecipanti allo studio è stato diagnosticato il cancro al seno tra il 1991 e il 2010 e sono state seguite fino al 2011 (il follow up totale è stato di 72.886 persona-anno, con una media di 4,5 anni). Gli effetti cardiovascolari tossici sono stati suddivisi in quattro gruppi: ischemia cardiaca, ictus, insufficienza cardiaca e cardiomiopatia, altri eventi (disritmia, disfunzione valvolare e pericardite).

Le pazienti sono state classificate in quattro categorie in base alla terapia endocrina: solo tamoxifene, solo AI, entrambi oppure nessuno dei due. La durata media del trattamento è stato di 2,8 anni con tamoxifene e 2,3 anni con AI.

I risultati
La metà delle donne ha raggiunto la fine dello studio e il 28% ha sviluppato CVD nel periodo di follow up. Analisi multivariate hanno mostrato che chi ha ricevuto solo AI ha avuto un rischio di ischemia cardiaca (hazard ratio aggiustato, 0.97) e ictus (aHR, 0,97) simile a chi ha preso solo il tamoxifene. Gli autori hanno però riportato un significativo aumento del rischio di altri eventi cardiovascolari (aritmie, disfunzione valvolare e pericardite) nelle donne che hanno utilizzato solo AI (aHR, 1.29), entrambi i farmaci (aHR, 1.26) o non hanno assunto ormoni (aHR , 1.18) rispetto a chi ha preso solo tamoxifene.
“I risultati rassicurano sul fatto che gli inibitori dell’aromatasi non aumentano il rischio di eventi cardiovascolari potenzialmente fatali rispetto al tamoxifene – osserva Haque – Tuttavia, lo studio ha trovato un piccolo ma crescente rischio di altri eventi cardiovascolari. Per la scarsità di dati disponibili, il lavoro non ha potuto considerare il peso corporeo, il fumo o di altri elementi dello stile di vita che potrebbero aver influenzato queste associazioni”.

I commenti
“Questo studio è stato progettato per aumentare la comprensione dei rischi di malattia cardiovascolare nei sopravvissuti di cancro al seno i cui tumori sono stati principalmente trattati con la soppressione ormonale – ricorda Charles Porter, cardioncologo alla University of Kansas Hospital (Kansas City) – È stata effettuata la regolazione statistica per la presenza o l’assenza di fattori di rischio di malattia cardiovascolare come ipertensione, diabete e uso di statine (un farmaco per la diagnosi di colesterolo elevato), ma non è stata resa disponibile alcuna informazione su un altro fattore di rischio, l’esercizio fisico”.

“Non c’era alcuna informazione sulla gravità dell’ipertensione, sul diabete o sull’aumento di colesterolo e mancavano i dati sul successo della terapia nel raggiungere gli obiettivi di trattamento per l’ipertensione o il diabete – continua Porter, che non è stato coinvolto nella ricerca – Carenti anche le informazioni sull’appropriatezza di dosi e tipo di statine utilizzate nelle diverse popolazioni”.

“I risultati dello studio sono stati in parte discordanti rispetto al fatto che l’ischemia miocardica – che è associata a un aumentato rischio di insufficienza cardiaca – sia minore con AI, ma l’incidenza di insufficienza cardiaca e cardiomiopatia è aumentata nella stessa popolazione”, osserva Porter, che aggiunge: “La conclusione degli autori che il rischio di eventi cardiovascolari più gravi – ischemia cardiaca o ictus – non è stato elevato nel gruppo trattato solo con AI rispetto a quello che ha preso il tamoxifene potrebbe essere dibattuta quando il rischio di mortalità cardiovascolare non è riportato”.

Secondo l’esperto, lo studio contiene alcuni messaggi importanti per i malati di cancro e i loro medici. “Questo lavoro dimostra che i fattori di rischio cardiovascolare sono comuni nella popolazione con cancro al seno, indipendentemente dal tipo di trattamento scelto per il tumore. L’incidenza e la gravità della malattia cardiovascolare in questa popolazione non era banale, indipendentemente dal fatto che AI o tamoxifene fossero inclusi nel trattamento. A prescindere dallo stato attuale delle conoscenze su quale trattamento per il cancro si dovrebbe scegliere, alla valutazione globale dei rischi cardiovascolari all’inizio della terapia deve seguire l’ottimizzazione dei fattori di rischio cardiovascolare durante e dopo il trattamento”.

“Ignorare i fattori che contribuiscono allo sviluppo di complicanze della malattia cardiovascolare nelle pazienti con cancro al seno poteva essere normale quando il tumore mammario era considerato una condanna a morte, ma questo atteggiamento ora merita di essere sradicato con lo stesso vigore con cui viene perseguita l’eliminazione del cancro al seno”, conclude Porter.

Fonte: JAMA Oncol 2016

Marilynn Larkin

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Sciecne)

02 maggio 2016
© Riproduzione riservata

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