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Liberalizzazioni. Perché ho difeso la farmacia

di Cesare Fassari

Rispondo a quanti hanno apprezzato e a quanti hanno criticato quanto da me scritto alcuni giorni fa. Comunque vada a finire penso che sarebbe stato molto più giusto e saggio liberalizzare non i prodotti da vendere (cioè i farmaci) ma i “negozi” (cioè le farmacie)

13 DIC - La mia recente presa di posizione a favore delle farmacie sulla questione della liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C con obbligo di ricette, mi ha, come prevedibile, procurato molti amici tra i farmacisti. Almeno tra quelli che possiedono una farmacia.
Tuttavia molti mi hanno scritto per chiedermi il perché di quella difesa. “Ma come ti è passato per la mente di difendere quelli là?” Questo il senso estremo delle loro perplessità.

Proverò a rispondergli. Al di là della mia vena di difensore delle cause perse, ci sono ragioni più serie oltre a quella serissima che ho indicato già (rischio di un’eccesiva mercificazione del farmaco e rischio di una prevalenza della logica di mercato sulla tutela della salute. Tesi che, ne sono contento, è stata sostanzialmente ribadita anche dal neo direttore dell’Aifa nella sua audizione in Parlamento).
Mi riferisco alla riprova, anche in questo caso, della scarsa visione di politica industriale e di sviluppo del nostro Paese (ma forse bisognerebbe dire delle nostre forze politiche).
 
Mi spiego. Si continua a pensare alle quasi 20 mila farmacie pubbliche e private unicamente dal punto di vista del servizio che offrono (e cioè garantire a determinate condizioni imposte dalla convenzione con il Ssn il servizio di erogazione del farmaco). Giusto, ma esse sono anche soggetti economici e produttivi. Delle vere e proprie “piccole imprese italiane”.
La farmacia (poco importa se pubblica o privata) è infatti un’azienda che dà occupazione e lavoro (diretto e indotto), che crea opportunità di business, anche al di là di quello strettamente legato alla produzione del farmaco (cosmetica, articoli vari per l’infanzia e le mamme, calzature, pubblicistica, pubblicità, packaging, ecc.).
Siamo quindi di fronte a una realtà ben più complessa di quella di qualche migliaio di “privilegiati” monopolisti, che di fatto ispira anche la filosofia alla base di tutto il disegno di liberalizzazione del farmaco.
 
E la ragione per la quale ho difeso le farmacie sta proprio qui. Nella mancanza di una visione strategica sul “dove si vuole andare”, che fa trapelare anche molta ipocrisia o quanto meno altrettanta scarsa lucidità prospettica sul ruolo e la natura di parafarmacie e grande distribuzione.
Andiamo per ordine. Uno: dove si vorrebbe/dovrebbe andare. Il Governo ha forse valutato con un vero piano industrial/commerciale quali vantaggi reali si avrebbero per lo Stato e per i cittadini da un sistema di distribuzione e vendita del farmaco progressivamente assorbito dalla grande distribuzione, come diventerebbe inevitabile una volta incrinato l’argine del monopolio delle farmacie? Ha valutato, conti e garanzie alla mano, se non vi sia il rischio di lasciar senza farmaci milioni di italiani che vivono in zone rurali e montane? E, sopra ogni cosa, prima di avviare un processo come questo si è chiesto qual è la meta finale o ci si è abbandonati a una sorta di maquillage liberista tanto per far vedere che ci piace la concorrenza e il mercato?
La sensazione è che tutto ciò non sia stato fatto. E che, quindi, gli stessi fautori della liberalizzazione non sappiano dove la loro idea possa condurre la filiera del farmaco.
 
E veniamo al secondo punto. Parafarmacie e grande distribuzione. Vogliamo dirci finalmente la verità e cioè che le parafarmacie non vedono l’ora di diventare farmacie a tutti gli effetti? La cosa buffa è che, per diventarlo (cosa legittimissima) si sono dovute mascherare da “alternativi”, diventando una sorta di “no logo” e di “indignados”, attirando così le simpatie movimentiste del Pd e di molti altri liberisti della prima e ultima ora. Che chissà quanto saranno delusi quando cominceranno anche loro a difendere i “privilegi”, una volta diventate farmacie a tutti gli effetti nel momento in cui qualcuno proporrà  (scommettiamo?) che debbano essere titolate anche a erogare i farmaci con “ricetta rossa del Ssn”?
E infine la grande distribuzione. Ci si è chiesti se al sistema Paese convenga avere alcune migliaia di farmacisti impiegati al servizio di circuiti commerciali internazionali al posto di 20 mila piccole aziende italiane (dove lavorano comunque decine di migliaia di farmacisti collaboratori con regolare contratto di assunzione) che fanno investimento, creano lavoro e prospettive e che, con le loro regole, le loro tradizioni, le loro capacità di adattamento alle diverse realtà locali, sono comunque un pezzo del nostro made in Italy?
 
La sensazione è che questo ragionamento e questa progettualità non si siano mai realmente costruiti. E che, al contrario, si stia mettendo a rischio un pezzo fondamentale del Ssn e, come abbiamo visto, anche della nostra economia senza alcuna idea di cosa e come prenderà il suo posto.
Per tutti questi motivi penso sarebbe stato molto più giusto e saggio liberalizzare non i prodotti da vendere ma i “negozi”. Rompendo gli argini alla possibilità per ogni farmacista di aprire la sua farmacia, nel rispetto di regole e ambiti d’esercizio comuni ed ispirati prioritariamente alla tutela della salute e non al mercato.
 
Cesare Fassari

13 dicembre 2011
© Riproduzione riservata

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