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10 NOVEMBRE 2024
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Il nostro viaggio tra le professioni sanitarie. Gli Educatori professionali, intervista al presidente Renato Riposati

di Lorenzo Proia

Professionista presente “in tutti gli stati dell’Unione Europea e anche all’esterno della stessa, ma con denominazioni e spendibilità del profilo diverse”, ma “il numero di Stati che hanno provveduto a definirne il riconoscimento legislativo e la loro formalizzazione in termini di profilo istitutivo è molto limitato”. Ma dalla seconda Conferenza della Salute Mentale gli Educatori professionali sono stati esclusi

26 OTT - Il nostro Viaggio all’interno delle 19 Professioni sanitarie che compongono la FNO TSRM e PSTRP ci porta quest’oggi a colloquio con Renato Riposati, Presidente della cda nazionale degli Educatori professionali.

Presidente Riposati, come nasce la figura dell’Educatore professionale nel mondo e nel nostro Paese?
L’Educatore professionale ha iniziato ad essere impiegato nei servizi intorno agli anni ‘50. Ancora oggi una delle più importanti ricerche è stata quella promossa dal Ministero dell’Interno, che attivò la ‘Commissione Nazionale di studio per la definizione dei profili professionali e dei requisiti di formazione degli operatori sociali’ i cui esiti furono pubblicati nel 1984. La Commissione giunse ad una definizione condivisa del profilo dell’Educatore professionale così delineato:

L’educatore professionale è un operatore che, in base a una specifica formazione professionale di carattere teorico e tecnico-pratico e nell’ambito dei servizi socio-educativi e educativo-culturali extrascolastici, residenziali o aperti, svolge la propria attività nei riguardi di persone di diverse età, mediante la formulazione e attuazione di progetti educativi caratterizzati da intenzionalità e continuità, volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale e di inserimento e partecipazione sociale, agendo, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla relazione interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto sociale e ambientale e sull’organizzazione dei servizi in campo educativo”.

Questa definizione, contrariamente agli obiettivi che si pose la Commissione, non contribuì a produrre un profilo professionale giuridicamente riconosciuto. Sempre nel 1984 il Ministero della Sanità provvide invece, a riconoscere la figura dell’Educatore professionale, già presente ed inquadrata nel sistema sanitario sin dal 1979; infatti il DPR 761 del 20 dicembre 1979 ne prevedeva l’inquadramento tra le professioni della riabilitazione.

Il DM 10 febbraio 1984,  n. 1219 “Identificazione dei profili professionali attinenti a ‘figure atipiche o di dubbia ascrizione’”, definì che “l’Educatore professionale cura il recupero e il reinserimento di soggetti portatori di menomazioni psico fisiche. Il requisito specifico […] di ammissione al concorso è il possesso di un corso di abilitazione di durata almeno biennale svolto in presidi del Servizio Sanitario Nazionale o presso strutture universitarie, cui si accede con diploma di istruzione di secondo grado”. Nel 1990 tale decreto fu dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato, ma questo non impedì l’immissione nei servizi di tale figura.

Il D.lgs 30 dicembre 1992, n. 502 stabilì che le figure che lavoravano all’interno del Ssn dovevano essere dotate di profilo professionale, seguire un percorso di laurea specifico e da quest’ultimo essere abilitate all’esercizio. Nel 1997 nasce il profilo del Tecnico dell’Educazione e della Riabilitazione psichiatrica e psicosociale che, però, descriveva solo in parte le reali funzioni svolte dall’Educatore professionale, che di fatto fu riconosciuto con il DM 8 ottobre 1998, n. 520, a seguito del quale il decreto del 1997 fu cancellato: “Ritenuto di dover garantire il completamento degli studi agli studenti già iscritti ai corsi di tecnico dell’educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale e di equiparare, con riferimento al profilo ed agli ordinamenti didattici delle due figure, il titolo conseguito a quello di educatore professionale”; all’interno della stessa norma fu definito con decreto, lo specifico profilo di Tecnico della Riabilitazione psichiatrica, DM 29 marzo 2001, n. 182.

Il profilo di Educatore professionale fu riconosciuto come profilo sanitario, ma si riconobbe a tale professione la natura  unitaria e di ponte (ovvero operatore sociale e sanitario che realizza progetti educativi e riabilitativi per il reinserimento sociale dei soggetti in difficoltà e che opera in diversi contesti sanitari, socio sanitari e socio educativi). Nel corso degli anni, a partire dalla fine degli ‘80 sino ad arrivare ai giorni nostri, molto è stato il lavoro parlamentare, ministeriale e interministeriale attorno e su questa figura professionale;, lavoro fatto di  interrogazioni, indagini conoscitive, tavoli ministeriali e interministeriali, proposte di legge, leggi e commi specifici inseriti all’interno di leggi aventi caratteristiche ed impianti più generali; a titolo d’esempio quella che segue: Interrogazione a risposta scritta 4/24841 presentata da Olivo Rosario (Democratici di Sinistra) in data 8 luglio 1999.

Parallelamente ai percorsi fin qui tratteggiati, che attengono attualmente alla classe delle lauree SNT2, presso le Scuole di Facoltà di Medicina e Chirurgia, le sole che nell’ambito della triennalità dei percorsi universitari, rilasciano titoli abilitanti all’esercizio della professione in educazione professionale,  ve n’è un altro che afferisce alle Facoltà di Scienze dell’educazione e della formazione, le quali, pre-riforma degli ordinamenti didattici, rilasciavano lauree in Scienze dell’educazione con indirizzo Educatore professionale e/o Educatore professionale extra scolastico, classe L18, lauree queste, prive della connotazione abilitante all’esercizio della professione sanitaria: attualmente le medesime Facoltà, ora denominate Scienze dell’educazione e della formazione, classe L19, rilasciano titoli privi di indirizzi specifici quali quelli sopra nominati. Questa situazione di doppio binario formativo rappresenta un unicum nel panorama delle professioni.

Alla luce di quanto esposto non sorprende quindi che attorno a questa figura vi sia tutt’ora incertezza interpretativa relativa all’esercizio professionale ed incertezza allocativa rispetto ad attività, competenze, ambiti e servizi.

E a livello internazionale invece, qual è la situazione?
Debbo dirle che a livello internazionale la figura professionale risulta essere molto composita e non omogenea. Ciò riguarda il riconoscimento della professione in sé, l’esercizio della professione e quanto attiene alla formazione di base e permanente. A questo riguardo il nostro Paese non fa eccezione e ne fa fede quanto sopra descritto in termini di percorso formativo e profilo identitario. Vedremo che anche per quanto riguarda la nomenclatura di profilo, nonché la definizione dello stesso, i nostri Legislatori, a differenza di quelli degli altri Paesi, hanno avuto una visione lungimirante nel coniugare gli aspetti sociali con quelli sanitari: Decreto Ministeriale 8 ottobre 1998, - n. 520 – art. 1, comma 1 - “È individuata la figura   professionale  dell’Educatore professionale, con il seguente  profilo:  l’Educatore professionale è l’operatore  sociale e  sanitario... omissis”.
Questo professionista è presente in tutti gli stati dell’Unione Europea e anche all’esterno della stessa, ma con denominazioni e spendibilità del profilo diverse, che cerchiamo di riassumere: social care worker in alcuni Paesi aderenti all’UK, educateur specializé in Belgio e Francia, Sozialpedagog in Germania, Social educator in Spagna e alcuni Paesi del Nord. Il numero di Stati che hanno provveduto a definirne il riconoscimento legislativo e la loro formalizzazione in termini di profilo istitutivo è molto limitato; pochissimi Paesi hanno nella legislazione nazionale riferimenti chiari alla professione specifica.

Questo crea un problema alla libera circolazione ed alla possibilità di stazionamento dei professionisti in Europa, vista la difficoltà di poter armonizzare il libero esercizio attraverso, ad esempio, lo strumento indicato dalla Commissione Europea,: la tessera professionale europea. Qualora tale armonizzazione dovesse avere luogo, lo strumento diventerebbe effettivamente efficace e garantirebbe la spendibilità dei titoli fuori dai territori nazionali ove sono stati conseguiti; allo stato attuale, non avendo parametri reciprocamente riconosciuti risulta complicato e complesso spostarsi ed esercitare all’estero, o al contrario dall’estero venire in Italia, tenendo conto che sussiste una diversificazione dei punti di accesso. Abbiamo, quindi, il paradosso di una figura professionale attiva nel mondo del lavoro con un impedimento nei fatti dovuto alla non uniformità di trattamento rispetto al mutuo scambio e libera circolazione. A dispetto delle numerose dichiarazioni apparse sui media e sui social, non solo non esiste una figura professionale unitaria, ma non si ravvede nemmeno una unitarietà nella formazione di base; essa risente fortemente della difformità dei sistemi scolastici e di alta formazione che ogni Stato ha prodotto nel corso del tempo, con sistemi molto distanti tra loro. Vi sono Paesi che rilasciano titoli Universitari di laurea magistrale nelle materie pedagogiche e Paesi che hanno ancora un doppio binario formativo (Paesi Francofoni e Olanda); per doppio binario formativo si intende, la compresenza di una formazione universitaria triennale e di una formazione di scuola secondaria di secondo livello - post diploma di maturità - che forma esattamente le stesse professionalità.

Un caso particolare è rappresentato dalla Germania, la quale ha concentrato in un unico percorso didattico di Laurea magistrale per Educatori professionali e Assistenti sociali, con un biennio comune e poi la scelta specialistica. Non risulta, come spesso viene affermato, che siano le facoltà pedagogiche e di Scienze dell’educazione ad essere maggiormente interessate alla formazione degli Educatori in ambito internazionale;, in quanto all’estero la natura stessa della formazione all’estero, non mette al centro un Sistema Scientifico disciplinare, anteponendolo alla professione, anzi, spesso il processo è esattamente inverso. Esempio pratico è rappresentato dalla scuola secondaria di secondo livello che spesso ha una connotazione al settore di riferimento (sociale, della salute, ecc.); a titolo d’esempio, in Germania spesso la formazione degli Educatori si connota e si situa nelle Facoltà di Scienze applicate o applicative, dando molto più spazio all’indagine ed al tema fenomenologico rispetto al sapere teorico e tecnico.

Elemento comune in tutti gli Stati, nei percorsi di formazione prevalgono i crediti formativi legati alle attività specifiche e professionalizzanti della figura. Questi crediti sono distribuiti nella maggior parte dei casi nel seguente modo: esperienze pratiche guidate, tirocinio diretto curriculare, supervisione individuale e di gruppo, laboratori esperienziali, attività destinate alla collettività e al territorio. La professione è direttamente coinvolta nella formazione di professionisti del proprio profilo professionale e/o di professioni affini, e tale formazione spesso ha maggior peso sia rispetto al numero di crediti dedicati, sia all’importanza che viene data al quadro esperienziale e riflessivo sulle questioni legate alle competenze, ai compiti e alle funzioni declinate dal profilo professionale.

Al termine delle attività formative lo studente può intraprendere la professione senza dover avere alcun riferimento ad albi o Ordini professionali. Nella stragrande maggioranza dei casi i riferimenti professionali sono delegati alle associazioni professionali che vicariano le competenze ordinistiche e in alcuni casi anche sindacati di categoria; di converso in alcuni Paesi non si può esercitare la professione senza essere iscritti all’associazione di riferimento o al sindacato di categoria.

Sono stati scritti e pubblicati numerosi documenti sulle attività tipiche professionali ed è stata definita una piattaforma europea e internazionale il cui focus è rappresentato dalle competenze professionali dell’Educatore; essa è curata dalla Associazione Internazionale degli Educatori (AIEJI), nel cui board internazionale, l’Italia è rappresentata dalla Associazione tecnico-scientifica ANEP. Fin dalle origini delle prime forme organizzate, gli Educatori professionali italiani fanno parte integrante di questa realtà internazionale la quale aggrega circa 500 soggetti, siano essi professionisti associati a titolo individuale o gruppi professionali organizzati a loro volta in associazioni (queste ultime definite in modo più stringente e con poteri regolatori nell’ambito degli stati di appartenenza). AIEJI a sua volta è membro di ENSACT, una rete europea di associazioni professionali, facoltà di assistenza sociale ed educazione sociale, Consigli nazionali di assistenza sociale. FICE, EASW, FESET sono alcune delle realtà aderenti. È essenziale per la qualità della politica sociale e l'erogazione dei servizi sociali che i professionisti che operano in quei servizi, abbiano una voce forte nei propri Paesi, ma anche a Bruxelles e Strasburgo. ENSACT promuove la coerenza e l'efficacia delle qualifiche professionali e la qualità dei servizi sociali e delle politiche in tutta Europa, con particolare riferimento al processo di Bologna ed ai processi dell'UE per il riconoscimento reciproco delle qualifiche.

AIEJI ha realizzato documenti di posizionamento su diversi temi raccordando e facendo sintesi nel rispetto delle diverse provenienze socioculturali e con riferimento alla letteratura scientifica, sulle seguenti questioni professionali dei paesi e delle realtà aderenti:
● piattaforma professionale relativa alle qualifiche e alle competenze, le sfide e lo sviluppo degli educatori come professione e il suo campo di lavoro;
● il lavoro di educazione professionale nell'ambito della salute mentale;
● nel marzo 2017 ha pubblicato un rapporto che evidenzia come gli Educatori sociali possano migliorare la qualità della vita delle persone con una malattia mentale. I membri di AIEJI hanno contribuito con interviste qualitative in sette Paesi: Brasile, Danimarca, Italia, Norvegia, Russia, Spagna e Svizzera; gli Educatori sociali intervistati lavorano all’interno della psichiatria sociale e della psichiatria di trattamento. Prospettive teoriche ed empiriche sono state incorporate nella definizione di buone pratiche per il lavoro di Educazione sociale nel campo della salute mentale;
● lavoro educativo sociale con i richiedenti asilo minori rifugiati;
● nel settembre 2012, l'AIEJI ha tenuto un seminario avente a tema la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia in relazione ai bambini collocati. Il seminario si è concentrato su come le legislazioni nazionali menzionano i bambini e i loro diritti e il ruolo degli Educatori sociali come garanti dei loro diritti;
● il lavoro degli Educatori nella disabilità;
● minori collocati fuori dalla famiglia;
● il lavoro di riabilitazione nelle demenze con anziani;
● la professione dell'Educatore in Europa;
● nel dicembre 2011, è stata pubblicata un’indagine comparativa riguardante la professione di educazione sociale, avviata dall'organizzazione membro di AIEJI, CGEES. L’indagine sottolinea una variabilità europea per quanto riguarda le diverse educazioni e concezioni della professione nonché l’uso delle terminologie per descriverle, terminologie rispetto alle quali diversi fattori storici, culturali e sociali giocano un ruolo fondativo. L'indagine fornisce una panoramica necessaria della professione in Europa e una piattaforma per discutere e promuovere la professione nel contesto dell'Unione europea;
● lavorare con persone con disabilità dello sviluppo;
● nel 2010 ha finalizzato il documento Lavorare con le persone con disabilità dello sviluppo –- il ruolo dell’educatore sociale. Il documento discute le sfide che gli educatori sociali incontrano quando prendono in considerazione la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità nelle azioni, decisioni e routine quotidiane;
● nel 2006 il consiglio direttivo ha deciso di creare un documento che rappresentasse un quadro professionale comune per gli Educatori sociali di tutto il mondo. Il risultato è stato il documento “Le competenze professionali degli educatori sociali – un quadro concettuale”; lo scopo di questo documento non è quello di offrire una definizione definitiva di educazione sociale, bensì di essere d’ispirazione sia al singolo educatore sociale che ai luoghi di lavoro socio-educativo a livello nazionale per sviluppare e discutere sulla e della professione.

Qual è la formazione dell’Educatore professionale e cosa distingue il laureato dal non laureato? Si verificano problematicità con i bandi di concorso?
Per svolgere l’attività dell’Educatore professionale oggi è necessario superare un test che coinvolge tutte le professioni sanitarie e frequentare un corso universitario triennale, incardinato presso le Scuole di Medicina;, il corso prevede almeno 60 CFU di materie specifiche della professione, ad esempio materie che identificano le competenze necessarie per lavorare nei ambiti di attività dell’Educatore, e altri 60 CFU per attività tecnico pratica, ovvero 1500 ore di tirocinio che lo studente svolge nel corso del triennio nei diversi ambiti, ad esempio nel settore socio educativo (comunità educative), nel settore socio sanitario (RSA per disabili/centro diurni),  nel settore sanitario (ASL territoriali servizi di salute mentale/dipendenze).

Il laureato, quindi, ha modo nel corso del triennio di acquisire una identità professionale multidisciplinare, comprendendo con chiarezza che la figura professionale andrà ad operare come una professione “ponte” tra il mondo sanitario e quello sociale. Inoltre, acquisisce una abilitazione specifica nell’attuare interventi educativi/riabilitativi a seconda della tipologia di popolazione a cui rivolge il proprio intervento. Medesimo discorso può essere fatto per coloro che possiedono un titolo riconosciuto come equipollente in forza dell’importante DM Salute 22 giugno 2016, Modifica del decreto 27 luglio 2000, recante “Equipollenza di diplomi e di attestati al diploma universitario di eEducatore professionale, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base”, o equivalente, in forza di decreto direttoriale del Ministero della Salute; queste ultime due coorti comprendono professionisti con formazione pregressa sia di tipo regionale (il primo tipo - legge 21 dicembre 1978, n. 845 - legge quadro in materia di formazione professionale, D.lgs 30 dicembre 1992 n. 502), sia di tipo universitario e/o di percorsi quinquennali di scuola media superiore  (il secondo tipo - lauree e diplomi non riconducibili alla classe SNT2, Facoltà di Medicina e Chirurgia). Di converso, coloro che non provengono dai percorsi formativi suddetti, in particolare gli attuali  non laureati, non hanno avuto modo di acquisire tale formazione né sono in grado di garantire quel livello di competenza necessaria per svolgere questa delicata professione. Inoltre, con la legge 11 gennaio 2018, n.3, la quale ha previsto la costituzione degli Ordini delle professioni sanitarie, con particolare riferimento nel nostro caso, agli ordini TSRM e PSTRP, , i professionisti non abilitati incorrono nel rischio di denuncia penale per esercizio abusivo di professione sanitaria (legge 11 gennaio 2018, n. 3, art. 12).

Purtroppo, frequentemente si verificano errori di interpretazione della norma, e non solo, si riscontra scarsa conoscenza delle diverse figure educative; è quindi capitato che aziende sanitarie abbiano emesso bandi di concorso per Educatori, ammettendo anche titoli di accesso non abilitanti alla professione sanitaria; questo ha comportato un notevole sforzo da parte di tutte le commissioni di albo locali e dei direttivi di Ordine, della Commissione di albo nazionale e della FNO,  che devono intervenire tempestivamente nel richiedere le rettifiche dei relativi bandi di  concorso, con il conseguente dispendio di risorse temporali, organizzative ed economiche.

C’è poi la questione degli imbuti formativi.
Il problema riguarda tutte le professioni sanitarie; annualmente il Ministero della Salute richiede una programmazione nazionale sui fabbisogni formativi distribuiti a livello regionale. Il fabbisogno è misurato su una serie di indicatori che vanno a definire quale è il numero necessario di professionisti ogni 100 mila abitanti. A livello nazionale si verifica il paradosso che il fabbisogno è presente in tutte le Regioni in ragione dei servizi attivati per rispettare LEA, i LEAS, ma non in tutte è presente il corso di laurea in Educazione professionale. Infatti, questo  il corso di laurea è presente solo in 13 Regioni, principalmente al centro- nord; al sud e nelle isole le uniche Regioni che hanno attivato il corso sono la Puglia e la Sardegna. Tale situazione crea un forte squilibrio in termini di distribuzione della professione a livello nazionale, nonché apre spazio ad altre figure professionali non abilitate nel rispondere al fabbisogno di salute delle popolazioni locali. La Commissione di albo nazionale sta supportando le Commissioni provinciali nel delicato processo di sensibilizzazione a livello locale, delle Università presenti nei territori del centro, al sud e sulle isole, al fine di creare un percorso condiviso di auspicabile attivazione del corso di laurea specifico. Il lavoro non è semplice in quanto le Università seguono logiche che spesso non incontrano il reale bisogno di salute delle popolazioni locali ma piuttosto l’attrattività di un corso di laurea rispetto ad altri; ad esempio in Sicilia, regione con disequilibri sociali e sanitari marcati e con un numero di abitanti ragguardevole, non abbiamo un corso in Educazione professionale SNT2, ma di contro e di converso ci sono tre Atenei con la Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione che immettono sul mercato laureati in ambito educativo non abilitati a lavorare nel settore della salute, i quali illegittimamente sono chiamati a svolgere ed esercitare attività tipiche e/o riservate alla professione sanitaria dell’Educatore professionale di cui al DM Sanità 8 ottobre 1998, n. 520, con caratteristiche di evidente sovrapposizione nell’esercizio professionale, ma mancanti di fondamentali requisiti quali quelli previsti dalla legge 8 marzo 2017, n. 24. - (GU Serie Generale n.64 del 17-03-2017), Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.

Parliamo della Conferenza della Salute mentale.
Storicamente e dal punto di vista numerico dell’allocazione, la popolazione di professionisti più numerosa dopo quella dei Medici e degli Infermieri, all’interno dei sistemi e dei sotto sistemi che si occupano di salute mentale, in ambito pubblico, privato e privato sociale è rappresentata dagli Educatori professionali. Recentemente si è tenuta la 2^ Conferenza nazionale per la salute mentale: ‘Per una salute mentale di comunità’,  a seguito della quale è stato prodotto un documento di sintesi.

Pur apprezzando gli sforzi del Tavolo Tecnico che ha prodotto tale documento, contenente una delle descrizioni possibili dello stato dell’arte  nel quale versano i servizi che si occupano di Salute mentale, non possiamo non dirci sorpresi e rammaricati dell’assenza di menzione della nostra figura professionale all’interno di quanto prodotto, con particolare riferimento ai seguenti punti del documento: punto 2.3 formazione, 2.4 Accesso, 2.5 Intensità della presa in carico e aderenza ai PDTA già formalizzati, 2.6 specificità dei percorsi di trattamento e riabilitazione, punto 2.7 fase residenziale dei percorsi di trattamento. Se, come sembra, vengono auspicati percorsi integrati socio sanitari, la riorganizzazione della medicina territoriale, l’implementazione dei servizi per una salute mentale di comunità e la presa in carico multidisciplinare, la professione che rappresento ha pieno titolo per continuare ad essere coinvolta e nominata, dato che già durante il percorso formativo accademico e di tirocinio, molta importanza viene attribuita all’integrazione socio-sanitaria, al lavoro di rete, al lavoro con e sul territorio ed a tutte quelle componenti proattive e riabilitative che possano ridurre lo stigma e restituire ai soggetti portatori di un disagio psichico, quei diritti di cittadinanza che molto spesso vengono lesi dallo stigma stesso oltre che naturalmente  dal/dai disturbi di cui i soggetti soffrono a fronte di una maggiore vulnerabilità.

Veniamo ora al tema dell’abusivismo.
L’abusivismo è una grande nota dolente che nutre le proprie radici nella grande indeterminazione generata da una legislazione a tratti frammentaria, incompiuta o compiuta con tempistiche siderali (basti pensare che la legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, attende ancora i decreti attuativi di cui all’art. 12 - profili professionali delle figure professionali sociali, l’altro corno della nostra professione, vedi DM 520/1998 sopra citato - Art. 1.  1. “È individuata  la  figura professionale dell’educatore professionale, con il seguente  profilo: l'educatore professionale è l'operatore  sociale e  sanitario...omissis); a questo si aggiunga che per quanto riguarda l’organizzazione dei servizi, la modifica del titolo V della Costituzione ha permesso alle regioni di legiferare e regolamentare massicciamente in materia sanitaria e socio sanitaria, dando luogo ad una molteplicità di sistemi e sottosistemi tante quante sono le regioni e le province autonome del nostro stato, fatto questo che ha contribuito alla proliferazione di una molteplicità percorsi formativi e lavorativi, tutti con suffisso “educativo” ma privi dei requisiti abilitanti, poiché la materia delle professioni è di competenza esclusiva dello Stato, il solo allo stato attuale che può disciplinarne i profili professionali. La conseguenza a valle di questo fenomeno è che nei sistemi che si occupano di salute, sono presenti diverse migliaia di operatori con titoli e qualifiche difformi e non pertinenti, inquadrati secondo nomenclature assai varie tra le quali a titolo d’esempio non esaustivo, Educatori, Educatori senza titolo e finanche Educatori professionali, tutti privi del titolo abilitante all’esercizio della professione.

Qualche numero, che non delimita precisamente il campo poiché in molti, per mancanza d’informazione o, pur avendola, hanno deliberatamente scelto di non ottemperare agli obblighi di legge, e quindi non hanno proceduto all’iscrizione presso gli Ordini: a fronte dell’obbligo di iscrizione all’albo o all’elenco speciale ad esaurimento di appartenenza, vi sono alla data odierna 12.219 iscritti all’albo degli Educatori professionali e n. 6.900 iscritti al relativo elenco speciale ad esaurimento; dati questi numeri, ne risulta che il 36,08% della popolazione iscritta complessiva in 19.119 professionisti, fino ad oggi esercitava in assenza di titolo adeguato e previsto. Questi finalmente sono dati certi che però sono ancora lungi dal rappresentare fedelmente l’entità numerica della popolazione realmente operante sul nostro ruolo professionale priva dei requisiti.

Infine il rapporto con la FNO TSRM e PSTRP.
Preme precisare che, come prevede la legge,  le diciannove Commissioni nazionali di albo delle professioni sanitarie, articolate nelle aree tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, fanno parte della Federazione nazionale degli Ordini TSRM e PSTRP in quanto organi della stessa, così come il Consiglio nazionale degli Ordini, il Comitato centrale e il Collegio dei revisori e le cariche istituzionali, Presidente, Segretario, Tesoriere. Quando parliamo quindi di rapporti dobbiamo pensare ad una rete molto fitta nella quale i nodi attorno ai quali si intersecano le vie di relazione, comunicazione, elaborazione, predisposizione documentale, gestione,  ricerca, decisione, solo per citarne alcuni, sono luoghi che vanno attentamente ed oculatamente presidiati e manutenuti, al fine di permettere che quest’organismo molto complesso, la Federazione, possa svolgere e adempiere ai compiti istituzionali ai quali è tenuta, in quanto Federazione di organi sussidiari dello Stato, gli Ordini territoriali. I diversi rapporti che si costituiscono, costruiscono, sistematizzano, tra la Commissione di albo nazionale di una determinata professione con le altre 18, con il Comitato centrale, con il Presidente nazionale, sono rapporti nei quali la reciproca conoscenza e la variabile tempo sono reciprocamente interconnessi, giocando un ruolo fondamentale nella creazione di un’identità comune. È una entità molto articolata ed è proprio questo aspetto che determina l’importanza della conoscenza di tutti i componenti al fine di poterne sviluppare tutte le potenzialità. Come nelle organizzazioni più evolute, la leadership formale in molti casi va affiancata da una leadership che guarda alle competenze possedute in funzione dei temi affrontati. Tali leadership per definizione possono essere mobili in relazione ai diversi contesti considerati. Non bisogna dimenticare che la mission principale dell’ente, a nostro avviso, è la tutela dei cittadini, nel nostro caso in special modo quelli  più fragili, ai quali invece va assicurata la migliore qualità degli interventi possibili.

Come in organismi simili, vi sono aspetti che necessitano di particolare attenzione al fine di evitare che alcuni rischi potenziali si concretizzino, quali l’eccessiva burocratizzazione, l’incompiutezza o l’obsolescenza normativa, la definizione di processi organizzativi interni ed esterni non efficaci e/o efficienti. A tali criticità si contrappone però la volontà di un agire comune pur nelle eterogeneità delle diverse professioni, le quali sono portatrici di storie, tradizioni, competenze ed ambiti professionali differenti, unite però intorno ad uno scopo comune: contribuire alla creazione di un sistema di welfare che sia di reale sostegno ai cittadini tutti e in particolare a coloro che versano in condizioni di fragilità e vulnerabilità, ai quali va assicurato il massimo sostegno possibile. 

Lorenzo Proia

Leggi le interviste precedenti: Audiometristi (Cino); Perfusionisti (Scali); Tecnici di neurofisiopatologia (Broglia); Podologi (Cassano); Terapisti occupazionali (Della Gatta); Tecnici ortopedici (Guidi); Ortottisti (Intruglio); Tecnici della riabilitazione psichiatrica (Famulari); Audioprotesisti (Gruppioni); Assistenti sanitari (Cavallo); Dietisti (Tonelli); Terapisti della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva (Bonifacio); Igienisti dentali (Di Marco); Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro (Di Giusto).

26 ottobre 2021
© Riproduzione riservata

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