HIV: e se la soluzione fosse a livello cellulare?
Uno studio inglese apre forse la strada allo sviluppo di un nuovo farmaco per la cura della sindrome da immunodeficienza acquisita. La chiave? Si chiama SAMHD1 ed è una proteina che abbiamo già nell’organismo, all’interno delle nostre cellule.
09 NOV - A fermare una delle epidemie che più ha preoccupato negli ultimi decenni, quella di AIDS, potrebbe essere una semplice proteina contenuta nel nostro corpo. Questa la sorprendente scoperta dei ricercatori dell’Università di Manchester e del Medical Research Council’s National Institute for Medical Research di Londra e pubblicata su Nature. Gli scienziati pensano infatti che la proteina SAMHD1, che si trova naturalmente nell’organismo umano, possa prevenire la replicazione del virus HIV e dunque essere usata per sviluppare nuovi farmaci per il trattamento dell’infezione.
Secondo lo
studio, la proteina SAMHD1, altamente espressa nelle cellule dendritiche nel nostro corpo, sarebbe infatti capace di bloccare la replicazione del retrovirus in alcuni globuli bianchi chiamati mielociti. I ricercatori si sono dunque chiesti se sia possibile creare un farmaco che imita questo processo biologico e che dunque possa bloccare la diffusione del virus dell’immunodeficienza umana. E quindi lo sviluppo dell’AIDS. “Quella che deriva dal virus HIV-1 è una delle malattie croniche più diffuse su tutto il pianeta, capirne la biologia è fondamentale per lo sviluppo di nuovi composti antivirali”, ha commentato Michelle Webb della Scuola di Biomedicina dell’Università di Manchester, che ha condotto lo studio.
I ricercatori hanno scoperto che la proteina SAMHD1 funziona come fattore di restrizione per la replicazione del virus. In particolare la blocca degradando i deossinucleotidi, le molecole che sono alla base del processo. In questo modo il virus non si può più diffondere nelle cellule circostanti e il processo di infezione si ferma.
Gli scienziati non sanno però ancora bene come funzioni la proteina, a livello molecolare. “Lo vorremmo capire con maggiore precisione – ha commentato Ian Taylor, dell’MRC National Institute for Medical Research – dobbiamo definire il comportamento molecolare di SAMHD1 per poter sviluppare un nuovo trattamento terapeutico per l’HIV-1. Se ci riusciremo, come stiamo tentando di fare, forse potremo finalmente sviluppare anche un vaccino per questa terribile malattia”.
Laura Berardi
09 novembre 2011
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