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La maggiorazione oraria in favore di medici è illegittima in assenza di previsione e controlli

di Fernanda Fraioli

La Corte dei conti ha riaffermato che l’erogazione della maggiorazione oraria in favore dei medici di continuità assistenziale, in assenza di reali nuove progettualità, costituisce danno erariale di cui devono rispondere coloro che hanno contribuito a formarlo.

09 NOV -

Ancora una volta, la Corte dei conti, in totale conferma di una posizione già assunta in merito, ha riaffermato che l’erogazione della maggiorazione oraria in favore dei medici di continuità assistenziale, in assenza di reali nuove progettualità, costituisce danno erariale di cui devono rispondere coloro che hanno contribuito a formarlo.

Ciò ha comportato, da parte dei giudici d’appello, un’approfondita valutazione dell’apporto causale sia da parte del personale della ASL, sia dell’apparato regionale i cui esponenti non sono stati coinvolti nell’azione di responsabilità da parte dell’organo inquirente.

Questa è stata anche l’occasione per la Sezione di precisare le difformità da precedenti casi caduti sotto la propria lente che – seppur invocati dalle difese per lucrarne l’assoluzione dagli addebiti mossi – per quanto facili ad assimilarsi, in realtà vantavano presupposti fattuali assolutamente differenti da quelli esaminati nella fattispecie esaminata.

Nel caso evocato, infatti, la domanda della Procura era stata rigettata in quanto – diversamente dal caso che stiamo commentando – la maggiorazione era stata erogata "……...in presenza di attività ulteriori rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva, correttamente concordate e formalizzate...".

Nel caso all’esame, invece, l’addebito è consistito proprio in questo, ovvero nell’aver erogato la maggiorazione oraria in favore dei medici di continuità assistenziale in maniera svincolata dalla previa fissazione, nelle competenti sedi istituzionali, di nuovi e competitivi progetti supplementari, fonte di più gravoso impegno per i lavoratori interessati, in aperto ed insanabile contrasto con il chiaro e puntuale quadro normativo e contrattuale di riferimento peraltro stimato come chiaro e specifico in tutti i suoi aspetti (legislativo, contrattuale ed aziendale).

È infatti appena il caso di ricordare che il contesto normativo di riferimento (l’art. 8, co. 1, lett. d), d.lgs n. 502/1992,) ha demandato la disciplina del rapporto tra il SSN ed i medici di medicina generale – compresi quelli che prestano il servizio di continuità assistenziale che per espresso disposto costituzionale rappresentano un'articolazione della medicina generale – ad apposite convenzioni triennali, conformi agli accordi collettivi nazionali ai sensi dei quali il compenso spettante al medico è articolato in una quota fissa e in una quota variabile, quest'ultima, legata a prestazioni ed attività previste da accordi (nazionali e regionali), funzionali allo sviluppo di specifici programmi.

Parallelamente, l’intervento dell’organo regionale consiliare aveva approvato un ordine del giorno volto ad impegnare il Presidente della Giunta e l’Assessore alla sanità a convocare i soggetti istituzionali, al fine di addivenire ad un accordo per migliorare quello che era stato definito “il dequalificante trattamento economico” dei medici di C.A., individuato come principale causa della cronica carenza di tali operatori e delle problematiche che ne derivavano nell’erogazione del servizio.

Ciò aveva portato ad una delibera di Giunta che recepiva l'Accordo integrativo regionale per il servizio di continuità assistenziale, che, fra l’altro, prevedeva il riconoscimento, su tutto il territorio regionale, di “una quota aggiuntiva pari a 5 euro sulla quota oraria del servizio di continuità assistenziale, a fronte della relativa rilevazione epidemiologica o altre eventuali progettualità, da concordarsi a livello aziendale”, successivamente alla quale l'Accordo collettivo nazionale (A.I.C.) aveva disciplinato il trattamento economico/onorario professionale per ogni ora di attività svolta dai medici di continuità assistenziale e regolamentato i compiti di tali medici, prevedendo, tra l'altro, quote variabili aggiuntive di compenso, analogamente agli altri medici di medicina generale che ad esse partecipano.

Era, altresì, stata prevista la costituzione, presso ciascuna azienda, di un Comitato aziendale permanente, composto da rappresentanti dell'Azienda ed esponenti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale e preposto, tra l'altro, alla “definizione degli accordi aziendali, ad esprimere ogni altro parere e ad espletare ogni altro incarico attribuitogli dal presente accordo o da accordi regionali o aziendali”, mentre un successivo accordo aveva imposto alle ASL di definire e concordare, entro 6 mesi, con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, “le progettualità (...) le modalità di verifica del raggiungimento degli obiettivi e di corresponsione della relativa remunerazione”, con la previsione del deferimento della questione al Comitato regionale per l'ipotesi di non compiuta definizione degli accordi alla scadenza.

A seguire, una delibera di recepimento del Direttore Generale.

E, conseguentemente veniva avviata la corresponsione della porzione aggiuntiva della quota oraria per il servizio di C.A. previsto come remunerazione della rilevazione epidemiologica, attività che si prevedeva dovesse essere svolta attraverso la compilazione di un modello informativo ritenuto lo strumento idoneo alle rilevazioni epidemiologiche-statistiche degli interventi effettuati e demandata ai medici di C.A. la compilazione dello stesso al fine di rilevare: il numero delle richieste di accesso al servizio, la tipologia delle prestazioni (richiesta parere medico, visite domiciliari, ricettazione, ecc.) e le patologie di più frequente riscontro per dare compimento al progetto epidemiologico.

L’erogazione era proseguita senza ulteriori rimodulazioni del progetto e trascurando l’A.I.R. che obbligava ad appositi accordi per definire progettualità e verifiche in ordine al raggiungimento degli obiettivi pervenuti solo molto dopo con oggetto la “revisione degli indicatori e la verifica del raggiungimento dell’obiettivo sulla corresponsione della quota oraria aggiuntiva di 5,00 euro prevista dalla DGR”.

Gli esborsi sostenuti a titolo di quota oraria aggiuntiva, così gestiti, hanno integrato una spesa inutile perché non funzionale alle finalità che avrebbero dovuto giustificarla e, perciò, ritenuta dannosa per l’erario aziendale posto che “la preventiva fissazione delle attività cui legare l’erogazione della maggiorazione oraria non rappresenta un dato meramente formale, ma un elemento/presupposto sostanziale che condiziona e rende possibile la stessa erogazione”, hanno statuito i giudici contabili.

Insomma, non un dato formale, ma una condizione di liceità della spesa così sostenuta per essere la stessa indissolubilmente legata al raggiungimento di specifici obiettivi, aggiuntivi rispetto ai compiti ordinariamente espletati dai medici di continuità assistenziale la cui prevista valutazione è finalizzata all’adeguatezza a creare valore aggiunto per l’Amministrazione.

In questo caso, invece, è mancata l’individuazione di specifiche attività, aggiuntive rispetto agli ordinari compiti che il servizio di C.A. ordinariamente imponeva, unitamente alla predisposizione di un serio meccanismo di verifica della loro concreta realizzazione, oltre anche all’implementazione di sistemi di controllo dell’efficiente impiego delle risorse economiche aggiuntive.

L’assenza di previa definizione, previsto dalla normativa di riferimento a livello istituzionale (Comitato aziendale), di nuove e “sfidanti” progettualità, ha portato i giudici contabili a ritenere priva di ogni utilità l’erogazione del compenso aggiuntivo.

A nulla valendo quanto sostenuto dalle difese, al preciso fine di diminuire l’ammontare del lamentato danno, circa gli eventuali recuperi dai percettori, nonostante una sua indubbia valenza posto che di ciò si tiene debitamente conto, ma in sede di esecuzione della sentenza di condanna.

Al contempo, è stata anche l’occasione per precisare che i medici percettori – pur se materialmente beneficiari della prebenda costituente danno erariale – di fatto non possono essere tacciati di responsabilità amministrativa alcuna in quanto nell’intera dinamica causale non hanno avuto alcun ruolo nella verificazione del danno medesimo.

Danno che è stato, quindi, correttamente ascritto unicamente a coloro che hanno consentito e reso possibile il perdurare della contestata erogazione.

Alcuna utilità, infine, è stata possibile riconoscere – nonostante le difese vi abbiano fatto ricorso – ai vantaggi derivati all’Amministrazione in quanto non dimostrati nella loro entità e non direttamente ed immediatamente riconducibili all’illecito contestato, condizione che la norma pone per una loro eventuale valutazione sotto tale aspetto.

Quanto, infine, all’ammontare degli importi da rifondere da ciascuno, in disparte le decurtazioni operate dal primo giudice, in grado di appello la Corte dei conti ha ritenuto di dover valutare anche l’apporto causale che l’amministrazione regionale ha avuto nella vicenda.

Il giudice territoriale ha ritenuto di considerare tale profilo ai fini dell’esercizio del potere riduttivo in quanto l’apparato dell’Amministrazione regionale, a vari livelli, a fronte della constatata esistenza di una situazione problematica (scarsa propensione dei medici a dedicarsi ai servizi di continuità assistenziale), ha assistito alle incongrue soluzioni gestorie adottate dalle varie aziende sanitarie operanti nel territorio, senza intraprendere le iniziative di segnalazione e/o correzione che l’ordinamento di settore ad esso demandava, contribuendo a sostenere un avvio tutt’altro che fisiologico.

Vale a dire che entrambi i giudici – di primo e secondo grado – pur riconoscendo un apporto causale all’intera procedura di causazione del danno dell’apparato amministrativo regionale, in assenza di chiamata in giudizio da parte della Procura, non ha potuto far altro che considerare tale contributo ai fini della decurtazione della quota di danno da porre a carico di ognuno dei condannati stimandola nella misura del 40%.

La diversa connotazione del fatto generatore della responsabilità amministrativa, pur a fronte della comune caratteristica delle condotte di porsi continuativamente in contrasto con le regole di attribuzione di emolumenti incentivanti per attività ulteriori rispetto ai normali compiti istituzionali, ha portato i giudici d’appello della Corte dei conti ad operare dei distinguo nelle posizioni dei soggetti coinvolti e, quindi, sulle relative responsabilità.

Arrivando, così, ad una sua conferma nei confronti del Direttore dell’Unità operativa Medicina di base e Specialistica, per aver proposto e sottoscritto la deliberazione del Direttore Generale e, dunque, concorso con altri soggetti ad assumere un’iniziativa gestoria volta a consentire l’erogazione di importi, aggiuntivi rispetto al trattamento stipendiale, senza le indispensabili condizionalità che la disciplina di settore e le previsioni dei contratti collettivi imponevano, restando del tutto ininfluente l’aver svolto le funzioni di Direttore Sanitario continuativamente per un decennio.

Senza contare che, nel periodo di tempo esaminato, in qualità di sostituto delegato del Direttore Generale, aveva partecipato alle sedute del Comitato Aziendale, organo avente competenza a deliberare i progetti nei quali avrebbero dovuto essere coinvolti i medici di C.A., perfino approvando una bozza di accordo che individuava talune attività apparentemente condizionanti l’erogazione dell’indennità aggiuntiva (in realtà, già ricomprese nelle ordinarie mansioni: compilazione del registro di carico e scarico dei farmaci, sistematica e corretta compilazione del modello M, verifica, per ogni turno di presenza, delle attrezzature mediche e del loro funzionamento, con compilazione ed invio, al competente responsabile di Ambito, della scheda informativa per le carenze) ma che, comunque, non è stato poi attuato.

Tanto ha fatto emergere pur nella chiara consapevolezza dell’esistenza della problematica, il perdurare del sistema di erogazione a pioggia dell’indennità oraria aggiuntiva che egli aveva contribuito ad implementare.

Altrettanto responsabili sono stati ritenuti i componenti del Comitato Permanente Aziendale, organo al quale, in conseguenza della sedimentazione delle previsioni contrattuali, competeva la definizione di accordi aziendali approvativi della Revisione degli indicatori con verifica del raggiungimento dell'obiettivo sulla corresponsione della quota oraria aggiuntiva di € 5.00.

Revisione che, però, si è risolta in un intervento di rimodulazione solo formale dell’assetto esistente in quanto, accanto alla routinaria e già doverosa compilazione del Modello indicato, l’accordo aziendale ha previsto attività da tempo ordinariamente incombenti sui medici di C.A.

Inoltre, la “collaborazione attiva nelle campagne vaccinali”, malgrado rappresentasse l’unica attività annoverabile tra prestazioni aggiuntive ed ulteriori rispetto ai compiti ordinari, non è stata accompagnata dalla definizione di modalità di partecipazione, tempistiche e quantità di prestazioni, rimanendo così una mera enunciazione di disponibilità.

Infine, anche le previste verifiche mensili sul raggiungimento degli obiettivi si sono risolte nella compilazione di apposite tabelle (check-lists) nelle quali per ciascun medico veniva indicato se avesse partecipato all’attività corrispondente agli indicatori.

Riscontri, quindi, meramente formali, poco particolareggiati e insufficienti a consentire la rilevazione dell’effettivo svolgimento delle relative prestazioni che, al pari della deliberazione aziendale, non ha condizionato l’erogazione della maggiorazione dell’indennità oraria all’accertato svolgimento di compiti ulteriori rispetto a quelli normalmente richiesti ai medici di C.A., impedendo di pervenire all’incremento quali-quantitativo delle prestazioni che era l’obiettivo dichiaratamente perseguito dall’emolumento premiale.

Sono, invece, stati mandati assolti il Direttore sanitario ed il membro supplente del Comitato permanente aziendale per motivazioni differenti ma che entrambe conducono alla mancata partecipazione alla causazione del danno, come peraltro riconosciuto in udienza anche dallo stesso Procuratore Generale.

L’assoluzione del primo è stata giustificata dalla natura delle funzioni svolte in posizione apicale dell’Azienda sanitaria che esulavano dall’individuazione di progettualità alla cui realizzazione era poi subordinato il riconoscimento di emolumenti aggiuntivi, come nel caso di quelle richieste ai medici in C.A. al fine di ottenere la porzione aggiuntiva sulla quota oraria.

Difettando un’attribuzione in grado di consentire all’allora Direttore sanitario una fattiva cooperazione nella elaborazione ed attuazione della contestata soluzione gestoria, non è stata ritenuta configurabile, nei suoi confronti, alcuna censurabile condotta causativa del danno erariale.

L’assoluzione del secondo è stata giustificata dalla sua partecipazione al Comitato Permanente aziendale, di certo, quale membro supplente del titolare dell’incarico che, contrariamente alla regola che li vede presenti alternativamente al consesso, in realtà era presente ed ha esercitato appieno i propri poteri non consentendo, così, al supplente di compartecipare all’assunzione della contestata decisione, attesa, peraltro, che la sua partecipazione è stata del tutto occasionale in quanto presentava un proprio progetto innovativo (presa in carico domiciliare del paziente fragile, nonché altre due questioni trattate nella medesima seduta).

Siccome, ai sensi della legge cardine delle funzioni della Corte dei conti (art. 1, co. 1 - ter, della l. n.20/1994, “nel caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole”, a questi non poteva essere ricondotta alcuna responsabilità amministrativa per mancata comprova della sua partecipazione all’assunzione della contestata decisione.

Fernanda Fraioli

Consigliere della Corte dei conti



09 novembre 2023
© Riproduzione riservata


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