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Giornata Mondiale Prematurità. Intervista a Fabio Mosca (Sin): “Rete neonatale già efficace, ma bisogna renderla più efficiente”

di Ester Maragò

Serve un incremento del numero dei posti in pediatria nelle scuole di specializzazione e l’implementazione dell’Accordo Stato Regioni sui punti nascita. Ma per il presidente della Società italiana di neonatologia bisognerebbe cominciare a creare un sistema di rete globale che coinvolga anche la pediatria di famiglia. Con passaggi obbligati dei neo specialisti nelle corsie ospedaliere prima di entrare nel territorio

15 NOV - “Il motto per il triennio 2018-2021? Il neonato al centro del futuro. Vorrei che diventasse la parola d’ordine dei neonatologi italiani, per cercare di convincere le Istituzioni ad investire sul neonato, sulla professione e quindi sul Paese”.
 
Va dritto al punto Fabio Mosca, Direttore Uoc di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale all’Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano - Clinica Mangiagalli, Professore ordinario di pediatria e Presidente della Società italiana di neonatologia (Sin). In questa intervista a Quotidiano Sanità, in occasione della Giornata Mondiale Prematurità che si celebra domani 17 novembre, mette in luce criticità ed eccellenze. Traccia anche una road map per migliorare la presa in carico del neonato, non solo quello prematuro. E anche per dare ossigeno alla pediatria in tutte le sue declinazioni.
 
Professore Mosca, proprio un anno fa sulle pagine di Quotidiano Sanità i neonatologi della Sin hanno puntato i riflettori sulla necessità di aumentare gli standard di sicurezza e riorganizzare la rete dei Punti nascita per garantire una migliore assistenza ai piccoli nati, in particolare ai prematuri. Cosa è cambiato in un anno?
Che in Italia si nasce di meno. Nello scorso anno l’indice di denatalità in Italia ha raggiunto il suo minimo storico con appena 464mila nuovi nati. Questo è un problema serissimo che avrà ricadute negative sul sistema paese. L’equazione è semplice: se perdiamo giovani produciamo meno risorse, quindi meno Pil. Pensiamo che gli anziani nel 2017 erano il 165% dei giovani tra gli 0 e i 14 anni. Una sproporzione allarmante. C’è quindi un’urgenza, servono politiche di promozione della natalità e di sostegno alla maternità, in genere. Abbiamo in Europa il più basso indice di fertilità insieme alla Spagna. In Italia è 1.34, in Francia invece è a 1.92 e questo perché i nostri cugini d’Oltralpe fanno politiche di sostegno alla famiglia. Basterebbe ridurre la pressione fiscale in base al numero di figli. Per questo credo che la parola d’ordine dei neonatologi italiani debba essere “Il neonato al centro del futuro”. Dobbiamo cercare di convincere le Istituzioni ad investire sul neonato, sulla professione e quindi sul Paese. E questa non è la sola criticità da affrontare. Abbiamo anche un altro problema.
 
Quale?
L’Italia continua a marciare a due velocità. Mi spiego, nel nostro Paese mediamente il tasso di mortalità neonatale nel primo mese di vita, importante indicatore della qualità delle cure, è molto buono: siamo al 2 per mille. Negli Usa è del 4 per mille e in Pakistan del 44 per mille. Siamo quindi tra i primi 5 paesi a mondo con i migliori indicatori di mortalità. Tuttavia nel Sud il tasso è del 39% più alto rispetto al Nord Italia. Sia ben inteso, abbiamo raggiunto comunque ottime performance, ma rimane il fatto che nascere in alcune Regioni anziché in altre può essere uno svantaggio. Questo a causa di minori risorse organizzative, strutturali e umane - medici e infermieri - che fanno la qualità assistenziale.
 
Qual è quindi la situazione nel Sud del Paese?
Come presidente della Sin mi confronto con tutti i colleghi e so per certo che nelle Regioni del meridione, i professionisti sono bravi tanto quanto quelli del Nord e del Centro. Stesso discorso vale per gli infermieri. Il problema è che nel Sud mancano professionisti, i giovani non sono invogliati a rimanere, c’è tanto, troppo precariato. Il risultato è che giovani specializzati preferiscono andare a lavorare al Nord. Nel Meridione c’è inoltre un problema di strutture, di attrezzature e di organizzazione che non riguarda solo il periodo neonatale. Lo stato di salute del neonato dipende anche da quello che è accaduto durante la gravidanza e dal livello socio economico della famiglia: più è basso e più il tasso di prematurità aumenta. E il Meridione purtroppo ancora sconta tutto questo.
 
A suo giudizio quale sono le azioni da intraprendere?
Bisognerebbe applicare e implementare l’Accordo Stato Regioni del 2010 sulla riorganizzazione dei punti nascita. Nonostante gli evidenti miglioramenti raggiunti in otto anni ci sono ancora troppi punti nascita al di sotto dei 500 parti annui. Soprattutto c’è una situazione ancora a macchia di leopardo. Nel 2000 in Lombardia avevamo 80 punti nascita, 19 erano sotto i 500 parti l’anno, ora ne abbiamo 59, e solo 2 sono al di sotto degli standard, ma sono nelle zone disagiate. Tirando le somme, si può fare.
 
Sul fronte delle terapie intensive neonatali?
Ce ne sono troppe, in Italia abbiamo circa 120 terapie intensive neonatalie gestiscono una media di 40 neonati sotto il chilo e mezzo. Questa è una importante criticità, ricordo che l’Accordo Stato Regioni aveva fissato un tetto di 50 neonati sotto il chilo e mezzo. Un volume di attività a garanzia della sicurezza confermato ora anche da uno studio tedesco pubblicato in una prestigiosa rivista scientifica. Ci sono arrivati otto anni dopo di noi. Insomma, in Italia ci sono ancora troppe terapie intensive neonatali e troppo piccole. Non solo, quelle che rispettano i volumi di attività sono mal distribuite: magari sono concentrate solo nelle grandi città e non sono distribuite in maniera omogenea sul territorio. Una cattiva distribuzione che costringe a chiamare in causa il trasporto neonatale di emergenza. In alcune aree inoltre c’è anche carenza di posti letto. Insomma abbiamo una necessità improcrastinabile di riemettere a posto la rete neonatale per renderla più efficiente. L’efficacia è già garantita. E se si ottimizza la rete forse di riesce anche a far fronte all’annoso problema, proprio di tutte le branche specialistiche, ossia la carenza di medici.
 
Abbiamo toccato il tasto dolente. La carenza di pediatri è ormai un allarme nazionale
Nella scuola di specialità accedono circa 488 nuovi specializzandi, tra pediatria, neonatologia e pediatria di libera scelta. Tra cinque anni si specializzeranno, peccato che noi perdiamo mediamente ogni anno mille pediatri perché vanno in pensione. A conti fatti maturiamo un deficit annuo di 500 pediatri. È chiaro che così il nostro sistema di rete non potrà andare avanti a lungo. Abbiamo troppi ospedali e una pediatria di famiglia che occupa quasi 7mila pediatri nel territorio. Oggi molti reparti dove si richiede attitudine e sacrificio, e le terapie neonatali sono tra questi, sono in profonda sofferenza. Non si riesce a coprire i turni.
 
Anche in questo caso come uscire dall’impasse?
Sicuramente aumentando il numero di pediatri nelle scuole di specializzazione e ottimizzando la rete per evitare i piccoli centri. Ma credo che bisognerebbe cominciare a creare un sistema di rete globale che coinvolga anche la pediatria di famiglia. E con qualche modifica.
 
Ossia?
I neo specialisti nei primi anni della loro attività, e prima di entrare nel territorio, dovrebbero andare a lavorare obbligatoriamente nelle corsie ospedaliere. In caso contrario rischiamo di avere tanti giovani pediatri di libera scelta e pediatri anziani in ospedale che continuano a fare le notti nelle terapie intensive.
 
Sfide future?
Creare una maggiore sinergia con la pediatria di famiglia e ottimizzare la continuità delle cure, magari suddividendosi i compiti. Il neonato fisiologico potrebbe essere preso in carico dai pediatri di famiglia immediatamente dopo la dimissione dal nido. Si potrebbe pensare ad un sistema per cui già nel momento della denuncia di nascita in ospedale, il genitore sceglie il pediatra di famiglia e prende appuntamento dopo una settimana di vita. E ancora, mentre i prematuri gravi che hanno bisogno di follow up continuativi negli anni per monitorarne lo sviluppo neuro psicomotorio, vanno sicuramente presi in carico da una equipe multispecializzata, quelli meno gravi, dalle 32-34 settimane fino alle 37 settimane, potrebbero essere tranquillamente affidati alle cure dei pediatri di famiglia liberando così l’ospedale. A Milano lo abbiamo sperimentato e funziona.
 
Ester Maragò
 

 

15 novembre 2018
© Riproduzione riservata

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