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I medici e la guerra contro il Governo. L’importanza di colpire i bersagli giusti

di Cesare Fassari

26 OTT - Gentile dottor Troise,
questa legge di stabilità contempla o no l’aumento dei ticket? E’ questa la domanda alla quale ho cercato di rispondere con l’articolo da lei cortesemente citato. E la risposta, lo ripeto, è no (e questo lo dico per inciso anche alla dottoressa Di Tullio del Fassid). Contro questa legge si può dire di tutto ma penso che accusarla di cose che non dice sia un errore. Un errore non solo in sé e per sé ma anche strategico. In battaglia è meglio non sprecare munizioni, soprattutto quando se ne hanno poche. E sparare contro un ticket che non c’è mette in ombra gli altri bersagli. Quelli veri.
 
Prima di vedere quali sono questi bersagli, un ultimo chiarimento sul perché i ticket e la possibilità discrezionale delle Regioni di aumentarli, esiste “a prescindere” da questa legge di stabilità, come scrivevo l’altro ieri.
 
La stabilità, nel prevedere la cancellazione di Imu prima casa e altre imposte locali, si è voluta cautelare dal possibile (è già accaduto) ricarico di tasse sui cittadini in sede locale. Della serie: le tolgo a Roma e le rimetto a casa vostra. Tuttavia, anche e soprattutto per richiesta delle Regioni, dalla moratoria fiscale sono state escluse le addizionali locali ai fini del ripiano dei disavanzi sanitari. Le regioni in Piano di rientro potranno quindi aumentare le addizionali Irap e Irpef come possono fare da anni (a volte in automatico) per tamponare i buchi di Asl e ospedali.
 
Dire che oltre all’aumento delle addizionali scattino in automatico anche i ticket non è vero. E la prova è che in tutti questi anni i ticket hanno avuto un andamento regionale assolutamente indipendente dai Piani di rientro. Basta vedere Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana (quattro regioni che non sono mai andate in rosso e considerate tra le migliori per i loro servizi sanitari) che, nonostante i loro bilanci in attivo, hanno comunque scelto di mettere, e periodicamente aumentare, i loro ticket regionali su farmaci e prestazioni specialistiche.
 
Ma veniamo ai bersagli veri di questa manovra. A mio avviso sono due. La mancanza di fondi per il rinnovo dei contratti pubblici e delle convenzioni con il Ssn, tranne i pochi spiccioli per gli statali, con la decisione di rimandare ad altro provvedimento l’individuazione e lo stanziamento delle risorse. Un rinvio inaccettabile dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il blocco dei contratti.
 
Il secondo bersaglio da colpire è il non aver mantenuto gli impegni presi solo un anno fa con il Patto per la Salute e la precedente legge di stabilità che aveva programmato ben altri incrementi per le risorse del Ssn.
Tuttavia, anche in questo caso, è bene sapere contro chi va puntata la pistola. Per la questione contratti non c’è dubbio che il mirino può avere un solo bersaglio: il Governo.
 
Ma per l’altro bersaglio la faccenda si fa un po’ più complessa. Come sappiamo la prima crepa agli impegni del Patto per la Salute è stata causata dalla scelta regionale di prelevare il grosso dei fondi per il concorso alla finanza pubblica (circa il 60% del totale) dalla sanità. E questo quando le poste da colpire nei loro bilanci potevano essere e sono molte altre. E non, come lei ricorda, solo trasporti o servizi sociali, ma voci importanti e non di rilevanza sociale come i compensi ai consiglieri o i compensi per i consulenti esterni e molto altro ancora come scrissi, senza mai essere smentito, qualche tempo fa.
 
Rinunciare alla metà degli oltre 900 milioni l'anno che se ne vanno per le spese poltiche delle Regioni, relative al funzionamento dei servizi delle istituzioni e agli assegni ed indennità alla presidenza, compensi, indennità e rimborsi ai componenti gli organi collegiali delle Regioni (con compensi per ogni consigliere regionale stimati mediamente da lavoce.info attorno ai 200 mila euro l’anno), avrebbe per esempio significato mettere da parte quasi 500 milioni di euro (quanto costano i farmaci innovativi in un anno) e rinunciare per un anno a consulenti esterni di cui tutte le regioni sembrano non poter fare a meno, avrebbe significato risparmiare altri 800 milioni che, sommati ai 500, da soli già fanno più della metà del taglio di 2,352 miliardi del decreto enti locali di agosto scorso.
 
Demagogia? Non credo. Anzi, visto il clima anti regioni sarebbe stato un bel segnale per tutti. Ma non c’è solo questo. Nella scelta del Governo, perché di scelta si tratta e lei ha ragione a ribadirlo, di ridurre a solo un miliardo l’aumento del Fondo, si cela anche un altro fattore come ha candidamente ammesso lo stesso ministro Padoan pochi giorni fa. Rispondendo a Giannini a Ballarò, Padoan ha detto in sostanza che un miliardo in più è pure troppo visti gli sprechi nel settore della sanità.
 
Sprechi in sanità. Ecco un altro falso bersaglio contro il quale, con una strategia tanto miope quanto sospetta, tutti si sono scatenati negli ultimi tempi trascinando anche la nostra ministra Lorenzin che a ogni piè sospinto parla di 30 miliardi di sprechi in sanità da tagliare (l'ultima volta l'ha fatto lunedì scorso da Minoli a Radio 24).
 
Personalmente sono convinto che questa cifra sia pura fantasia (se non altro per il fatto che, se fosse vero, vorrebbe dire che, tolti gli sprechi, potremmo garantire la sanità con un'ottantina di miliardi l'anno) ma è musica alle orecchie di chi, come Padoan e Renzi, sono alla disperata ricerca di fondi per le loro politiche di rilancio dell’economia.
 
In fondo, questo il loro ragionamento facilmente deducibile dai loro interventi sul tema, se la stessa ministra e molti attori della sanità (vogliamo parlare della leggenda metropolitana dei 13 miliardi l’anno in fumo per la medicina difensiva?) sostengono che a casa loro si sprecano ogni anno decine di miliardi, che male c’è se, almeno un po’, ce li teniamo noi per abbassare le tasse e quant’altro? Come dargli torto?
 
Cesare Fassari

26 ottobre 2015
© Riproduzione riservata
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