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Politiche farmaceutiche regionali. Indagine Ceis: "Manca un modello di riferimento"


L'obiettivo appropriatezza mette d'accordo tutti. Diffuso lo scetticismo sul ticket come strumento di governo del settore. Condiviso il bisogno di un quadro regolatorio nazionale. Ma difficile la collaborazione tra gli stokeholder. E se per l’Emilia Romagna il Prontuario regionale è un fattore di successo, per la Lombardia il successo sta nel non averlo. Ecco l'indagine Ceis.

18 MAG - In Italia stenta a delinearsi un modello per le politiche farmaceutiche capace di integrare razionalizzazione dell’offerta e governo della domanda, come anche politiche di welfare e politiche industriali. Queste la conclusione di Federico Spandonaro, coordinatore del Ceis Tor Vergata, dopo la lunga analisi dei risultati dell’indagine condotta sulle figure ritenute maggiormente rappresentative nell’ambito delle politiche farmaceutiche (a livello istituzionale, l’assessore o il direttore generale; a livello tecnico, il responsabile delle politiche del farmaco e il responsabile Sifo; a livello organizzativo il direttore generale di Asl/Ao e il responsabile aziendale dei servizi farmaceutici) di 9 Regioni (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto) per comprendere lo stato di attuazione, gli obiettivi, le criticità, le prospettive future delle politiche farmaceutiche regionali.

L’indagine, condotta con il grant incondizionato della Eli Lilly e presentata oggi in occasione del convegno Partnership anticrisi, le soluzioni dalla politica del farmaco promosso nell’ambito del ForumPA in corso a Roma, è stata svolta attraverso un’intervista composta da 17 domande e che ha coinvolto 45 persone. Nel dettaglio, 8 assessori/Dg Sanità (l’11% sul totale del campione), 9 responsabili delle politiche del farmaco(il 20%), 9 responsabili Sifo (il 20%), 4 Direttori generali di Asl (il 9%), 5 Direttori generali di Ao (l’11%), 10 responsabili del servizio farmaceutico (il 22%).

Il governo del settore farmaceutico è una priorità per le politiche regionali
Indubbiamente, quel che emerge dall’analisi, è che le politiche farmaceutiche rappresentano un elemento di grande importanza per tutte le figure coinvolte nell’indagine, anche se l’interesse è maggiore in base al ruolo ricoperto: sono una priorità per il 100% dei responsabili Sifo, dei Dg di Asl, per i Responsabili del servizio farmaceutico delle Asl e per i responsabili del servizio farmaceutico delle Ao, mentre scende intorno all’85% tra gli assessori e i Dg Sanità, scendendo all’80% tra i Dg delle Ao e ulteriormente (intorno al 65%) tra i responsabili delle politiche del farmaco.

In generale, l’86,6% degli intervistati percepisce che queste siano una priorità anche delle politiche della Regione di appartenenza, del resto, il rispetto dei tetti e gli adempimenti relativi ai piani di rientro in alcune regioni pongono il settore farmaceutico al centro delle manovre di razionalizzazione della spesa sanitaria. La percezione dell’attenzione da parte delle politiche regionali sul settore, tuttavia, scende al 60% circa tra i Responsabili dei servizi farmaceutici delle Ao.
A livello regionale, in particolare, ad attribuire una priorità media alle politiche del settore è il campione proveniente da Campania (25%), Puglia (33%) e Veneto (67%), anche se, in questo caso, spiega Spandonaro, con questa risposta “spesso gli intervistati avevano l’intenzione di rimarcare la necessità e la volontà di un intervento più forte sulle politiche farmaceutiche”.

Parola d’ordine: appropriatezza. Bocciato il ticket
Ma quali sono gli strumenti che, secondo gli esperti del settore, rivestono la massima importanza nell’ambito delle buone politiche farmaceutiche? La scala di priorità si differenzia in relazione al ruolo ricoperto dagli intervistati, ma resta comunque evidente come l’appropriatezza prescrittiva rappresenti un obiettivo prioritario e da implementare per tutte le figure e per tutte le Regioni. Altrettanto consenso, ma in senso negativo, è invece rivolto al ticket, considerato in media l’ultimo strumento a cui ricorrere, perché non ritenuto propriamente uno strumento di governo in grado di garantire appropriatezza quanto un elemento che rischia di generale iniquità e penalizzare alcune fasce della popolazione.

Tuttavia, come accennato, l’importanza attribuita ai diversi strumenti si differenziano a seconda del ruolo ricoperto. Per gli assessori e i Dg Sanità, infatti, più del ticket si può fare a meno della sperimentazione clinica e della logistica, meglio puntare, oltre che sull’appropriatezza, anche sull’Health Technology Assessment, strumento invece più trascurato dalle altre categorie, in particolare dai responsabili del servizio farmaceutico delle Ao, che la considerano, insieme al ticket, l’ultima arma.

I responsabili del servizio farmaceutico delle Asl sono invece gli unici a non ritenere prioritaria l’appropriatezza, ma a puntare bensì sulla distribuzione diretta e per conto.

Come l'esperienza regionale influisce sulle percezioni delle politiche migliori
Anche a livello regionale l’appropriatezza la fa da leoni, con eccezione della Campania. Le differenze maggiori a livello regionale non si notano però tanto tra gli strumenti ritenuti prioritari, quanto tra quelli considerati meno importanti. In Campania, ad esempio, a essere lasciata in disparte è l’informazione/formazione sul farmaco, nel Lazio è la sperimentazione clinica, in Puglia la logistica, in Lombardia i prontuari (che infatti non esistono), in Emilia, Toscana e Umbria i ticket, in Veneto ticket, File F e rischio clinico, in Sicilia le politiche sui farmaci biosimilari.

“Occorre tuttavia sottolineare – evidenzia Spandonaro – come le priorità risentano delle politiche attuate a livello regionale: significativo è come all’assenza di prontuari in Lombardia e alla non applicazione dei ticket farmaceutici in Emilia Romagna, Toscana ed Umbria (al momento in cui è stata effettuata l’intervista), corrisponde una priorità bassa nelle interviste”. Ancora più significativo, “nonché paradossale”, che per l’Emilia il Prontuario regionale sia uno strumento efficacissimo e un fattore di successo, mentre la Lombardia il successo sta nel non averlo. O che le compartecipazioni, prima valutati strumenti non validi per il governo della spesa, siano successivamente inclusi tra i fattori di successo di alcune Regioni in piano di rientro (Sicilia, Puglia e Campania).

“Appare chiara - secondo l’economista del Ceis - l’adesione dei rispondenti alle politiche in atto nel proprio contesto operativo, con un atteggiamento che potremmo definire ‘quasi ideologico’ rispetto all’efficacia delle politiche stesse”.

Analogamente nell’esercizio di allocazione delle politiche sui livelli di governo, appare chiaro come, su ogni altra considerazione, prevalga l’esperienza regionale: a riprova di ciò, solo nelle Regioni dove sono istituzionalizzate le Aree Vaste tale dimensione è considerata effettivamente utile per il governo dell’assistenza farmaceutica. Sembra inoltre abbastanza trascurata la dimensione aziendale, “a riprova – secondo Spandonaro - che il passaggio all’aziendalizzazione voluto dalla riforma degli anni ’90 è rimasta in larga misura sulla carta”. Ma “sorprende che la dimensione aziendale sia considerata ottimale più spesso nelle Regioni del Sud e in Piano di rientro”.

Necessaria una regolazione nazionale. Il federalismo non decolla
Non emerge, invece, alcuna regolarità nelle risposte tese ad indagare il primato fra opzione di regolazione nazionale e regionale: in generale si nota un concorde assenso sul fatto che sia necessario un quadro regolatorio nazionale, a garanzia dell’uniformità dei LEA, all’interno del quale, però, declinare regionalmente le politiche;  ma le preferenze non appaiono riconducibili ad un “peso” comune. Secondo Spandonaro “si potrebbe sintetizzare il fenomeno dicendo che il federalismo appare ancora in una fase interlocutoria, di transizione, senza che ancora si siano definiti equilibri stabili nella suddivisione dei ruoli”.

Sono in particolare le Regioni settentrionali ad essere più “centraliste” nei confronti dell’assistenza farmaceutica, e per l’esperto del Ceis questo “forse non è del tutto inaspettatamente, seppure in controtendenza con quanto avviene in altri ambiti quale quello ospedaliero perché anche qui, probabilmente, si tratta più di una traduzione dell’esperienza (ovvero una dimostrazione della maggiore solidità delle tecnostrutture delle Regioni ‘virtuose’), che di una vision riferita al modello di governo”.

Monitoraggio e controllo. Scarso quello sulla farmaceutica ospedaliera
Ritenuto in media soddisfacente il sistema di monitoraggio e controllo della farmaceutica convenzionata (per il 78% degli intervistati), ma ancora non adeguato quello relativo all’ospedaliera (carente per il 44% degli intervistati, discreto per il 33% e buono solo per il 22%).
La “soddisfazione” per lo stato di sviluppo dei sistemi di monitoraggio e controllo è minore nelle Regioni in Piano di Rientro. Prevedibile come le divergenze nelle risposte legate ai ruoli professionali, dove i tecnici puri appaiono essere più cauti nei giudizi di soddisfazione.

Gli intervistati dimostrano ampia consapevolezza del fatto che il controllo in campo farmaceutico è maggiore che negli altri ambiti, ma è ritenuto buona anche la capacità di governo del personale (buona per 73% degli intervistati con un picco dell’85% in Toscana) e dei ricoveri ospedalieri (anch’essa ritenuta buona dal 73% degli intervistati, con un picco dell’88% della Toscana e un minimo del 50% in Veneto ), mentre sono considerati insufficienti i sistemi di controllo e monitoraggio della specialistica (66%) e, ancor di più, sui consumi di dispositivi medici (50%), che risulta ancora in fase embrionale pressoché in tutte le Regioni indagate, con un valore minimo attribuito dagli intervistati dell’Emilia Romagna (30%).

Tuttavia, sia a livello di analisi regionale che a livello di analisi per ruolo ricoperto, è interessante costatare il permanere di una logica legata alla programmazione dell’offerta, in termini di quantità di ricette e dosi e di ammontare della spesa farmaceutica. Solo in Lombardia vengono citati indicatori standardizzati per i bisogni della popolazione.

Collaborazione tra i diversi attori del sistema. Necessaria, ma non diffusa
D’altra parte, la criticità più sentita rimane quella finanziaria. Ma all’interno della propria politica farmaceutica regionale, ad essere percepite come criticità sono anche e soprattutto la variabilità clinica e organizzativa, così come la bassa collaborazione con i professionisti. In Campania, in particolare, le figure considerate più collaborative sono le associazioni scientifiche dei professionisti e i pazienti, mentre i maggiori problemi sono attribuiti proprio ai medici di famiglia e ospedalieri, ma anche alle aziende farmaceutiche e ai rappresentanti del mondo accademico (categorie che ricevono voto “scarso” in termini di collaborazione dal 67% degli intervistati).
 
Di contro, Lombardia il giudizio peggiore in termini di collaborazione riguarda proprio i pazienti, che raccolgono il parere negativo del 40% degli intervistati, e in Emilia Romagna i più collaborativi sono i professionisti, mentre scarsa al 100% è considerata la collaborazione delle associazioni scientifiche, delle aziende farmaceutiche, delle farmacie convenzionate e del mondo accademico.

In Sicilia critiche in particolare nei confronti delle farmacie convenzionate (livello di collaborazione scarso per il 50%), mentre il Veneto è la Regione con i migliori livelli di collaborazione con tutte le categorie, con nessuna valutazione scarsa.

Il problema, in particolare, sembra risiedere nel conflitto di interesse delle Aziende, che molti ritengono si estenda anche alle associazioni dei pazienti e al mondo accademico.

I farmaci innovativi
Condiviso, anche, il giudizio sul problema dell’innovazione nel settore, che alla base delle criticità racchiude la mancanza di un adeguato filtro rispetto alle “false” innovazioni. Quasi tutti gli intervistati sono concordi nel ritenere che i criteri dell’Aifa non siano ottimali, permettendo così a farmaci “poco innovativi” di entrare ugualmente nel prontuario nazionale, e quindi in quelli regionali e ospedalieri. Un accesso indiscriminato che soprattutto per i problemi che genera in termini di sostenibilità economica e gestione di risorse già scarse.

 

18 maggio 2012
© Riproduzione riservata


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